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Il segreto di Twin Peaks
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Piccola cronostoria personale.

Difficile parlare di Twin Peaks (1990-1991), la geniale opera televisiva di David Lynch che ha mandato in pensione i vecchi – e bellissimi – telefilm americani e aperto il nuovo corso della serialità televisiva modulata sull’ipertipicità delle soap operas (Pecere, 2013). Provo innanzitutto a dare un calibro personale a questo capolavoro narrativo ed immaginifico partendo proprio dalla mia esperienza diretta.

Era mercoledì 9 gennaio 1991. Ero in terza media ed eravamo da poco tornati a scuola dalle vacanze invernali. Già nel cortile, prima di entrare, si parlava di questo imminente e inquietante serial tv che stava scuotendo e appassionando l’America. Io ero tra quelli che non lo voleva vedere e non ricordo più il motivo – anche perché, proprio quell’anno, la nostra professoressa di italiano era riuscita a passare a me, al mio miglior amico e a due nostre compagne la febbre per i gialli di Agatha Christie. Quella sera, però, è successo qualcosa. Ero a casa con mia madre, mentre mio padre, operaio Enel, era ancora fuori e non era tornato per cena. Sapevamo che quando era reperibile capitavano certi inconvenienti, come per esempio il telefono che squilla alle due di notte perché il temporale aveva rotto qualche linea e così fuori di corsa sotto l’acqua in mezzo alle campagne. Ma quella sera non aveva avvisato e mia madre era preoccupata.

Io, come ragazzino, la prendevo diversamente, ma qualcosa di angosciante iniziava a insinuarsi in me. La televisione in salotto era accesa su Canale5 e mentre mia madre faceva avanti e indietro tra la cucina e la finestra del salotto che dava sullo scivolo dei box, veniva trovato il cadavere di Laura Palmer, ne venivano informati i genitori e la scuola e Ronette Pulaski camminava sui binari di un treno. Da quel momento non ho più staccato gli occhi da Twin Peaks e ne sono diventato un feroce seguace, nonostante professori, genitori e catechisti pressavano che non lo vedessimo. Ricordo per esempio l’insegnante di religione, un prete vecchia scuola, ma buono come il pane, che stracciò in classe il “Diario segreto di Laura Palmer” trovato sotto il banco a un mio compagno – lo davano come inserto su TV sorrisi e canzoni, e ce l’avevo pure io. L’atmosfera, come si può capire, era incandescente, soprattutto dopo che iniziarono ad arrivare le prime voci sull’identità dell’assassino. Voci che io dentro di me smentivo, per non rovinarmi l’agnizione finale, anche perché da buon neofita al giallo non avevo ancora appreso quasi nulla delle lezioni di Christie e Poe.

Avevo sospettato di tutti: da Benjamin Horne al dottor Hayward, da Bobby Briggs a Big Ed, da James Hurley al dottor Jacoby – il mio indiziato preferito. Ho pure pensato a Audrey Horne, a Dana, allo sceriffo Truman, a Pete Martell, al vice Hawk e perfino al maggiore Briggs. Tutti potevano essere gli assassini, tutti erano a loro modo colpevoli, ma solo uno era davvero il responsabile e l’idea che fosse il padre non mi piaceva, forse per un imbarazzo emozionale ancora abbastanza forte in me a quell’età o forse per la banalità della soluzione, che poi tanto banale all’epoca non era, oltre al fatto che sappiamo tutti che Leland Palmer è stato solo un veicolo, un veicolo per Bob.

 

Cos’è davvero Twin Peaks?

Anche questa non è una risposta facile. So di aver rivisto la prima stagione nel 2003 – ho scovato recentemente nel mio computer un “Diario di bordo” dove racconto trama e riflessioni di ogni singolo episodio – ma avevo completamente rimosso. Rivedere tutte e due le stagioni a 27 anni dall’emissione originale – in USA uscì l’8 aprile 1990 – e ricordarsi battute, rumori, stacchi, inquadrature e persino gli attacchi precisi del tema di Badalamenti, è la conferma che Twin Peaks non è una normalissima serie televisiva.

