No, non stiamo parlando del celebre, perfetto, magistrale, omonimo film di Joseph L. Mankiewicz del 1950, campione assoluto di premi Oscar, e che tra i tanti meriti riconosciuti ebbe pure quello di far esordire sul grande schermo una certa Marilyn fino a quel momento ancor tutta da scoprire.
Seppur l'argomento di fondo - ovvero la rivalsa e la sete di fama e successo che si appropria dei protagonisti rendendoli vittime della loro stessa ascesa, e carnefici dei fallimenti altrui - non sia poi così diverso, la Eva che qui ci interessa è la protagonista dell'omonimo romanzo apparso nella collana inerente il celebre filone letterario poliziesco francese conosciuto come “Série Noire, risalente al ’46, scritto da James Hadley Chase.
Nel 1962, con i proventi di una co-produzione franco-italiana, il regista americano Joseph Losey ne traspone una prima, controversa e piuttosto discussa versione, rimasta celebre soprattutto per il personaggio sgradevole e cinico che regala alla diva francese Jeanne Moreau, una delle sue interpretazioni più apprezzate e di carattere.
All'ultima Berlinale, solo un mese fa circa, il regista francese Benoit Jacquot, non nuovo ad adoperarsi, anche con un certo coraggio, in remake di celebri opere di autori del passato, ha presentato una sua versione di Eva, forte di un'altra diva incontrastata del cinema transalpino e mondiale, Isabelle Huppert, nota per i personaggi estremi e controversi che da oltre quarant'anni di carriera ai massimi vertici, riesce ad impersonare e a far vivere sul grande schermo.
Se il risultato ed il confronto tra le due opere da un lato conferma la tesi ormai consolidata che vede nettamente prevalere l'originale sul remake, è pur vero che riuscire a cogliere l'attimo e vedere a poca distanza una dall'altra le due opere (l'ultima versione è ora nelle sale francesi), le due visioni registiche differenti, gli stili inevitabilmente divergenti che le caratterizzano, influenzati in ognuna delle versioni dalle differenti epoche, dai mutati costumi e dall'evoluzione del pensiero che separa di oltre cinquantacinque anni le due trasposizioni, risulta un'esperienza assai interessante, formativa, quasi galvanizzante.
Molto interessante inoltre considerare come due dive francesi affrontino ognuna lo stesso personaggio ad età ben differenti l'una dall'altra: Jeanne Moreau 34enne contro una Isabelle Huppert 65enne, che tuttavia paiono fisicamente quasi invertirsi nelle parti, e non necessariamente perché la prima sembri più vecchia della seconda, quanto piuttosto per i costumi con cui le due vengono vestite, quasi adornate, classici e solenni quelli pregiati e raffinati che fasciano la Moreau, quasi sadomaso e ad alto tasso erotico, quelli aderenti e in (finta) pelle e tanto di frustino, della scandalosa Huppert. Tempi che passano, mode e stili di vite che contraddistinguono medesime vicende di bassa umanità e dignità.
Eccovi qui di seguito qualche considerazione inerente entrambe le trasposizioni.
1) BENOIT JACQUOT - 2018
CINEMA OLTRECONFINE – LE PRINTEMPS DU CINEMA 2018
Un giovane badante con ambizioni nella scrittura si trova ad assistere alla morte dell’anziano celebre scrittore che accudisce, e che prova una attrazione potente nei confronti del suo giovane aiutante. Poco prima l’uomo gli aveva accennato della sua ultima opera, ancora in fase di prima scrittura, tutta su carta.
Ripresosi da quella morte accidentale in bagno, il ragazzo ha l’accortezza di portarsi via il manoscritto, gettando nella Senna il pc portatile del vecchio.
Poco tempo dopo ritroviamo il bel Bertrand ricco, famoso, attorniato dal suo editore che, pur soddisfatto del successo commerciale del suo primo romanzo, ora inizia ad incalzarlo per avere qualcosa di concreto circa la sua opera seconda, per la quale tra l’altro egli ha ricevuto già un lauto anticipo. Una sera il ragazzo, nell’atto di raggiungere lo chalet di montagna dei suoceri per trovare la concentrazione per scrivere, scopre in casa due ospiti, rifugiatisi a causa della loro auto in panne.
Ivi conosce la misteriosa Eva, donna non più giovane ma attraente, che esercita sul ragazzo un’attrazione potente e incontenibile.
Questo incontro sarà l’inizio della sua fine, almeno dal punto di vista della sanità ed indipendenza mentale ed intellettiva. La donna, prostituta d’alto bordo con un marito in carcere, finirà per circuire l’ingenuo truffatore, spolpandolo economicamente, negli affetti più privati ed intimi, e pure a livello psicologico.
Benoit Jacquot, regista quasi sempre interessante, ambisce a qualcosa in più di un semplice remake del celebre film di Losey dei primi anni ’60: sposta l’arte creativa che nel primo film interessava pure il cinema, ad un ambito strettamente letterario e costruisce e cuce con una certa inventiva una fitta trama gialla che tuttavia si riempie di connotati e strade narrative spesso lasciate abbandonate a se stesse o incomplete.
