“...oh andiamo tesoro...come sei scontroso oggi...”
“...ti prego, non sono affatto scontroso, è solo che vorrei finire il mio lavoro!!!”
“Ok, non ti darò fastidio, magari torno più tardi con qualche sandwich e mi fai leggere qualcosa.”
“Wendy, forse è bene che tu sappia che...quando vieni da queste parti mi interrompi, mi fai perdere la concentrazione, mi estrani, capisci? E mi ci vuole un casino di tempo prima che io riesca ritrovare il filo!Sono stato chiaro?”
“Sì.”
“Bene! mettiamo una regola nuova: quando io sto qua...e mi senti battere a macchina (tic..tic..tic), o non mi senti battere a macchina, qualsiasi cazzo tu mi senta fare qui...quando sono qui vuol dire che sto lavorando! Allora fammi il porco piacere di non venire! Tu che dici, ci riesci a farlo?”
“Sì”
“Brava, allora vedi di cominciare da adesso: levati dai coglioni!!!”
Ricordo ancora quel lontano giorno in cui, facevo la seconda media, tra l'ora di lettere e quella successiva di matematica entrarono in classe 2 persone: un signore elegante e una giovane ragazza molto carina. I due erano venuti a presentare un corso per dattilografia di 8 lezioni, che avrebbe incluso il noleggio di una macchina da scrivere da utilizzare a casa per gli esercizi. Il signore elegante ci magnificava i molteplici pregi di una macchina da scrivere, e di quante porte sul mondo del lavoro ci avrebbe aperto (soprattutto a noi femminucce) saper dattilografare velocemente. Mentre l'uomo parlava, la giovane ragazza molto carina batteva sui tasti, senza guardare il foglio, tutte le parole che venivano dette dal signore molto elegante a prova di come si sarebbe potute diventare brave se si fosse seguito il corso a pagamento di 8 lezioni. Tornai a casa tutta gasata, convinta che il mio futuro sarebbe stato quello di una elegantissima segretaria che senza guardare i fogli, avrebbe messo nero su bianco tutte le parole pronunciate dal mio bellissimo datore di lavoro (che, nella mia fervida immaginazione di dodicenne, in seguito avrei fatto innamorare e sposato).
I miei sogni furono stroncati appena tornata a casa, quando mostrando i moduli del corso ai miei genitori, si rifiutarono categoricamente di iscrivermi visto il costo elevatissimo di tutto il percorso (compreso il noleggio della macchina da scrivere che era esorbitante). Dopo molte trattative famigliari in cui io supplicavo di fare il corso per il mio avvenire di elegantissima segretaria promettendo di impegnarmi al 100%, e i miei genitori che mi illustravano tutti i corsi in cui io avevo promesso di diventare una campionessa olimpionica di nuoto, piuttosto che una pianista concertista di livello mondiale abbandonando piscine e corsi musicali dopo un paio di lezioni, riuscimmo ad arrivare ad un compromesso. Per il Natale di quell'anno ricevetti come unico regalo una Olivetti, che usai moltissimo nei primi mesi per scrivere lettere a chiunque, e che poi lasciai a mio padre per utilizzarla nel suo ufficio. Oggi è ancora a casa di mio padre, in un armadio, nella sua custodia originale.
I tasti della mia Olivetti erano rumorosissimi, un ticchettio che rimbombava per tutta la mia stanza e nel corridoio, fino alla cucina da dove arrivava la voce di mia madre che urlava “a chi stai scrivendo ora....?”. Quando sbagliavo a pigiare i tasti con il mio maldestro dito, dovevo scollare le aste delle lettere sovrapposte per poi utilizzare il bianchetto per cancellare l'errore, aspettare che asciugasse e ripigiare con più forza il tasto della lettera giusta. Un “lavorone”: per scrivere una paginetta mi ci voleva quasi un pomeriggio intero, ma la soddisfazione era tantissima quando tiravo il foglio dal rullo e ammiravo la mia composizione letteraria.
Nel cinema la macchina da scrivere è sempre stata un (s)oggetto “sostantivo”, ovvero che serviva per creare un'atmosfera particolare: un ufficio rumoroso di giornalisti indaffarati, uno studio legale che avrebbe concluso a breve indagini complicate, la stanza di uno scrittore solitario protagonista di avventure misteriose pari a quelle dei suoi romanzi.
Come non avere in mente perciò Paul Sheldon in “Misery non deve morire”-1990 di Rob Reiner, costretto dalla sua stalker a scrivere su una vecchia macchina da scrivere con una lettera difettosa, il suo romanzo di salvezza?
Le macchine da scrivere cinematografiche diventano una sorta di coscienza meccanica quando scrivono “involontariamente” frasi che rimangono stampate sulla carta quasi a testimoniare un filo conduttore tra mente e mani dello scrittore direttamente collegate con gli occhi dello spettatore, che così viene a conoscenza del vero stato d'animo del protagonista.
Altre volte la macchina da scrivere è lo strumento per risolvere complicati casi di omicidio o di riscatto, quando una lettera mancante piuttosto che una stampa sbiadita smascherano il proprietario dell'oggetto e quindi l'assassino.
La macchina da scrivere diventa il segno di riconoscimento di un poeta o di uno scrittore che non se ne separa mai, creando così un legame indissolubile.
Macchina da scrivere come compagno di ossessioni e ambizioni folli, come quella di Chuck Tatum del capolavoro di Billy Wilder “L'asso nella manica”-1951. Arrivare a causare la morte di un povero disgraziato imprigionato in una montagna, pur di scrivere una serie di articoli sulla tragedia umana e pubblicare tutto sui quotidiani più importanti d'America. Per Chuck Tatum il ticchettio di quelle macchine da scrivere è musica!
Le parole stampate acquistano un valore più intimo e romantico rispetto a quelle luminose sullo schermo di un pc, è come scrivere con una penna stilografica piuttosto che con una comoda bic. Solo oggi, utilizzando il pc per scrivere sul sito, ho imparato a scrivere velocemente con due mani, senza guardare i tasti. Non sono elegantissima, e tanto meno una segretaria che ha sposato il suo ricco datore di lavoro...ancora una volta i miei genitori erano stati lungimiranti, da lì a breve dal mio innamoramento per la dattilografia, la macchina da scrivere (e il suo utilizzo) sarebbe diventato obsoleto.
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