È sicuramente un serial tv di 30 episodi (29 + il pilota), diviso in due stagioni a loro volta divise in due parti: la prima, che finisce con il quindicesimo episodio, chiude l’arco narrativo riguardante il delitto di Laura Palmer; mentre dal sedicesimo episodio inizia la seconda parte legata a più trame parallele, come gli affari al One Eyed Jack, il caso Jocelyn Packard, la loggia nera e la loggia bianca, la sospensione di Cooper dall’FBI e soprattutto l’arrivo del gigantesco Windom Earle.

Va detto che la seconda parte di Twin Peaks, sempre creata e prodotta dal duo originale Mark Frost e David Lynch, non vede più quest’ultimo impegnato anche nella scrittura e nella regia dei vari episodi. Torna soltanto per chiudere in bellezza e con abbondanti cliffhanger le fasi finale di un serial già culto per i contemporanei, ma che nella sua seconda parte aveva perso per strada molto pubblico che, dai 34 milioni di telespettatori del primo episodio è sceso via via ad una media di 18/20 milioni, fino a precipitare ai 7/10 milioni degli ultimi undici episodi.

Nello specifico David Lynch dirige gli episodi 1, 3, 9, 10, 15 e 30, mentre a darsi il cambio di episodio in episodio nomi come Tom Holland, James Foley, Uli Edel, Stephen Gyllenhaal – padre di Jake e Maggie – e perfino Diane Keaton. Alla scrittura invece, oltre al concept, i più attivi sono Mark Frost e Harley Peyton.

Oltre a questa fotografia tecnica, cos’è davvero Twin Peaks? Sarò sincero, in rete esiste un contributo eccezionale del 2013 a firma di Paolo Pecere, Twin Peaks, il Tibet e il segreto della fiction, per cui non ho intenzione di lanciarmi in un’indagine sul caso Twin Peaks quando c’è chi l’ha già fatto prima di me e sicuramente meglio di quello che potrei fare io – per non dimenticare i volumi Mimesis David Lynch e la filosofia. La loggia nera, la garmonbozia e altri enigmi metafisici (Roberto Manzocco, 2010) e Da Twin Peaks a Twin Peaks. Piccola guida pratica al mondo di David Lynch (Andrea Parlageli, 2015).

Io posso limitarmi a dire cos’è per me Twin Peaks, ma per farlo quali parole migliori se non le stesse di Pecere: «Twin Peaks è in tal senso un luogo archetipico […]. Non è immediato definire in cosa consistano questo segreto e l’attrazione compulsiva che ad esso si accompagna, poiché esso risiede nell’atmosfera e nella struttura della narrazione, più che nelle vicende puntuali dei personaggi (Pecere, 2013)». Inoltre l’autore chiama in causa i fermenti e i brividi propri dell’adolescenza, gli stessi miei, per giustificare tale trasporto: gli “entusiasmi acritici”, i “momenti euforici”, le malinconie, i brividi, i turbamenti, oltre che a parallelizzare l’adolescenza con il tratto principale di molti personaggi del serial televisivo che «andavano alla deriva di un’eterna adolescenza». Rimando a questo fondamentale contributo per addentrarsi con intelligenza e curiosità nell’universo dell’immarcescibile cult lynchano – il link a fine post.

