Espandi menu
cerca
Buon (Comple)Anno Dylan Dog! 30 anni di ricordi tra passato e futuro, cinema e fumetto.
di Roger Tornhill ultimo aggiornamento
post
creato il

L'autore

Roger Tornhill

Roger Tornhill

Iscritto dal 18 ottobre 2010 Vai al suo profilo
  • Seguaci 88
  • Post 19
  • Recensioni 40
  • Playlist 7
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

 

Qualche sera fa ho fatto come Marty McFly e son tornato indietro nel tempo di 30 anni, ma senza De Lorean volante. Mi è bastato il divano e la copia del primo numero del mio fumetto preferito di quand'ero adolescente, Dylan Dog. Già, perché rileggerlo dopo tanti anni mi ha riportato con la mente a quell'epoca e a quel che Dylan rappresentò per me, ma credo anche per moltissimi altri ragazzi di allora, nel leggere le storie di un personaggio davvero unico. Avevo 15 anni quando quel 26 settembre del 1986 comparve in edicola e da molti ero un fedelissimo lettore bonelliano: cominciai fin da piccolo con Zagor (come racconto con altri amici di FilmTV in quest'altro post collettivo), ma leggevo anche Tex, Mister No e Martin Mystère. Quando però sul retro di quegli albi iniziò la sua "misteriosa" campagna pubblicitaria ne fui subito incuriosito. Vuoi forse perché fu proprio allora che iniziai ad accostarmi al cinema con maggiore passione e l'horror era uno dei miei generi preferiti, come poteva non stuzzicarmi un fumetto che, per la prima volta nella storia della grande casa editrice milanese, salvo momentanee incursioni di altri suoi eroi nel genere, alla paura e all'orrore era totalmente dedicato? Quella lettura fu qualcosa di unico, mai un fumetto mi aveva dato quelle sensazioni e capii di trovarmi davanti a qualcosa di nettamente diverso dal solito. Consumai quell'albo, leggendolo così tante volte che imparai a memoria le battute dei personaggi. Non sempre il primo albo di una serie è necessariamente buono, vuoi perché legato a vincoli di sceneggiatura che impongono una determinata struttura che presenti il personaggio, la sua psicologia e i suoi comprimari e quindi l'autore è forse più "ingabbiato" dentro paletti di cui negli albi seguenti, se il personaggio avrà successo, potrà liberarsi avendo più libertà creativa. Ecco invece che L'alba dei morti viventi lo considero un piccolo capolavoro e trovo che pur non contravvenendo a queste regole le inserisca in una trama molto avvincente. Fin dal titolo è chiaro l’omaggio a George A. Romero: viene citato anche in una sequenza con i disegni identici ai fotogrammi di un altro suo film, Zombi, che Dylan che vede al cinema per una maratona horror, assieme a un altro mio personale cult, Un lupo mannaro americano a Londra. Come potevo non avere un colpo di fulmine?

Niente di meglio che del buon cinema in attesa del prossimo treno...

L'inizio della lunga sequenza della fuga dagli zombi del Dottor Xabaras...

...è il preludio a una scena e una frase poi ricorrenti: "Groucho! La pistola!"

Quella storia ha un taglio cinematografico che appassiona pagina dopo pagina, merito di una sceneggiatura calibratissima tra orrore, dramma, avventura e (auto)ironia (che pure adoro). E di disegni affascinanti, opera del bravissimo Angelo Stano, poi copertinista della serie al posto del grande Claudio Villa. Il merito del suo successo va senza dubbio a Tiziano Sclavi, creatore del personaggio, ma anche all'intuizione di Sergio Bonelli di far apparire un simile fumetto in quel preciso momento, dando fiducia a Sclavi e colmando un vuoto che per molti di noi ragazzi era tangibile, trasformandolo in pochi anni da semplice fumetto a fenomeno di costume, una vera e propria icona di quell'epoca, mai più eguagliata da altri fumetti, rendendo popolare un fumetto che aveva ambizioni più d'autore. Gli splendidi testi di Sclavi erano accompagnati dal tratto poco "classico" di vari disegnatori: il già citato Stano, l'argentino Gustavo Trigo, Corrado Roi coi suoi magnifici chiaroscuri d'atmosfera, il "surreale" Luigi Piccatto e molti altri. Quasi chiunque all'epoca, da persone comuni a intellettuali come Umberto Eco, impazziva per Dylan. E da bravo nerd appassionato qual ero e visto che il merchandising ufficiale ancora non esisteva, creai la mia prima maglietta taroccata, su cui disegnai in bianco e nero una delle prime copertine, con un diavolo che gli appare tra le pagine di un libro. Tra le storie che ricordo con più affetto ci sono la meravigliosa Memorie dall'invisibile, Dopo Mezzanotte, Il ritorno del mostro, Diabolo Il Grande, il doppio episodio de Il castello della paura, Johnny Freak e molte altre.

