Considerato il “padre del cinema africano”, Ousmane Sembène nasce a Ziguinchor, in Senegal, nel 1923, e muore a Dakar nel 2007. Proveniente da una famiglia di pescatori, educato all’Islam ma privo di un’istruzione superiore, Sembène approda alla regia dopo varie esperienze lavorative come artigiano ed operaio, l’arruolamento forzato nell’esercito francese e la partecipazione, come combattente, alla seconda guerra mondiale, l’emigrazione in Francia, e la militanza politica e sindacale, che proseguirà, in altra forma, nella successiva attività di scrittore. Intorno ai quarant’anni, subito dopo il suo rientro in patria, decide di proseguire il suo impegno sociale avvalendosi di un mezzo più adatto alla rapida diffusione delle idee presso la popolazione. È in questo modo che inizia la sua carriera di autore, produttore e regista di film dedicati alla causa africana. La sua filmografia comprende i seguenti titoli:
L’empire sonhrai (1963) (cortometraggio)
Niaye (1964) (cortometraggio)
La nera di ... (1966) (tratto dal suo racconto La noire de...)
Il vaglia (1968)
Il carrettiere (1970) (cortometraggio)
Tauw (1971) (cortometraggio)
Emitaï (1971)
L’impotenza sessuale temporanea (1975) (basato sul suo romanzo Xala)
Ceddo (1977)
Campo Thiaroye (1987) (premiato al Festival di Venezia)
Guelwaar (1992)
Faat Kiné (2000)
Moolaadé (2004) (premiato al Festival di Cannes)
L’opera di Sembène si distingue per l’accuratezza narrativa, basata su un realismo finemente articolato intorno ai drammi individuali, ma quasi mai esplicitamente tragico. Il suo modo di raccontare l’uomo, la sua condizione, la sua storia, il suo rapporto con l’ambiente è come la discussione di un problema che si attiene strettamente ai fatti ma non dimentica lo spessore letterario che caratterizza, comunque sia, la persona in sé, con il suo carattere forte o debole, la sua indole seria o scherzosa, la sua arguzia od ottusità. La durezza è sempre circondata da un alone di serenità, che è come la proiezione di una speranza, il primo barlume immateriale di una positività astratta che un giorno diventerà un’energia operativa e concreta. Il suo obiettivo, mentre descrive le situazioni e circostanzia il suo messaggio, non smette mai di guardare, per il semplice gusto di posare gli occhi sulla meravigliosa varietà del mondo.
La bellezza come promessa è quella veste incantata che copre anche gli eventi più atroci, o le scelte più sbagliate, mostrando, in sottofondo, quanto vicina e disponibile sia la possibilità di una vita diversa: un’alternativa che aspetta solo di essere notata ed abbracciata con la semplicità insita nell’amore, nell’onestà, nella comprensione reciproca.
Sembène, mentre denuncia le ingiustizie di ogni genere, inflitte al suo popolo dai dominatori stranieri o derivanti dai vizi interni alla società, invita l’Africa a scoprirsi importante, capace e ricca di risorse endogene, e, in generale, di tutto quanto possa bastare a definire, in maniera autonoma, il suo posto nel mondo. Gli “eroi” delle sue storie, che si presentano come le sparute avanguardie del risveglio dal sonno coloniale, sono, fondamentalmente, gli orgogliosi portatori di una fede nel proprio valore, che è attuale e presente, e deve crescere nella direzione del futuro. Il passato è solo l’incubo da dimenticare, la millenaria notte di arretratezza che non ha impedito lo sfruttamento, l’oppressione, l’umiliazione da parte delle grandi potenze ed ancora oggi continua a frenare lo sviluppo verso la modernità. I temi affrontati da Sembène sono molteplici e diversi come i mali che tuttora affliggono il suo continente (e non solo): i danni provocati dal colonialismo, la corruzione ed il clientelarismo, l’integralismo religioso e l’intolleranza, il mito del denaro e la povertà, la struttura patriarcale e la segregazione della donna, la mancanza di istruzione, la passiva imitazione dei modelli occidentali, il razzismo.
La precedente puntata de Il cinema degli altri:
(4) Bahman Ghobadi
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