Twin Peaks, la serie, è Twin Peaks, luogo della finzione narrativa. Un altrove in un altrieri dove certi elementi tra il narrativo e l’estetico ne hanno determinato la fascinazione. A nessuno sfugge, per esempio, l’idea camp, un po’ weird e grottesca, con cui viene data un’anima al côté noir, thrilling e finanche orrorifico della serie. Twin Peaks – nella realtà North Bend, nello Stato di Washington –  è una cittadina del profondo nord degli Stati Uniti, confinante con la Columbia Britannica, e richiama quindi da un lato una precisa atmosfera, di confine, una condizione esistenziale liminare, borderline, e dall’altro richiama la teorizzazione del genere nordico di Leslie Fiedler, ovvero un genere votato all’incontro e scontro con la maestosa natura primigenia americana. Da qui, i tratti tipici di tali località: tutti si conosco, tutti andavano a scuola insieme, tutti si danno del tu, tutti frequentano gli stessi posti come la gas station di Big Ed, il RR di Norma e Shelly, l’ufficio dello sceriffo, il Great Northern Hotel – omen nomen che occhieggia a Fiedler – la segheria Packard, la Roadhouse e ovviamente i boschi, i prati, le stradine sterrate e le rive del fiume che completano un locus amoenus che si fa horribilis senza preavviso vomitando dal buio spiriti maligni, presenze fantastiche, tricksters e uomini di dubbia moralità. Un altrove come molte cittadine di provincia sparse tra campagne e vallate, picchi rocciosi e scogliere impervie, fiumi, laghi, pianure e spiagge anonime.

L’altrieri di cui si caratterizza la serie tv è dato dall’uso consapevole che i due sceneggiatori fanno dei costumi, del design di interni e di tanta oggettistica. Ci sono personaggi che sembrano usciti da un glorioso film degli anni ’50, altri ostentano abiti tipici dei luoghi di montagna, ma senza riferimenti ad una moda precisa e riconoscibile, altri ancora sono anonimi nei loro abiti di taglio contemporaneo. Un melting pot stilistico che, unito alla resa romantica di molti dei luoghi chiave della serie, come la Roadhouse, gli esterni, le abitazioni borghesi senza tempo, e gli agenti atmosferici che insistono sulla cittadina senza mai abbandonarla, come nuvole, foschia, uggiosità, grigiore, pioggia, freddo e soprattutto il vento, il forte e costante vento che scuote quei grandi pini che tanto hanno stupito l’agente Cooper al suo arrivo a Twin Peaks, crea un’opera d’arte bizzarra il cui kitsch estetico si accompagna a quello caratterizzante molti personaggi, come la Signora Ceppo, Andy e Lucy, Leland Palmer, Audrey, Pete Martell e lo stesso Cooper, compresi Nadine, il fratello di Audrey, Jacoby e così via. Anche gli ambienti sembrano fuori dal tempo, come l’oggettistica, la mobilia. Tutto in Twin Peaks contribuisce a creare Twin Peaks.

È nell’interstizio tra altrove e altrieri, e la nostra esperienza sensibile fatta di malinconie e nostalgie anzitempo, fatta di euforie improvvise, turbamenti, magnetismi terrici inspiegabili, pulsioni primitive e riflessioni razionali, che si trova la ragione di tale passione per Twin Peaks, i suoi personaggi, i suoi luoghi, i suoi dettagli, le sue battute, le sue sottotrame, i suoi villain e la voluttà scatenata dai suoi maggiori agenti erotici della serie – Laura, Dana, Norma, Shelly, Bobby e James, gli adolescenti trasgressivi che devono morire bruciati «dal fuoco demoniaco delle energie primordiali incautamente risvegliate (Pecere, 2013)».

 

Immagini cult.

La storia di una narrazione, soprattutto se audiovisiva, è fatta da immagini – anche evocate, nel caso di una narrazione letteraria. Di queste immagini, alcune restano impresse nell’immaginario pubblico e, se recepite ad una certa età – preadolescenziale o adolescenziale – o in certi momenti particolari della propria vita – fatti scatenanti come lutti, nascite, fughe, cambiamenti radicali, periodi di debolezza o di eccessiva trasgressione ed euforia – diventano archetipi di noi stessi, del nostro mondo, del nostro universo emotivo e riappaiono forti e ben marcati dei loro simbolismi nella rassegna delle nostre peculiari forme di rappresentazione del mondo e della vita. Tra le mie ce ne sono diverse che provengono proprio da Twin Peaks, arrivato come un fulmine in piena pubertà.