Il risultato è, purtroppo, un mezzo fallimento, all’interno del quale Jacquot ahimé sembra sbagliare tutto: l’incipit malizioso ed accattivante, tutto nuovo ed inedito rispetto all’originale di Losey, si perde sul più bello svilendo completamente la circostanza morbosa che conduce al decesso improvviso di quello che diviene suo malgrado, per il protagonista, un ricco benefattore; Isabelle Huppert nei panni di Eva è truccata e vestita come una sado-lolita, ma pare una caricatura di una bambola meccanica, ingessata e quasi bloccata, pur se non proprio a suo agio con l’ennesimo personaggio tutto ombre e poche luci che si inserisce coerentemente nella sua mirabile carriera di dark-actress. Ma questa Eva spuntata per caso, come del resto quella originaria della Moreau, appare un’aliena in qualsiasi contesto la si voglia incasellare: prostituta scaltra e avida, moglie a suo modo fedele e autrice di un complotto sadico quanto deliberato; mantide vendicatrice inviata da una provvidenza giustizialista e senza clemenza alcuna.
Il bel tenebroso Gaspard Ulliel risulta una scelta ben calibrata, probabilmente la migliore della pellicola, per quanto insufficiente a colmare le mille lacune e perplessità che il film genera sullo spettatore nel corso della intricata, improbabile vicenda.
Pure i personaggi di contorno brancolano nel buio, schiavi di un contesto viziato da contorni improbabili e prefabbricati, di assai facile demolizione: l’eterea fidanzata del nostro sventurato protagonista, interpretata dalla bella ed angelica Julia Roy, si circonda di contesti familiari e logistici davvero fragili o poco plausibili. Ancor peggio accade al personaggio dell’editore del nostro ladro di manoscritti, francamente imbarazzante anche se nelle mani di un professionista come Richard Berry.
Il ricordo della Venezia plumbea ed evocativa dello smarrimento umano senza soluzione presente in Losey, è un miraggio lontano, e il film, che rifiuta in qualche modo orgogliosamente di ridursi ad un semplice remake, si impiastra qua e là di intrighi che complicano inutilmente una matassa assai troppo difficile da sbrogliare, facendo precipitare il film in un pasticcio senza un vero costrutto.
VOTO **
2) JOSEPH LOSEY - 1962
La fama a volte si guadagna con fatica, a volte è un dono di natura che va solamente ben gestito; altre volte invece la si compra…..o la si ruba.
Uno scrittore inglese di nome Tyvian Jones, corteggiato e lodato presso i più prestigiosi incontri culturali e mondani dell’alta borghesia di primi anni ’50, vivacchia di luce riflessa nella Venezia ingrigita di mezza stagione, trascinandosi di locale in locale. La fama che lo circonda, in realtà è frutto di un clamoroso ma non ben definito plagio, e l’ansia di produrre qualcosa degno dell’opera che lo ha reso famoso, spinge l’uomo verso una sorta di perdizione senza ritorno.
Intanto un produttore cinematografico, nemmeno molto segretamente innamorato della sua bella fidanzata Francesca, si appresta a trasporre l’opera del protagonista, in un adattamento destinato a venir presentato proprio alla Mostra del Cinema in laguna.
L’incontro con la prostituta seducente di mezza età di nome Eva, piazzatasi in casa dell’autore, in Laguna, durante una notte di bufera assieme ad un suo facoltoso cliente, fa perdere completamente la testa all’uomo, che inizia pure a respingere la fidanzata.
Completamente in balia della donna, l’uomo si spingerà a tornare a Venezia con lei, ospitandola non a casa sua, ma nel più lussuoso degli alberghi della città lacustre, ove la donna lo costringerà anche a pagarle la prestazione; la volta successiva, tornati a frequentarsi nella casa veneziana dello scrittore, i due vengono scoperti dalla bella fidanzata dello scrittore, che disperata finirà con l’ammazzarsi. Stravolto, l’uomo mediterà di vendicarsi, ma da codardo insicuro finirà per divenire ancor più succube della donna.
Una Venezia disadorna e fredda come la morte fa da scenografia gelida, pallida e pertinente a questa storia di aridità ed arrivismo con cui Joseph Losey, che traspone un romanzo del celebre filone letterario poliziesco francese “Série Noire risalente al ’46 scritto da James Hadley Chase, ci stupisce con riprese mobili ardite e di grande carisma mentre insegue i capricci dei vari tormentati ed inquieti personaggi, ci descrive una società arricchita e vuota che cerca disperatamente emozioni genuine, ispirazione, voglia di vivere e raccontare, senza riuscire più a provare emozioni se non a prezzo molto caro in termini di stima personale e sepoltura di ogni residuo spazio di orgoglio personale.
Jeanne Moreau, più seducente che realmente bella, come in effetti è sempre stata sin dalla giovinezza, è perfetta a rappresentare il cinismo che riesce a lavorare lentamente e a far soccombere ai sui piedi l’uomo inteso nella sua intera categoria. Il suo personaggio approfittatore, perverso, bugiardo, rispecchia i valori di una società decadente che tenta di ritrovare l’emozione genuina dedicandosi inutilmente all’arte: lei invece, scaltra, sfrutta queste ingenuità e percorre la sua strada sicura di riuscire a raggiungere la sua unica soglia di soddisfazione: quella che solo il denaro è in grado di darle.
Perfetto contraltare della splendida, solare ed ingenua Francesca, a cui Virna Lisi dà volto con una meravigliosa coerenza, dimostrando ancora una volta l’abilità di Losey a giostrarsi sulla scelta di un cast che contrappone così validamente due canoni femminili così diametralmente opposti.
Al limite della maniera, ma coerente con le sfumature controverse del suo protagonista, Stanley Baker ci offre un ritratto sopra le righe ma anche potente di una discesa verso gli inferi da parte di un truffatore senza arte né parte.
Nel ruolo del potente produttore, e voce di una coscienza ormai quasi sotterrata ed annientata, troviamo un altro attore italiano, il grande Giorgio Albertazzi, all’interno di una coproduzione franco-italiana di respiro internazionale, ma girata ed ambientata interamente nel nostro paese.
VOTO ****
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