Utile come lo shampoo per un cane morto, necessario come l'ombrello in tempi di siccità perpetua e conclamata, però – e questo vince su tutto – valevole per il sottoscritto in forma di promemoria scolpito nelle sacre pietre dell'internette – laddove la memoria s'incancrenisce sempre più verso stati di gelatinoso ammasso fumoso e fumante bit di ricordi che sfumano –, ecco il breve resoconto di quanto vis(su)to al 35° Torino Film Festival.
Meno giorni di permanenza rispetto all'anno scorso, meno film visti, la stessa fantastica esperienza: d'incontri, d'incroci, di visioni – anche quando orribili o purulente o insignificanti–, d'impressioni novembrine, di camminate ginniche e di ginecea beltà.
Facce nuove facce vecchie facce filmtviane (oramai un manipolo ben riconoscibile di cinefili all'assalto di sale e sòle) facce vede' roba buona, su.
Avrete, presumo, letto recensioni e post e pezzi di cronaca dagli invi(t)ati alla sempre splendida manifestazione torinese – sulla quale aleggiano, ahinoi, venti di cambiamento (politico? …) che lasciano presagire molto poco di buono (per cui il buon Nanni Moretti in persona si è sentito in dovere di auspicare che le cose rimangano così come sono) – indi mi limito, appunto, a striminzite considerazioni sulle opere da me guardate.
Un'edizione dai contenuti forse meno interessanti degli anni scorsi, qualche problematica organizzativa di troppo (i tagli ecc., grazie a chi di dovere), nel complesso il consueto caleidoscopio globale di oggetti anche remoti e di difficile – se non impossibile – reperibilità.
Note di costume: visti Pablo Larraín (presidente di giuria), incrociata più volte Isabella Ragonese (in un'occasione m'ha pure soavemente spintonato!), ancor più bella che in video, da lontano Noomi Rapace e da vicinissimo Asia Argento. E critici annoiati, cinefili idrofobi, spettatori occasionali smarriti, volontari pazienti, signore e signori impazienti (di commentare/cianciare/spettegolare), bariste di una fantastica pasticceria crudista nei dintorni del Reposi spaventate (dal sottoscritto: ci sarò capitato cinquantadue volte, più o meno).
Segue descrizione dei film visti, in ordine cronologico, con annesse scioccherìe pseudocritiche (ribadisco l'ovvio e l'avvio, di poc'anzi: me serve come appunto mnemonico personale, nun rompete).
[p.s]. : ancor più in basso, testimonianze di strane presenze filmtviane ...]
1 - Most Beautiful Island (After Hours)
Un'ideuzza di partenza – sorta dal vissuto di Ana Asensio, che scrive-produce-dirige-interpreta-tetteggia (roba fake, decisamente meglio la modella Natasha Romanova) – attenente a certe dinamiche di segretezza e sessualità tra donne più o meno disponibili in cerca di affermazione e uomini ricchi e potenti (Eyes Wide Shut ecc., col telescopio of course) e poco altro. Scene “forti”, taglio minimal e l'incertezza dipinta sul volto (rifatto) della protagonista conducono i passi di una danza che, sebbene non malfatta, alla fine, non lascia che un deciso senso di trascurabilità.
Dimenticabile .
(voto : 5)
2 - Tito e gli alieni (Festa mobile)
Presentato in sala da regista e attori – tra i quali Valerio Mastandrea e la deliziosa Clémence Poésy – è la classica commedia per definizione “carina”. Ma oltre la cortina di carineria costruita e ricercata non riesce ad andare. Belle le location – i paesaggi lunari della famigerata Area 51 (il girato è tra Nevada e la westerniana Almería), – inusuale lo spunto “fantastico”, ma i ben noti toni da commedia de noantri virata in ottica napuletana (un umorismo di battute e situazioni facili facili) e un finale spielberghiano (nel senso più deleterio del termine) smorzano qualsiasi entusiasmo. Anche di chi ci vuole per forza vedere sintomi di una rinascita che non c'è.
Carino.
(voto : 6)
3 - Lauri Mäntyvaaran tuuheet ripset / Thick Lashes of Lauri Mantyvaaran (Festa Mobile/Torino Film Lab)
Qualcuno tra gli amici non l'ha capito (abbaglio di gruppo, autosuggestione collettiva, per me), in sala è stato accolto bene (non significa nulla, eh), peccato non ci fossero rappresentanti dell'opera (i tagli, ehm …): trattasi di coming of age finlandese intriso di sussulti giovanili riottosi (obiettivo lo status quo, di convenzioni quali matrimonio, le relazioni, le identità), tonalità tra il grottesco e il riflessivo, fragilità narrativo-dialogiche e gattini come non ci fosse un domani. Assai riuscito il ritratto della giovane protagonista (interpretato da Inka Haapamäki).
Intrigante.
(voto : 6,5)
4 - The Lodgers (After Hours)
E (finalmente) horror fu. A dimensione gotica, britannica (l'Irlanda degli anni 20, per la precisione), tra oscuri segreti, inconfessabili maledizioni-dono risalenti a misfatti antichi, fardelli ereditari più pesanti della morte stessa, rapporti fraterni (gemelli, lui e lei) al limite dell'indicibile, l'impellente sensazione/attesa di una dipartita prematura, le infiltrazioni degli estranei, l'inesorabile precipitarsi di cose e fatti e orrori. Serve altro? Soluzioni visive eccellenti (ci sono sempre l'acqua o i gemelli di mezzo) – vedasi la sequenza nel fondale lacustre, con l'implacabile ammasso di figure da paura che cerca di portare con sé negli abissi il malcapitato (pare quasi il “positivo” del nero inghiottente di Under the Skin) –, narrazione rigorosa, spirito adeguato, gallerie di volti notevoli (sia l'emaciato, malato Bill Milner che la pregna di responsabilità e peccati Charlotte Vega).
Elegante e maligno.
(voto : 7)
5 - Kuso (Notte Horror)
Primo assaggio della Notte Horror. Una schifezza. Un obbrobrio, impastato da Flying Lotus (rapper e musicista del quale, per fortuna, ignoravo l'esistenza) con rara attitudine per il disgusto e il fetido. Detta così, parrebbe pure roba buona. Invece no: la superficie di insistita sgradevolezza è una copertina per la totale mancanza di idee. Il “film” altro non è che un collage tedioso fino all'esaurimento di situazioni e personaggi carichi di un'estetica trash, sporca, fecale (vale giusto come esempio: guardatevi uno dei video dei sudafricani Die Antwoord, per capire) e una pesantezza che manco fagioli-con cotiche-con lardo-con grasso di maiale-con maiale intero potrebbero causare. E tutto per arrivare (ci scommetto uno zampetto di suino) alla scena clou: un pompino fatto da un brufolo “vivente” che alberga sul viso di una donna.
Merdoso.
(voto : 1)
6 - Game of Death (Notte Horror)
Secondo assaggio notturno. Teen horror come se ne sono visti tipo duemilacinquecentodue. Ma ancora più scemo, con gente scema che fa cose sceme e cose sceme che accadono senza soluzione di scemità. Un gioco di dementi. Altro che morte (da augurare a chi pensa/realizza/commercializza queste idiozie).
Scemo.
(voto : 1)
7 - The Cured (Notte Horror)
Terzo assaggio. Quello buono. Come essersi rifatti la bocca con una portata gustosa dopo un paio di piatti rancidi e tossici. Ambito zombie, ma da una prospettiva inconsueta: esistono cioè coloro i quali sono stati “curati” dall'impietoso virus, come possono essere “reintegrati” in società (dopo aver peraltro commesso, mentr'erano in stato zombesco, atti atroci anche a danni di familiari e conoscenti)? Evidentemente opera di genere dal taglio psicologico, con sottotesti e riflessioni intuibili (il diverso, l'emarginato, l'immigrazione, la scelta impossibile tra il bene comune e l'individuo) trattati con intelligenza e rigore, personaggi sfaccettati e scansione degli eventi esemplare. La star è Ellen Page ma a tirare le fila è il tormentato Sam Keeley, notevole.
Catartico.
(voto : 7,5)
8 - Beast (Concorso)
Un'esplorazione della natura e dell'animo bestiali: una rossofuoco ragazza problematica con madre oppressiva e trascorsi violenti e la sua relazione con un selvaggio biondo bello e (forse, probabilmente) pericoloso, avente come scenario un paesaggio bucolico-sospeso (l'isola di Jersey), un circondario da tipica comunità chiusa e l'attualità sconvolta dalle gesta di un serial killer di ragazzine. Ben scritto e recitato, il film procede solido e preciso sino al colpo di scena finale che precipita le cose in ambiti banali (la vendetta), disinnescando così quanto di buono era stato fatto prima. Peccato, la chiusura con l'unione di due anime a loro modo malvagie, capaci di comprendersi e abbracciarsi (splendida la scena con confessione a tavola e conseguente camminata mano nella mano verso chissà quali destinazioni bestiali) era perfetta.
Interrotto.
(voto : 6,5)
9 - Black Cat (Non dire gatto ...)
Un classico. Quello di EAP. Da cui è stato “liberamente” (ma molto, molto, molto liberamente, aggiungo io) questo Fulci datato 1981. Datato, male invecchiato, girato in economia e con povertà di idee, non è senz'altro tra i parti migliori dell'autore di … E tu vivrai nel terrore! L'aldilà!: se è dura digerire girato, montaggio e interpretazioni approssimativi, impossibile perdonare l'assenza di qualsiasi traccia dello spirito dell'incommensurabile Autore americano.
Grezzo.
(voto : 4,5)
10 - Revenge (After Hours)
Bella bambolina bionda (la “nostra” Matilda Lutz, una Amber Heard meno erotica) dopo essere stata stuprata finisce in un gioco al massacro con tre pericolosissimi brutti ceffi che la inseguono per mezzo deserto (così pericolosi che il più intelligente è un demente). Si rivela però – così, senza alcun paracadute narrativo, anche soltanto abbozzato – un letale mix tra MacGyver, Rambo e Barbarella. So' cazzi, eh, Che puttanata di film, peraltro iper-derivativo (pensate a un qualsiasi rape&revenge: ecco, ci sta pure quello!), e incredibilmente ridicolo per come è scritto. Col culo, si potrebbe dire. Specchio dell'anima di questo film nel quale la protagonista e il suo principale antagonista recitano, appunto, col posteriore (lungamente inquadrati quelli di entrambi), la loro migliore espressione.
Rettale.
(voto : 3)
11 - Passion (retrospettiva Brian De Palma)
Prima personale depalmata. Spettacolo. Godimento unico a pieno schermo, aria di cinema che più pura e vera non si può. Nominalmente rifacimento di Crime d'amour di Alain Corneau, è un Brian De Palma doc: costruzione hitchcockiana, messinscena raffinata e composita, lettura critica, propulsione ossessiva (temi e riflessioni di sempre: il doppio, la manipolazione delle immagini e delle realtà, l'inganno della psiche e delle memorie, l'assassinio, l'erotismo), architettura intimamente e divinamente e filologicamente cinematografica (regia-montaggio-colonna sonora da brividi).
Impressionante.
(voto : 9)
12 - Pop Aye (Festa Mobile/Torino Film Lab)
Bangkok andata e ritorno. All'on the road di un uomo dalla china irreversibilmente discendente (umana, professionale, sentimentale) in compagnia di un elefante vecchio e malconcio nel quale crede di riconoscere l'adorato compagno d'infanzia (ribattezzato, come da titolo, in onore del celebre personaggio americano visto in tv) verso la città natale (le radici) corrisponde un viaggio interiore nelle proprie paure, nell'animo interrotto. Così, alla pesantezza e alla forza del mastodontico animale, corrisponde una leggerezza di registro e di codici – pur contrappuntata da eventi anche drammatici – che riesce a penetrare negli occhi e nel cuore dello spettatore. Tra i più apprezzati in sala, giustamente.
Toccante.
(voto : 8)
13 - Seven Sisters (Festa Mobile)
La cosa migliore? Le parolacce, in italiano, di Noomi Rapace (insegnategli dal mitico Giannetto De Rossi), presente in sala. Simpatica, e iconica, lei. Ma il film è brutto. Classico fumettone all'americana (diretto dal regista del già orribile Hansel & Gretel) che sfrutta un assunto di estrema attualità – la sovrappopolazione – e ipotizza un futuro distopico non così lontano da una possibile realtà (la legge dell'unico figlio …) per imbastire l'usuale baracconata tutta azione e concitazione. Pessimo per scrittura, tendente alla ridicolaggine sia per come sono pensate le sette differenti personalità (un cambio di pettinatura, gli occhiali, e oplà!) che per certi momenti assurdi (i cambi d'abito nel finale).
Balordo.
(voto : 4)
14 - Arpón (Concorso)
Di scuole, adolescenti turbolenti e insegnanti problematici. Parte bene, con personaggi sulla carta interessanti – malgrado qualcosa turbi oltremodo (il comportamento invadente e molesto delle figure “educatrici” è incredibile) –, sembra pure incanalare nella giusta direzione l'evoluzione di un rapporto quantomeno complicato e squilibrato (il preside duro e burbero da un lato, l'alunna che spaccia iniezioni di botox alle compagne, dall'altro) per poi perdersi in derive sensazionaliste e scelte narrative che lasciano perplessi e delusi. Peccato, i due attori – li si può vedere sulla locandina – hanno la faccia giusta.