1) Il ritrovamento di Laura Palmer, uccisa e avvolta nella plastica, è un capolavoro narrativo. La musica di Badalamenti completa tale capolavoro con il suo tema memorabile, capace nella sua modulazione di risvegliare sopite malinconie, turbamenti rimossi e a provocare brividi di pietà e compassione in un turbine empatico senza precedenti. Nel momento in cui il cadavere viene girato e il dottor Hayward scopre il volto di Laura Palmer e la musica sale di tono nella sua struggente malinconia, si ha come l’impressione di aver sempre conosciuto quella povera ragazza. La sorella di un amico, la figlia di un conoscente, una compagna di scuola o di teatro, un’amica della biblioteca; una ragazza, in definitiva, che era già da noi conosciuta prima di esserci svelata, come un totem femminile a noi sconosciuto che ci portavamo dentro senza sapere.

2) Il modo in cui David Lynch annuncia ai genitori di Laura la morte della figlia, rasenta ugualmente la perfezione. A distanza, il padre al Great Northern Hotel e la madre a casa, entrambi in comunicazione per telefono, vengono a conoscenza della tragedia grazie al magistrale lavoro registico e di montaggio di Lynch. Un tatto, una discrezione, un amore per quelle povere persone che implode nella tragedia delle piccole cose, il cui contraccolpo è il dolore urlato e isterico della madre.

3) Anche la scoperta della morte dell’amica sui banchi di scuola è da brividi, oltre che ben orchestrata e congegnata. Tanti piccoli dettagli che, come motivi legati e dinamici, preannunciano la terribile rivelazione: un poliziotto entra in classe, una ragazza corre nel prato urlando e piangendo, un banco vuoto in classe, lo sguardo pietrificato della professoressa, il pianto e la consapevolezza di Dana e James e infine il comunicato del preside che ci toglie la terra da sotto i piedi.

4) Una ragazza mezza nuda, con dei lacci ai polsi, piena di graffi e lividi, cammina sui binari di un treno. È Ronette Pulaski, sopravvissuta al massacro di Killer Bob. Una delle immagini più conosciute e ricordate dell’intera serie.

5) Nel secondo episodio, la madre di Laura, abbracciando Dana, ha una visione. Dietro le sbarre del letto della figlia, accovacciato e imperturbabile c’ è Bob. Un’immagine che non ha nessun elemento iconografico orrorifico, ma è stata ugualmente capace di togliermi il sonno per qualche notte, convinto pure io di poter trovare sotto il mio letto, il boogeyman, il babau, l’uomo nero, il mostro atavico sputato dall’oscurità, con le fattezze di Bob, l’impressionante Frank Silva, alla sua unica prova d’attore, essendo solo un operaio scovato da Lynch sul set e morto poco dopo per AIDS.

6) L’interpretazione, intensa e inquietante, di Ray Wise è il fiore all’occhiello del comparto attoriale di Twin Peaks, ma la sua disarmante bravura emerge in due momenti cardine della prima sezione della seconda stagione: la confessione, grandissimo monologo supportato da una notevole interpretazione, tra il sobrio e il gigionesco, riflesso della feroce possessione di Bob; e la morte, lo straziante rituale di passaggio in cui Bob abbandona il corpo di Leland e il povero padre, cosciente del male commesso, spira serenamente. Un ottima maschera horror.

 

Twin Peaks 2017 – 27 anni dopo.

