“Nel 2024 i sistemi di intelligenza artificiale tradurranno le lingue straniere meglio dell’uomo. Nel 2027 condurranno meglio di noi autobus, camion e automobili. Per la scrittura di un best seller, invece, bisognerà aspettare fino al 2049.”
Da un po’ di tempo non si parla d’altro. E non solo perché è trendy o perché d’estate i media cercano qualcosa che possa tenere alta l’attenzione. In realtà pare che la progressione sarà davvero esponenziale: può darsi che nei prossimi vedremo molte cose che non ci aspettavamo, può darsi che davvero il mondo del lavoro verrà rivoluzionato, in bene o in peggio è da vedere. Elon Musk - il Ceo di Tesla, SpaceX, OpenAl e non si sa quante altre aziende che si occupano di tecnologie del futuro - tra le molte cose che ha detto (l’uomo non lesina visioni e consigli per il futuro) ci ha anche detto che sarà l’intelligenza artificiale a provocare la Terza guerra mondiale, ovvero la competizione per la superiorità in uno settore che si sta presentando come vitale.
Ora però cerchiamo di capirci, e di venire a noi. Anche perché la cosa - anche solo in quanto cinefili, se non in quanto futuri disoccupati - ci tocca. Che infinite attività compiute dagli umani possano essere integrate, facilitate, arricchite dalla macchine pesanti è indubbio. Che gli stessi umani - in un gran novero di queste attività - potranno essere addirittura sostituiti nell’operatività quotidiana riservandosi compiti di programmazione e controllo è altrettanto probabile e imminente. E se chiaramente non conviene in questo momento indirizzare i propri figli alla carriera del conducente, anche ruoli più prestigiosi - si parla molto in questi giorni ad esempio di chirurgia - potrebbero vedere una netta diminuzione. Per tornare alla frase iniziale - che fa riferimento a uno studio di Harvard e Yale sull’avanzamento dei livelli di sofisticazione delle macchine intelligenti - possiamo anche immaginare che nel 2049 una macchina scriverà un libro (dire però che sarà un bestseller mi sembra un po’ azzardata). Del resto è proprio dell’altro giorno la notizia che un tizio ha fatto scrivere a un computer il sequel di Game Of Thrones (che non è ancora finito!). Pare che ci siano un bel po’ di stramberie, ma mancano ancora 22 anni al 2049 (e solo uno o due al finale di GoT), per questo volta ci teniamo il buon vecchio George R.R. Martin.
Il fatto è che da nessuna parte si dice che razza di libro sarà questo benedetto bestseller del 2049: si dà per scontato che scrivere un libro sia come imparare a guidare un camion. Un'abilità umane come le altre, al pari delle altre. E invece io non la penso così. Perché un conto è offrire risposte, ma un altro conto è fare domande. Non dubitiamo che i computer - lo fanno già ora - siano in grado di offrire infinite, efficienti risposte, anche operative. Ma un’opera d’arte, un libro, un film contengono soprattutto buone domande. O almeno partono da esse. Quali urgenze animeranno mai i computer nel 2049? Quali bisogni espressivi, quali ricerche, quali intenti li guideranno? Quali trame inventeranno se non una combinazione di quelle che noi stessi gli avremo mostrato?
Io ho provato a ottenere una domanda da Siri, l’unica intelligenza artificiale con cui mi sia sin qui confrontato. Non impara nulla, capisce poco, e vi assicuro che ci ho messo una vita a riuscire ad avere una domanda. Non comprate i suoi libri, nel 2049.
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