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Crisi di Arturità
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Avete presente quelle volte in cui avete così tanto in testa una persona che vi sembra di vederla ovunque? Sembra la classica banalità da bigliettini nascosti in stantii dolcetti della felicità, ma sono cose che capitano sul serio (come tante banalità sdolcinate, d'altronde). Capita quando la nostra concentrazione e il nostro desiderio si ritrovano spiattellati uno sull'altro, incastrati uno nell'altro, a tal punto che la nostra percezione viene seriamente alterata. Aspettiamo così tanto una persona e desideriamo così tanto vederla, che quella là che cammina verso di noi, in quella strada piena di gente indaffarata e indifferente, finalmente, è proprio lei. C'è in quel momento un grado di convinzione tale che muoviamo anche qualche passo verso di lei, uscendo dal nostro stato di attesa spasmodica, come per sciogliere finalmente un grado di tensione quasi insopportabile. E poi, chiaramente, non è lei. E in quel momento in cui capiamo che non è lei, in quel momento ci casca il cielo addosso per la delusione e, animati da un sentimento ancor più spaventoso, ci facciamo più o meno questa domanda: "Come cazzo ho fatto e sbagliarmi, non hanno niente in comune." Salvo il fatto di essere uomini, ossia appartenenti al genere umano, ovviamente. Cosa che rimette completamente in discussione il concetto di alterazione della percezione: qual è lo stato alterato, quando non riconosciamo nessuno o quando vediamo qualcuno in chiunque?

Tra i contenuti segnalati in questa settimana sulla nostra homepage (e anche in newsletter) vedo un filo rosso che unisce tutto. C'è una confessione personale, spirituale, carnalissima e molto cinematografica di Maghella abilmente illustrata da scene di film. Una lista sui freak, sui diversi, sugli outsider di sandy 22 in cui figura anche Elephant Man, uno dei miei film di culto al quale sono particolarmente legato. C'è Conosci te stesso, una playlist di pellicole accomunate da protagonisti costretti a fronteggiare il proprio passato, il proprio futuro, cloni e copie. C'è una lista di ricordi di vita legati al cinema (o di film legati a filo doppio alla vita). E c'è Hayao Miyazaki che si è messo al lavoro su un nuovo film. Insomma è l'identità, con le sue diramazioni, le sue negazioni e le sue radici a farla da padrona, a condurre la danza. Giusto per rimanere in tema, oggi ho passato mezza giornata con mio padre. Sono andato a prenderlo e l'ho accompagnato a fare le procedure per il rinnovo della carta di identità. Mentre cercavamo il posto per fare le foto - sempre massima organizzazione, sì! - lui mi ha chiesto: Quante foto servono? Quattro, papà. Ok, allora già che ci siamo, visto che queste saranno le ultime foto formato tessera che faccio nella vita, facciamone dodici. Una frase che ritengo incredibile. Che dietro un'apparente, funebre, contraddizione (ultima foto/facciamone dodici) nasconde una glaciale manifestazione di ottimismo: voglio vivere ancora a lungo ma per favore con questa storia delle foto fermiamoci qui, grazie.

Non posso chiudere questa newsletter senza segnalare un'altra cosa, bella, che succede nella mia vita proprio in questi giorni e che conclude adeguatamente questo testo offrendogli anche il titolo: stavo camminando in una strada piena di gente quando ad un certo punto un tizio mi ha piantato gli occhi in faccia obbligandomi a fermarmi un attimo: si chiama Arturo e siamo rimasti amici anche se io non ero esattamente lui.

Essendomi guadagnato ampiamente la mia dose di recriminazioni per eccesso di personalismi da database (che comunque dopo l'ultima newsletter mi ha stupito con un'affermazione lusighiera decisamente inattesa) lascio a voi il compito di giustiziare il mio pusher per tutta la brutta roba tagliata male che mi sta passando. Oppure più semplicemente potete utilizzare l'apposito modulo dei commenti per ricoprirmi di offese in totale libertà.

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