Il cinema italiano (ma non solo) si spegne, se ne sta andando alla deriva. Il tempo passa e pur se sembra ieri quando improbabili (ma reali) cartelloni cinematografici attiravano l'attenzione degli spettatori con città contaminate, gatti rossi, orchidee macchiate di rosso, cannibali ferocissimi e città a mano armate, realizziamo che sono passati decenni. Realizziamo anche che Autori di certo livello, in grado cioè di plasmare i generi e trattare materia vile (o exploitation per dirla in gergo cinematografico) per trasformarla in oro, non ce ne sono più. E quelli che abbiamo avuto -e tra questi Lenzi era un nome da collocare in cima alla lista- sono sempre stati bistrattati dalla critica nostrana per essere poi stati tardivamente rivalutati grazie al recupero di più fortunati registi stranieri che ne hanno dichiarato le influenze subite (Quentin Tarantino su tutti).
Ma che in Italia, negli Anni '70 e '80, il nostro cinema potesse contare su grandi nomi (oltre ai registi, per estensione, il discorso andrebbe ampliato a sceneggiatori, musicisti, tecnici della fotografia scenografi, operatori e -perchè no?- doppiatori), le filmografie restano a testimoniarlo. Lontano l'idea di divagare dal discorso, che purtroppo è triste e che segue una lista infinita, e mette tristezza (altrettanto) infinita leggere i nomi di registi che, in ordine cronologico, nel 2017 ci hanno lasciato: Raniero Di Giovanbattista, William Peter Blatty, Pasquale Squitieri, Bill Paxton, Giorgio Capitani, Radley Metzger, Jonathan Demme, George A. Romero, Jerry Lewis, Tobe Hooper.
E adesso anche Lenzi. L'indimenticabile Umberto Lenzi, regista colto, appassionato di storia e raffinato (in tarda età) scrittore. Regista che ha saputo conferire dignità ad ogni lavoro cui ha dato il suo distinguibile contributo, qualunque fosse l'argomento o il genere trattato. Certo, poco fiero andava del filone cannibalico, con un terzetto di pellicole (Il paese del sesso selvaggio, Cannibal Ferox, Mangiati vivi!) che suo malgrado sono diventate di culto, soprattutto all'estero. Perché è lì, fuori dall'Italia, che Autori come Lenzi (e prima di lui Fulci) hanno trovato il meritato riconoscimento. Da noi ebbe una insolita accoglienza di critica Incubo sulla città contaminata (titolo poi diventato di culto grazie a Tarantino e citato -per non dire plagiato- da Robert Rodriguez in Grindhouse: Planet terror).
Le cose più originali Lenzi le ha fatte, forse, nel giallo: prima anticipando Argento e, soprattutto Sergio Martino, nella realizzazione di una trilogia con intrigo sexy-familiare interpretata da Carroll Baker (Orgasmo, Così dolce... così perversa, Paranoia), poi con una serie di gialli definiti (ingiustamente per quanto personalissimi) argentiani: Sette orchidee macchiate di rosso, Il coltello di ghiaccio, Spasmo e Gatti rossi in un labirinto di vetro. Fondamentale anche l'apporto al poliziesco, nella realizzazione del quale ottimo sodalizio stringe con Tomas Milian e compone tre perle come Milano odia: la polizia non può sparare, Roma a mano armata, Il cinico, l'infame e il violento prima di perdersi nelle vicende borgatare del Monnezza.
Ripensando a quali e quante emozioni il suo cinema ci ha regalato, viene il rammarico di non averlo mai potuto incontrare: fosse anche per il solo motivo di dirgli "grazie" per averci fatto spendere piacevoli ore nel vedere film che, purtroppo nel nostro Paese, per varie ragioni, nessuno è più in grado di fare.
Addio Umberto, ci rivedremo comunque su questi schermi, perché quando passerà in televisione un tuo film (che ci sarebbe da discutere sul cieco trattamento che l'home video ti ha riservato, con titoli ancora inediti in DVD tipo Il coltello di ghiaccio, Paura nel buio, Demoni 3) saremo in grado di riconoscerlo, come se in ogni fotogramma ci fosse impressa la tua firma...
Da Alice nel paese delle meraviglie:
"Il furetto disse a un topo, che incontrò subito dopo:
'Tu verrai con me carino, devo farti processare. E farti condannare per il tuo grande misfatto. Vedrai che a giudicarti senz'altro sarà un gatto'.
Disse il topo, poverino:
'Ma quale processo, caro signore? Senza giudice e senza giuria ...'
'Io sarò giudice e sarò giuria', disse il furetto con ironia.
'Ho deciso la tua sorte: condannato sarai a morte!'"
(citazione dal film Il coltello di ghiaccio)
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