Sconclusionato.
(voto : 5)
15 - The Death of Stalin (Concorso)
Allora, c'è un primo, difficoltoso passo da superare, altrimenti non se ne esce. Tutti parlano inglese ma sono russi, raccontano una storia russa. Ere fa non ce ne saremmo nemmeno curati, ora (in particolare dopo Bastardi senza gloria) è uno sfarfallio costante negli occhi. Non oso pensare alla versione doppiata (che già l'italica titolazione è un obbrobrio insopportabile). Detto questo, l'opera scritta e diretta dal poliedrico Armando Iannucci (Veep, tra le altre cose) è una satira al vetriolo immersa nel più totale e totalizzante british humour, un perpetuo grande sberleffo a figure nell'immaginario rigide e severe, qui assurte a pupazzi dalla levatura balorda e miseramente umana. A tratti esilarante, d'una ferocia e d'una intelligenza notevoli, spedito come un treno ad altissima velocità e voracità verso la meta. Cast all star, di splendidi attori inglesi e un paio di “infiltrati” americani (Buscemi e Tambor).
Travolgente.
(voto : 7,5)
16 - Snake Eyes (retrospettiva Brian De Palma)
Seconda personale zampata depalmiana. Sticazzi, eh. Averlo visto più e più volte sul piccolo schermo (anni fa vi passava regolarmente) non toglie nulla alla spettacolarità della visione su quello grande. Inutile rimarcarne la grandezza, sterile sottolinearne l'importanza, perfino disorientante esaltare l'esaltata prestazione d'un mitologico Nic Cage la cui performance, più che sopra le righe, è una riga essa stessa disegnata con un pennarello a punta grossa che mortifica le altre. Cocainico ed eccessivo, è il motore pulsante e adulterato di un marchingegno pazzesco, condotto dal prode Brian là dove nessun altro è giunto prima.
Sfrenato e seminale.
(voto : 9,5)
17 - Bamy (Concorso)
Oibò. J-Horror, di fantasmi e ombre e visioni. A detta del regista, le tipiche apparizioni giapponesi manco ci dovevano essere. Chissà cosa ne sarebbe rimasto, visto che già non c'è nulla. Un nulla irritante e annichilente, sequenze sballate che trascendono la più semplice delle predisposizioni, citazioni novelvagueiane random, un incedere urticante per vacuità e insensatezza. Ombrelli ovunque, cinema da nessuna parte. A quel punto, un frammento in loop del rosso ombrello che ciondola sul pavimento, avrebbe rappresentato un'idea migliore.
Esasperante.
(voto : 2)
18 - The Crescent (After Hours)
Horror psicologico dalle atmosfere rarefatte sulla scia di The Others e affini: una mamma e il suo piccolo figlio (dopo dieci minuti però dei pianti e degli urletti di questo non se ne può più!) in una casa isolata sul mare dopo un incedente mortale che è costato la vita al rispettivo marito e padre. La dimensione è un limbo, i meccanismi sono oliati il giusto per giungervi; scelte azzeccate (il vecchio senza volto è una bella sferzata inquietante) e didascalismi di troppo contraddistinguono un prodotto solido nella sua struttura ma fragile negli effetti.
Passabile.
(voto : 6)
19 - Kiss and Cry (Concorso)
L'inizio fa temere a una versione francese e virata sul pattinaggio su ghiaccio di Ginnaste – Vite Parallele … Fortunatamente, non è così. La regista francese (che dietro ci sia una donna è fattore determinante e visibile) descrive con efficacia e acume, attraverso un'ottica documentaristica e un approccio naturalistico, un universo femminile in età adolescenziale (ma prossime alla trasformazione in donne) fatto di una quotidianità diversa (i sacrifici e il tempo spesi per allenamenti e gare tolgono inevitabilmente spazio alla “normale” vita da ragazze), di conflitti con le figure di riferimento (i genitori apprensivi e oppressivi, l'insegnante duro e cinico) e con le compagne (rivalità, bullismo), di incursioni nella sessualità (la prima volta, certo, ma anche lo scambio non sicuro di foto e immagini di nudo). Il tocco delicato, il rigore e la profondità necessari, l'assenza di pretestuosità: non originalissimo ma nel complesso un'ottima produzione.
Vivo.