Laura Palmer l’aveva detto proprio nell’episodio pilota, “Ci rivedremo tra 25 anni”, e ha quasi avuto ragione. Con due annetti di ritardo dall’incredibile coincidenza, Twin Peaks torna con una terza stagione. Le poche notizie che si hanno prima della messa in onda del 21 maggio 2017 sono tutte buone. Mark Frost e David Lynch tornano alla produzione e alla scrittura, inoltre Lynch sarà il regista di tutti e 18 gli episodi. In più, torna l’intero cast della prima serie, invecchiato di quasi trent’anni, alcuni di loro irriconoscibili – James Marshall e Dana Ashbrook su tutti. E così ecco la bellissima Mãdchen Amick, Dana Ashbrook, Phoebe Augustine, Richard Beymer – uno dei mei personaggi favoriti -, Catherine Coulson e il suo Ceppo, Julee Cruise e la sua voce, Jan D’Arcy, David Duchovny, Sherilyn Fenn, Miguel Ferrer, Warren Frost, Harry Goaz, Andrea Hays (ovvero Heidi, la cameriera tedesca che ride e mette in moto il suo ragazzo), Gary Hershberger, Michael Horse – tra i caratteri più memorabili –, David Patrick Kelly, Sheryl Lee, Peggy Lipton – Norma, la sua bellezza, le sue torte e i suoi caffè –, addirittura la receptionist del Great Northern Bellina Logan, lo stesso David Lynch nei panni dello spassoso Gordon Cole, Kyle MacLachlan, James Marshall, Everett McGill, Walter Olkewicz ovvero il fu Jean Renault, Kimmy Robertson e le sue stralunate spiegazioni, Wendy Robie, Carlton Lee Russell, Charlotte Steward, Al Strobel da un braccio solo, Carel Struycken alias Lurch degli Addams alias il Gigante dei sogni di Cooper, Russ Tamblyn – altro carattere tra i miei preferiti –, il fondamentale Ray Wise, Alicia Witt e Grace Zabriskie (per adesso IMDb, menziona per tutti i diciotto episodi della nuova stagione solo i nomi di MacLachlan, Amick, Ashbrook, Lee, McGill, Robertson, Tamblyn, Wise e Zabriskie, mentre per tutti gli altri membri del vecchio cast sembra essere prevista l’apparizione per un solo episodio).

Mancano però clamorosamente all’appello volti fondamentali della vecchia stagione. Se escludiamo Kenneth Welsh, alias Windom Earle, Joan Chen, il tarantiniano Michael Parks e Victoria Caitlin uccisi nel primo episodio – anche se altri morti torneranno nella terza stagione –  e se escludiamo, purtroppo, Jack Nance, Frank Silva e Don Davis deceduti nei secondi anni ’90, restano assenti Eric DaRe, Chris Mulkey, Mary Jo Deschanel, Michael J. Anderson, Robert Bauer, ma soprattutto due pezzi da novanta come Michael Ontkean (lo sceriffo Truman) e Piper Laurie (Catherine Martell). Forse è solo una politica della produzione che non vuole svelare i propri colpi di scena, ma non trovare i loro nomi nella tanto attesa reunion getta un velo di tristezza sulla terza stagione, soprattutto se pensiamo che certe defezioni possano essere la conseguenza di un deterioramento dei rapporti umani e professionali tra i vecchi colleghi.

Tenterà di distrarre il pubblico da queste illustri assenze un cast ricchissimo di volti e nomi tra loro estremamente eterogenei che già mettono curiosità e interesse per il nuovo incubo lynchano. Sono stati scritturati per esempio: Monica Bellucci, Jim Belushi, Michael Cera, Laura Dern, Francesca Eastwood, Sky Ferreira, Meg Foster, Robert Forster nei panni di tale sceriffo Frank Truman, Ashley Judd, Jennifer Jason Leigh, Matthew Lillard, Tim Roth, John Savage, Amanda Seyfried – e io gongolo… -, Tom Sizemore, Eddie Vedder e Naomi Watts.

 

LINK UTILI.

Pecere, 2013:

http://www.minimaetmoralia.it/wp/corpo-immaginario-cinematografico-9-twin-peaks

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