Vi è mai capitato di assistere a un dibattito in televisione e di accorgervi che - mentre si parla di uno specifico tema - nessuno dice la cosa che avete in mente e chi sembra tanto ovvia da farvi balzare su una sedia dal nervoso che vi viene?
Bene: mi sta succedendo adesso e lo dico a voi. Ma prima l’antefatto.
I francesi hanno fatto due cose questa settimana. Una buona, domenica scorsa. L’altra pessima l’altro ieri, ed è questa che ci riguarda.
Magari avete sentito la notizia: il festival di Cannes ha deciso che dal prossimo anno i film che parteciperanno al concorso dovranno garantire tutti il passaggio nelle sale francesi. Detta così, per noi che amiamo il cinema (e il cinema in sala, come no) sembra ovvia, quasi banale. Ma se si guarda da vicino, ecco che le cose prendono una nuova piega. La decisione è nata dalle polemiche suscitate dagli esercenti per due film - Okja, di Bong Joon-Ho, e The Meyerowitz Stories, di Noah Baumbach - che sono prodotti da Netflix e che quindi verranno poi pubblicati sulla loro piattaforma (come è successo l’anno scorso a Venezia, lo ricordiamo, per Beasts of No Nation, di Cary Fukunaga). Ora non è che Netflix non vuole che i film non vadano in sala. È che in Francia la regola vuole che trascorrano tre anni prima che un film che è passato dalle sale possa poi essere venduto in Dvd o in download, o trasmesso in streaming. Netflix ha chiesto di accorciare questa finestra: le è stato detto di no.
In realtà la direzione di Cannes - a leggere i giornali - ha detto di farlo per il pubblico: la sala è aperta a tutti, hanno detto, la piattaforma di streaming solo agli iscritti. E questa è la bugia palese che mi ha fatto saltare sulla sedia: primo perché le sale non sono ovunque e vi sfido, se abitate a Moulins o a Saint-Pol-de-Léon o magari a Cherbourg-Octeville, ad aspettare il passaggio in sala del film di Bong Joon-Ho. Secondo perché una piattaforma come Netflix consente di pagare l’iscrizione anche solo per un mese: in pratica con 5 euro vi potete vedere i due film suddetti e poi cancellare l’account. Penso che il biglietto nelle sale francesi costi circa 10 euro (qui potete vedere una tabella comparata dei prezzi delle sale nel mondo): quindi la cosa mi sembra anche abbastanza conveniente (e ciò senza contare che in quel mese pagato, su Netflix potete vedere tutto quel che volete).
È evidente quindi (e trascurando il fatto che alcuni dei film in concorso a Cannes l’anno scorso da noi non sono MAI andati in sala, Premio alla Giuria compreso, e difficilmente ci andranno) che questa decisione del Festival di Cannes non è a favore del pubblico, né a favore del cinema tout court: è a favore degli esercenti. Che nella loro relazione con le piattaforme di streaming assomigliano un po’ ai tassisti nostrani con Uber. Perché è evidente che non sarà con politiche protezionistiche che si fermerà il cambiamento in corso. Quindi i francesi mentono sapendo di mentire. Non solo: ma per proteggere gli esercenti decidono di chiudere le porte a film e autori, colpevoli solo di aver trovato produzione e distribuzione altrove rispetto ai circuiti sin qui sperimentati.
Per fortuna c’è chi è più ragionevole, come Alberto Barbera, direttore della Mostra del Cinema di Venezia, che ha detto in elegantese che i francesi sono matti: “Il ruolo è diffondere il cinema di qualità, selezionarlo, farlo emergere, sostenerlo in quanto tale e non per dove si può vedere”. Come a dire che un Festival non può essere asservito alle logiche di chi guadagna (distributori o esercenti che siano), ma deve avere come unico fattore di selezione e di valutazione il valore artistico dell’opera stessa. E mi sembra corretto. Sennò che lo chiamino il Festival dei Cinema, anziché del Cinema.
E voi, che dite?
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta