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Un gigante solitario
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Difficile parlare, in un giorno in cui il mondo si scopre artisticamente più povero per la morte di Jeanne Moreau e quella di Sam Shepard, di cinema, di cultura, di teatro, di sogni di gioventù, di miti spezzati. Di bottiglie di tequila sul bancone di un bar del West o delle labbra più seducenti dell’intera storia del cinema.

Vorrei parlare di Sam, ma mi scopro del tutto incompetente per farlo, dato che non ho mai letto i suoi lavori teatrali, in primis The Buried Child e non ho visto alcuni dei suoi film. Allora, in questi casi, meglio forse chiudere il computer e leggersi alcune cose che ha scritto e altre scritte su di lui, tra cui anche lo splendido articolo di Matteo Persivale sul Corriere.

Il mio senso di riverenza verso un autentico genio letterario come lui mi impedisce di parlare di ciò che ha scritto, sia per il teatro, sia come romanziere, sia come sceneggiatore e, last but not least, come attore. Lascio ad altri il compito di farlo, perché più preparati, perché hanno letto tutto di lui. Parlarne, per me, sarebbe tradirlo.

Ho deciso allora, proprio perché non riesco a superare il disagio della su perdita, di ricordarlo con qualche annotazione, soggettivissima certo, ma scritta almeno con la sincerità che gli devo. Del resto, che cosa si può dire di qualcuno che non si è conosciuto? Spesso la biografia è altrettanto importante quanto la produzione artistica, perché attraverso di essa si riesce ad ottenere un grimaldello con cui aprire alcune porte, che altrimenti resterebbero chiuse e impedirebbero di far luce su alcuni aspetti non del tutto chiari presenti nei suoi lavori. Come ad esempio il rapporto con il padre, cui Sam fa spesso riferimento e che gli è servito per scrivere e interpretare molte sue opere e al quale ha fatto l’impossibile per cercare di non assomigliargli, neanche nel modo di camminare. Salvo poi, quando in età avanzata interpreta ruoli di “duro”, ritrovarselo davanti in tutta la sua devastante violenza, nel terrore di vederlo nel vano di una porta brandendo un Winchester o, peggio ancora, un coltellaccio da macellaio.

Oppure la sua relazione con Patti Smith, altro genio tanto indiscusso quanto ruvido e inafferrabile. A lei si deve un aforisma geniale del carattere di Sam:”Un solitario che non vorrebbe stare da solo”. Lo scrive nella prefazione di un libro di narrativa di Sam:”The One Inside”, non ancora pubblicato in Italia (ma uscirà l’anno prossimo per La nave di Teseo).

“Scrittore del West” l’avevano qualificato i critici letterari americani. Del West? Ma se sono nato in Illinois, pareva rispondere, piccato e seccato. Ma era forse invidia per vedere assegnare il premio Pulitzer a un homo novus lontano dai salotti newyorchesi e bostoniani, un uomo che scriveva in modo straordinario e che si portava dietro il peso di una tragedia umana autentica, non di maniera. “Non era un compagnone, ma tutti noi abbiamo lati oscuri, ma lui almeno li affronta con il sense of humour” dice Jessica Lange, altra sua compagna di vita.

Sense of humour, e cioè la dote dei grandi, di coloro che non si piangono addosso e che affrontano la vita di petto, con la fermezza di chi ha superato, o crede di aver superato, i traumi di un’infanzia sconvolta e si trova invece poi a ripetere certi passi, certe movenze che credeva dimenticate, perché odiate. Pur senza prendere a calci i cani, assume comportamenti e caratteri che mai avrebbe pensato.

Come in MUD, ad esempio, dove nel ruolo di Tom Blakenship, è il quasi-padre del protagonista. Ruvido, scorbutico e assolutamente contrario ad aiutarlo, salvo poi, essere capace di prendere a fucilate coloro che sono decisi a eliminarlo.

Oppure in COLD IN JULY, dove, nel ruolo di Ben Russell, diventa padre-giustiziere di un figlio sciagurato.

Ma tengo, come chiusa di un ricordo magari sconclusionato, ricordarlo in un film come ITHACA, L’ATTESA DI UN RITORNO diretto da un’ inaspettata ma sensibile Meg Ryan, agli esordi nella regia. E’ un buon film, tratto dal romanzo di William Saroyan, THE HUMAN COMEDY, del 1943. Nel ruolo di Willie Grogan, Sam ci lascia un regalo di compostezza, di nostalgia, di una vita vissuta con dignità, durezza ma anche con la capacità dei “giusti” di discernere una testa calda da un ragazzo promettente e di buona indole. La sua morte è un gioiello di pietas e di stanchezza (stanchezza di una vita già lunga, di dolori e sofferenze procurati senza portarne la colpa). Il messaggio che il telegrafo sta battendo e che lui dovrà consegnare al giovane Homer, un quattordicenne che ha appena cominciato a lavorare nell’ufficio postale già profondamente segnato dalla morte del padre, è di quelli che potrebbero sotterrare quel ragazzino. Il telegramma annuncia la morte in guerra del fratello. Willie non ce la fa: la sua è una morte

improvvisa e disperata; silenziosa e solitaria. Muore col capo reclinato sul braccio e la mano ancora sul telegrafo. Una delle scene più belle del film, che per alcuni aspetti, ricorda alcuni momenti toccanti de SALVATE IL SOLDATO RYAN.

Ormai Willie ha imparato a conoscere Homer, ne apprezza la sincerità, la voglia di imparare e migliorare. Ne conosce il suo lato oscuro: la morte prematura del padre; non può e non vuole o vorrebbe dargli anche questa nuova ferale notizia. Il dolore fa parte della vita, certo e ne scandisce i momenti , ne attenua la gioia per la vita, ne rapisce l’entusiasmo, ne frena le speranze e ne ghermisce gli slanci più autentici. Ma un dolore troppo grande rischia di cancellare anche quei pochi momenti di serenità che la vita, malgrado tutto, ancora ci lascia.

Un’interpretazione minore, ma ugualmente grande. Un estremo saluto, composto, corrucciato, silenzioso da questo mondo. Proprio come Sam avrebbe voluto. Riposa in pace, Sam.

 

 

 

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Ultimi commenti

  1. Carica precedenti
  2. maurri 63
    di maurri 63

    Eppure,siamo ciò che ci scegliamo. E se camminiamo accanto a Patti, peggio ancora a Jessica, beh, qualcosa non ritorna. Almeno, non nella ricerca di tranquillità. Forse, per chi vuole vivere all'ombra, è necessario trovare il sale altrove...Ciao, fixer!

  3. Tex61
    di Tex61

    Lo conoscevo veramente poco, ma l'ho apprezzato molto in Mud. Bel post. un saluto.

  4. GiorgioBlu
    di GiorgioBlu

    Grandissimo sceneggiatore, ricorderò sempre quel capolavoro di "Paris, Texas" 1984, oltre che un ottimo attore.

  5. Inside man
    di Inside man

    Aldilà della maschera cinematografica ormai scolpita nella roccia, penso sia una di quelle personalità che acquisterà (meritatamente) sempre più interesse e fama postuma.

  6. fixer
    di fixer

    I grandi artisti sono come i giganti di Gulliver: vivono in un mondo di piccoli uomini che non guardano mai in alto, salvo poi, una volta che il gigante muore, scoprire quanto era grande solo perchè si trova all'altezza dei loro occhi.

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