(voto : 8)
20 - En attendant les barbares (Onde)
Dalla sezione più sperimentale, un altro Eugène Green – autore di rara intelligenza e cultura – fa capolino al TFF. Il titolo esplica la missione: i barbari sono tra noi, la tecnologia ne è veicolo istantaneo e famelico. Linguaggio (lingua, postura, pronuncia e ritmo delle parole, scenografia , teatro di posa) alla sua maniera, portato teorico implacabile e brillante. Almeno inizialmente, finché, cioè, un lunghissimo intermezzo centrale, costituito da interpretazioni in rima di eventi storici misconosciuti, non scade in una rappresentazione eccessivamente autoreferenziale nonché d'insostenibile accettazione. Poi ritorna sui binari giusti ma è troppo tardi.
Spezzato.
(voto : 4,5)
21 - A Taxy Driver (Festa Mobile)
L'avvertimento iniziale – «ispirato a fatti reali» – incute un minimo di timore (i biopic sono l'anticristo stolto del cinema, per quanto mi riguarda), ma siamo in terra sudcoreana. Il contesto storico-sociale è quello del “Massacro di Gwangju”, rivolta popolare del 1980 che causò migliaia di morti per mano della autorità militari che detenevano il controllo, ovviamente, anche sull'informazione. Un imprevedibile fattore esterno, difatti (un giornalista tedesco), fu il grimaldello che ruppe il giocattolo autoritario. Il registro è la tipica commistione di registri, marchio inconfondibile di molte produzioni asiatiche e sudcoreane in particolare: i toni leggero-grotteschi si evolvono con arguzia e incisività nel dramma e nei drammi dei terribili eventi di quei giorni, con picchi di action e tensione a costituire un unicum spettacolare. A guidare la corsa – dei tassisti “eroi” – l'incontenibile Song Kang-ho (un volto oramai popolare anche presso il pubblico occidentale: wikipediate pure, per ricordare dove l'avete visto e apprezzato), così intenso e vivo da far perdonare l'eccesso di retorica ed enfasi del finale.
Irresistibile.
(voto : 8,5)
22 - Essi bruciano ancora (Onde)
Nello spazio antistante la sala, finché s'era in coda, uno dei due registi accoglieva e salutava praticamente tutti, tra critici/giornalisti, familiari e conoscenti vari, parlando – a qualcuno di loro – di «progetto ambizioso». Convinto. Sarà ambizioso ma di cinema non v'è traccia. S'assiste invece, impotenti, a una sequela di immagini di repertorio, sequenze a camera fissa, sonate e voci narranti indisponenti, sceneggiate e gente che s'aggira con l'aria seria di chi pensa di partecipare a qualcosa di valido ma non ha capito né capirà un beneamato nulla. L'affresco storico – spunto l'unificazione italiana – è un manicheo, pretestuoso compitino a tesi.
Borioso (e inguardabile).
(voto : 1)
23 - They (Concorso)
J è They. Loro. Quattordicenne che in sé contiene lui, lei, e qualunque altra identità di genere. Ancora non ha scelto ma a breve dovrà farlo. I giorni che trascorrerà a casa con la sorella e il fidanzato iraniano sono perciò fondamentali. Diretto da una regista iraniana-americana, They è un lavoro introspettivo, che coglie l'essenza naturale delle cose (così come J si prende cura delle amate piante nella serra di cose) e ascolta il battito di anime fragili, adottando un respiro vansantiano, delicatezza nel tocco e sfumature, affidandosi a un protagonista (Rhys Fehrenbacher) convincente e pienamente addentro il travaglio di J.
Sensibile.
(voto : 7,5)
24 - Casting (Festa mobile)
Racconti di vita dal set. No, non è Boris (ma sembra sempre che un urlo di René Ferretti possa palesarsi da un momento all'altro). È roba tedesca. Per la precisione: l'adattamento televisivo del fassbinderiano Le lacrime amare di Petra von Kant, per celebrare l'anniversario della nascita del regista. Il problema dovrebbe essere la scelta dell'attrice protagonista, che la regista non riesce a trovare nonostante le audizioni anche di star. Ma, in quella che è la classica rappresentazione di un microcosmo costellato di personalità particolarmente complicate, scene madri (dietro, il set), confessioni, rivalità, chiacchiericcio, imposizioni dall'alto, emerge una figura tenuta ai margini, apparentemente presente per caso. Ben sviluppate le psicologie (l'attore sparring partner, la regista), costruzione narrativa solida, persino qualche accenno di sdrammatizzazione (so' tedeschi, eh …), finale efficace e adeguato.
