Diverse lingue, orribili favelle, Parole di dolore, accenti d'ira.
Dante, Inferno, III, vv. 25-27
Aveva ragione Gaber ad aver paura del Berlusconi che è in me, più che di Berlusconi in sé. Bruno Bonomo è l’espressione dell’uomo comune che ha il germe di Berlusconi dentro sé. Cos’è il berlusconismo? È una valanga di cose, su cui si potrebbe discutere per altri venticinque anni, e che forse ci dimenticheremo ben presto.
Bruno è la crisi dell’uomo medio di fronte alle esigenze del berlusconismo. L’ha votato, Berlusconi, ma forse per inerzia, perché tanto l’alternativa non c’è e le cose sempre così restano. Un po’ di qualunquismo, ma sì, tanto ormai che c’abbiamo più da perdere. Bruno non c’ha più niente da perdere, o forse sì. La logica cafona, i tempi barbari e la mentalità incivile del berlusconismo ha condizionato la sua vita: la sua casa di produzione è in fallimento, il suo matrimonio è in fallimento, la sua esistenza è in fallimento. Di Bruno non m’interessa parlare del perché produca l’esordio di Teresa. A me interessa parlare del Bruno che non ce la fa più di essere quel Bruno lì, il Bruno che si trasferisce nei residence (mentre c'è chi compra case che non abiterà mai), che affitta il teatro di posa per le televendite (della tv commerciale), che non ha più un soldo (e al Caimano cascano da un soffitto senza motivo). Il Bruno degli scatti improvvisi, delle reazioni disperate, di quei gesti compiuti da chi non ne può più. E finché la vittima è un gelataio pedante, d’accordo, si va avanti. Ma quando la vittima diventa chi hai amato, ami ed amerai, senza usare perifrasi perché tanto qua c’è solo dolore su dolore, sono cazzi.
Al ristorante. Ci sono Teresa e il produttore polacco Jerzy. Il divo Marco Pulci si ritira dal progetto. Jerzy avverte che senza Pulci il film non si fa. Nel frattempo Bruno vede per strada l’ex moglie Paola in compagnia di un altro uomo. E qui si raggiunge l’apoteosi dell’imprevedibilità del dolore, che prende le sembianze ambigue, malsane e scoraggiate dell’ira: Bruno scappa dal ristorante, si dirige sconvolto a casa di Paola. Giocherella nervosamente con un’automobilina, la fa cadere dal tavolo. Fa cadere anche una sedia a terra. Va in camera di Paola, apre un cassetto, prende il maglione più bello della moglie e comincia a squarciarlo con le chiavi. In questo momento, Bruno è la maschera della rabbia perfetta, della sofferenza repressa, dell’ira sconvolta. Di quell’ira che sta attaccata inequivocabilmente al dolore inespresso. Perché non sta soltanto distruggendo un maglione: sta dando le definitive picconate alla propria precaria vita. L’ira può essere molte cose. Si accorda con la disperazione; si innalza dannosa sulle macerie del dolore; e vive di sé, del suo ricatto inaccettabile, della sua falsa essenza espiatoria.
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