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La poltrona, l'orizzonte e il precipizio
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Qualche giorno fa, curiosando tra i contenuti della community, sono incappato in una playlist intitolata "I film che hanno segnato la mia vita personale e professionale". Più un abbozzo di playlist, in verità, priva di introduzione e di testo sui film scelti, ma lo spunto mi ha fatto ritornare in mente un folgorante romanzo di Michael Cunningham intitolato "Carne e sangue", in cui il protagonista viene descritto nelle prime dieci pagine del libro esclusivamente grazie a tre freddissimi flash, tre brevi racconti che descrivono tre momenti chiave della sua esistenza. Siamo abituati a pensare di essere infinita somma di piccoli e grandi accadimenti e conduciamo esistenze che nella maggior parte dei casi non lasciano (fortunatamente?) sufficiente spazio ad eccessive speculazioni su chi siamo, salvo trovare sempre molto spazio per coltivare le nostre disillusioni su chi avremmo voluto essere. Quella sintesi estrema in "Carne e sangue" mi aveva colpito: quell'idea di ridurre se stessi in base 3 invece di considerarsi somma infinita di momenti frattali apparentemente in movimento eppure inchiodati in una specie di paralizzante paradosso Zenoniano.

Sono passati 45 anni da quando ho iniziato a guardare film (cosa non ci si inventa pur di rimanere al di sotto della soglia dei 50, eh?) e facendo un breve calcolo a spanne e cioè moltiplicando questi anni per una media di 50 film all'anno (uno alla settimana non è neanche tanto) risulta che dovrei aver visto quasi 2500 film. Se li osservo e penso a loro li vedo come una lunga catena di eventi, a volte collegati, a volte semplicemente accumulati, dalla quale ho già estratto, come tutti, liste più o meno corpose di film preferiti, ma questo di oggi non è lo stesso campo da gioco e forse non è neanche lo stesso sport: oggi scelgo tre soli film, quelli che mi hanno scardinato, ferito o apparentemente curato. I tre film giusti arrivati al momento giusto.

Quando ero piccolo mio nonno viveva con noi e fumava le Kent. Una dopo pranzo e una dopo cena, quando iniziava il film in tv e lui se ne stava sprofondato nella sua poltrona di velluto marrone. I miei genitori uscivano spesso e io dopo il carosello andavo a letto. A letto non significava affatto che dormissi. Me ne stavo lì con le orecchie dritte ad ascoltare l'audio della televisione accesa, finché una sera non decisi che ascoltare era bello ma non abbastanza: io volevo vedere. Rivestito da un probabilmente orribile pigiamino CAGI strisciai per un tempo interminabile fino alle spalle di mio nonno seduto sulla sua poltrona marrone in modo da avere una visuale perfetta senza essere visto. I titoli di testa de I diabolici di Clouzot visti attraverso le volute del fumo della sua Kent serale sono intimamente legati alla sensazione che una cosa proibita può essere giusta per me e che il freddo e la durezza del marmo possono diventare irrilevanti per procurarsi un piacere o realizzare una visione. Da quella volta comunque mio nonno mi risparmiò il marmo: quando c'era un film che meritava, veniva a prelevarmi direttamente lui dal letto concedendomi un angolino della sua poltrona e dimostrando anche che i nonni possono essere più lungimiranti, o almeno più lucidi, dei padri.

Il 1997 è stato per me un anno di viaggio. Un intero anno di viaggio intorno ai 30 anni equivale ad un salto nel vuoto. Tutti quelli che avevano un minimo di struttura me lo hanno detto, quando sono partito. Tutti quelli che mi volevano bene, mi hanno detto anche che sarebbe stato meglio prendere un semplice aereo direttamente da Milano a Nuova Delhi invece di partire con uno zaino per un viaggio via terra che avrebbe attraversato Grecia, Turchia, Iran, Pakistan e India. Il 1997 è stato un intero anno di matrix, una pillola blu presa tutti i giorni, un viaggio matrioska che ogni giorno si apriva svelando al suo interno scenari che mi obbligavano a rimettere in discussione tutto ciò che credevo di avere acquisito il giorno precedente. E in genere nella vita, fino a quel momento. Al ritorno dall'India il primo film che vidi al cinema fu The Truman Show. Dall'orizzonte di polistirolo Truman salutava tutti per inseguire l'amore della vita vera o per la vera vita. Io non sapevo ancora da che parte del polistirolo mi trovavo, se nel mondo ricostruito ci stavo rientrando, se ne stavo uscendo. Non ho ancora una risposta ma quando Truman realizza di quale materia è costituito ciò che credeva essere il suo orizzonte, qualcosa in me trema e poi si rompe.

3, 2, 1, play. La musica non era difficile ascoltarla insieme pur essendo lontani, ma il cinema aveva bisogno di un po' più di organizzazione. Deciso il film e decisa l'ora, c'era bisogno dell'aiuto della tecnologia per aggiungere un livello di interazione attraverso il quale liberare le nostre affinità: una chat aperta su skype andava benissimo. E poi 3, 2, 1, play. Un flusso di dati, avanti e indietro, per compensare la distanza, per rappresentare la vicinanza. Pacchetti di dati digitali inviati, ricevuti, portatori sani di sentimenti allo stato fluido, che non conoscono limitazioni di sesso, colore, età. Il terzo film giusto al momento giusto è stato Harold e Maude: amare non è un'opzione, è una condizione che non tollera condizioni. Il corpo può essere un impedimento, transitorio, ma l'importante è continuare a danzare suonando un banjo, sull'orlo di un precipizio.

Se per caso questo testo vi ha fatto venire voglia di esporvi sappiate che lo spazio commenti aspetta proprio i vostri tre film giusti, arrivati nella vostra vita al momento giusto.

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