Sorprendente.
(voto : 7)
25 - Wind River (Festa mobile)
Diretto da Taylor Sheridan – apprezzato sceneggiatore di Sicario, Hell or High Water, del prossimo Soldado e creatore/showrunner della serie Yellowstone, prevista per il 2018 – Wind River è un canto solenne della frontiera innevata, innervata di solitudini e crimini efferati, un posto arido e inospitale in cui – per dirla con le parole di uno dei personaggi – “si può solo sopravvivere”. Terra di prede e di cacciatori, che siano da una parte o dall'altra, di animali feriti e bestie che imparano l'arte della sopravvivenza. All'eccellente scrittura segue un girato esemplare (notevole la sparatoria nel finale), con la fotografia sugli scudi, ottima nel rendere la bianca luce delle bianche oscurità dell'animo, e un cast tutto in parte. Dialoghi strepitosi (pure troppo … par che ognuno abbia una sentenza sempre in bocca), la scelta (temporale) del flashback esplicativo che spiazza e risplende, solidità narrativo-estetico-tematica disarmante e (quasi) inscalfibile, qualche dubbio (l'impianto thriller che certa non brilla per originalità, inoltre: se invece della ragazzina dell'FBI ci fosse stato un panciuto cinquantenne??!), per un'opera che piacerà anche allo spettatore occasionale.
Granitico.
(voto : 7,5)
26 - Out of the Blue (AmeriKana)
Presentato da Asia Argento. Ma chissene. Lei per prima (malgrado lo stuolo di fotografi e cameraman tendenti al molesto … difatti, una gentile donzella con le sue attrezzature praticamente mi s'infilava in mezzo alle gambe. Amen). Lo ha definito “capolavoro”, questo Hopper del 1980 assai poco noto. E, dannazione, aveva dannatamente ragione. Copia rovinata – effetto Grindhouse (ma vero) su tonalità magenta – poiché introvabile (né è stato, finora, oggetto di restauro alcuno), maledettismo affiorante sin dai titoli di testa. Figurarsi dall'incipit (il camion guidato da Dennis Hopper che travolge un bus carico di bambini …). Film fottutamente, intimamente, politicamente, violentemente, esteticamente punk. Nella sua accezione più riottosa, selvatica, incontrollabile, anthemica. Una sonata ultra-veloce, fuori (dal) tempo, pure pregna di fuori sincrono (certi tagli di montaggio, soprattutto), che annichilisce per come osa, per quello che dice e per come lo dice. Un pugno in faccia e un calcio nelle palle. Roba da star male. Neil Young (da cui è preso il titolo) ed Elvis a far da numi tutelari, il punk di band balorde a frantumare pubbliche morali e vizi privati. E una protagonista – Linda Manz, già ne I giorni del cielo – memorabile, magnifica, così forte da creare dipendenza. Finale, letteralmente, esplosivo.
Incendiario ed epocale.
(voto : 10)
[ Asia Argento ed Emanuela Martini, direttrice del TFF ]
27 - Mary Shelley (Festa mobile)
Da amante del gotico, del romanzo di Mary Shelley, delle circostanze in cui fu concepito (Il vampiro di John William Polidori è una lettura che periodicamente assumo) non rimane che prendere atto della bruttura di questo biopic diretto dalla regista di La bicicletta verde (Haifaa al-Mansour). Palesi gli intenti di inseguire e sfruttare l'onda di film con modelli di eroine femminili: peccato così si riduca la figura dell'autrice inglese a sospiroso manichino senz'anima, ad accessorio di un romanzetto d'appendice. Sguardo teen, lettura generica e generalista, cornice d'epoca (per le masse) e contenuti fatui, automatismi da soap. E il film non c'è.
Misero (malgrado Elle, una dea qui scaraventata nei gorghi del nulla).
(voto : 3)
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[ cena tra gente che ne capisce, di cinema ... chi più chi meno ... ]
[ qui si discuteva di massimi sistemi. O di donne, probabilmente ("figa" si può dire??!). Giannisv66 e il sottoscritto. Gianni è quello anziano ]
[ Kurtisonic/Fabrizio - il saggio del gruppo - e Pablo Larraín, a sinistra. Chi ha chiesto la foto a chi?! ]
[ gente incurante dei pericoli della strada per perseguire le proprie passioni. Sempre Gianni, grande amante della fotografia e autore di scatti spettacolari (e non sono ironico) ]
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