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C'è questa bambina che avrà più o meno 14 anni. Sta scartando un grosso pacco rivestito di cartone. Presumibilmente un regalo di compleanno. Ci troviamo all'interno di una macchina. Al di là del finestrino si intravede un parcheggio semideserto, al di là del parcheggio una periferia, in lontananza edifici commerciali, oltre ancora, l'America.
La bambina è rossa in volto, agitata prosegue la sua opera di smembramento dell'imballaggio, finalmente arriva ad una custodia di pelle. Dentro c'è un fucile nuovo di zecca. La bambina piange, di gioia.

La prima volta che ho visto questo video è stata senz'audio. Poi ho guardato con maggiore attenzione il contesto in cui il video è stato pubblicato: la pagina Facebook ufficiale (americana) della Beretta Spa. Ho riguardato il video, ancora senz'audio perché non pensavo che mi avrebbe dato elementi in più. La bambina si chiama Presley. Il fucile è un 686 Silver Pigeon da caccia smontabile. Le sue mani piccole e sudate per l'emozione non riescono neanche a liberare il fucile dall'imballo per cui riceve l'aiuto della sorella di cui si vede solo un braccio. La sua felicità è sconcertante, resto pietrificato. Questo video è un vero e proprio horror a più livelli, decido di entrarci. Attivo l'audio.

Il primo livello d'orrore non è inquadrato ed è rappresentato dalla premessa, fuori campo, che una famiglia ritenga opportuno regalare un fucile ad una quattordicenne.
Al secondo livello d'orrore risiede la felicità di Presley nel momento in cui intuisce il contenuto del pacco. Da lì in avanti riesce solo a ripetere come una nenia "Non ci posso credere, è incredibile". Ha ragione: è piuttosto incredibile che negli Stati Uniti sia più semplice comprare un fucile che una birra.
L'orrore del terzo livello è rappresentato dal fatto che all'interno di questa macchina ci sia una intera famiglia riunita, l'urgenza di consegnare il fucile regalo in un parcheggio è orribile, la normalità con la quale si estrae un fucile in un parcheggio è agghiacciante, la famiglia incalzante e festosa, infine, relegata al solo livello audio, è un fuori campo di una violenza che neanche Haneke.
Al quarto livello c'è la scelta ripugnante della Beretta Usa, di pubblicare questo video sulla propria pagina ufficiale augurandosi, testuali parole, di far piangere il pubblico per la commozione e coniando per l'occasione l'hashtag #BerettaJoy.
Obiettivo raggiunto: ho pianto senza #Joy, con molta #rage.

Sono circondato da America in questi giorni. Dall'America che si chiude in se stessa con i Wall e i Ban e che in qualche modo risuona con l'horror di Presley e da un'America più intima, sfaccettata, strutturata, sofferente, che mi arriva addosso attraverso Transparent, una serie che avevo lasciato in sospeso e che ora mi sta invece conquistando. E squassando. Apparentemente focalizzata sulle traversie di un uomo che ad un certo punto decide di esporre la sua femminilità al mondo, Transparent è espressione precisa dell'ambivalenza della sua creatrice Jill Soloway: da un lato racconto di formazione autobiografico femminile e femminista, dall'altro impietoso ritratto nichilista dal quale emerge, e vacilla, una società patriarcale violenta da combattere con gli strumenti della poesia e dell'intelligenza. E il rischio, o almeno la paura, di replicarne la violenza in forma sotterranea, risentita, egoriferita - come i personaggi della serie - e dunque autodistruttiva.

Nel corso di una fluviale ed articolata intervista sul New Yorker, Jill Soloway dice una cosa che ad un primo livello di pensiero sembra, considerando il personaggio e la sua storia, molto conservatrice ma che evidentemente rappresenta un punto cospicuo nel suo percorso umano e femminista: "Noi donne siamo registe nate, lo sappiamo fare benissimo. Come hanno fatto gli uomini a convincerci del contrario? Si tratta di manovrare bambole. Lo abbiamo sempre fatto, siamo cresciute facendolo: si tratta di bambole, bambole e sentimenti".

Bambole e sentimenti, Presley. Non fucili.
Thanks, Parents.

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