La fama non fu però immediata e arrivò solo in seguito: all'inizio vendette poco e Sclavi pensava avrebbe chiuso dopo qualche numero, ma per fortuna si sbagliava. Regalò ai suoi lettori pagine di qualità altissima, in quel mix perfetto di ingredienti che l'umanità e il romanticismo di Dylan Dog amplificarono (come potete leggere anche in questo bel post di Stanley42), facendo innamorare sempre più fans e decretando la meritata fama che ebbe poi, trascendendo il personaggio di carta e rendendolo tangibile, uno di noi. Forse fu proprio per quello che piacque tanto: Dylan non è un eroe, non sa sempre cosa fare, anzi... sono proprio i suoi dubbi, le sue debolezze e la sua grande sensibilità a rendercelo più vicino e simpatico. La sua psicologia era così ben delineata da farne un amico: leggevi le sue storie e gli volevi bene, sentendolo vicino a te e forse era proprio così. Chissà se non fu anche per questo che entrò anche nel cuore di moltissime ragazze, una novità assoluta in casa Bonelli, da sempre abituata a un pubblico perlopiù maschile. Ma torniamo al cinema: Sclavi, cinefilo onnivoro e appassionato, con la sua grande poetica seppe quasi sempre esaltarne gli spunti in modo nuovo, sia fossero titoli di successo, che d'autore o di nicchia: ad es. il n. 12, "Killer!", dalla copertina omaggia Terminator e quindi si potrebbe pensare a Dylan contro il cyborg di James Cameron, ma per fortuna non è (solo) così e la storia prende poi una piega diversa, andando a ripescare antiche leggende di cui ci parlò anche il cinema muto! Sclavi era capace di creare un racconto che sposava cinema moderno e delle origini in una commistione che funzionava alla grande, facendo conoscere agli adolescenti di allora anche grandi film del passato.

Il gioco citazionista ebbe "un concorso senza premi e senza vincitori", dove i lettori scrissero in redazione e chi indovinava aveva il suo nome pubblicato sulle pagine interne (a me capitò ne La dama in nero e Dopo mezzanotte), o proponendo battute per Groucho per albi futuri. Insomma ci fu una partecipazione attiva tra il creatore del fumetto, il suo personaggio e i lettori, un legame forse più unico che raro, che unito alla qualità delle storie ebbe un apprezzamento sempre maggiore, portando le vendite a record mai visti prima. Come poteva Sergio Bonelli dire grazie alla miriade di aficionados e ripagarli del successo tributato a Dylan? Lo fece con un evento indimenticabile e gratuito (gli sia sempre lode anche per questo) a cui chiunque partecipò credo porti ancora il ricordo nel cuore - e lasciatemelo dire: "io c'ero!" - , il Dylan Dog Horror Fest. 

Si svolse a Milano, in vari cinema per le prime due edizioni di fine anni '80 e al PalaTrussardi nel 1992 e 1993. Più che un festival era una festa con molti grandi del cinema horror: Robert Englund, Bruce Campbell, Wes Craven, Lance Henriksen, Brian Yuzna, Dario Argento, Sergio Stivaletti e altri, con fans entusiasti da tutta Italia: nessun biglietto, bastava la copia di Dylan Dog del mese. Con tante anteprime o cult del passato più o meno introvabili (internet non era ancora diffuso e non c'era la reperibilità odierna) poteva capitare di vedere un bel film (o così lo ricordo) come The Resurrected, di Dan O'Bannon, tratto da "Il caso di Charles Dexter Ward" di H.P. Lovecraft, in un clima goliardico e festoso, coi fans mascherati da mostri o da personaggi del fumetto. Per avere una piccola idea di quello che fu vi consiglio di recuperare il blu ray di Dellamorte Dellamore, tra i ricchi extra un lungo focus sul festival con tantissime interviste e molto altro. Credo sia la sola testimonianza filmata di un grande evento tra fumetto e cinema, organizzato quasi in toto da Sergio Bonelli e dedicato non tanto ai cinefili ma alla gente comune: un gran bel momento di aggregazione popolare, durato ahimè troppo poco.

La bellezza del demonio.    

Groucho, Dylan e Eddie.

Strani abominevoli esseri (a sinistra) si aggiravano per il Dylan Dog Horror Fest.

Piccolo estratto televisivo sul Dylan Dog Horror Fest del 1993.

Uno dei tanti film del Dylan Dog Horror Fest: era tratto da un racconto di H. P.  Lovecraft e mi pare non fosse niente male...

Ma quel successo incredibile in seguito si affievolì e Sclavi, per la pressione psicologica e la mole di lavoro che sosteneva, ebbe problemi di depressione e alcolismo e lasciò Dylan ad altri, diradando sempre più le sceneggiature. Per approfondire il percorso artistico ma soprattutto umano di Sclavi vi consiglio il bel film che Giancarlo Soldi (regista anche di Nero. tratto da un romanzo di Sclavi ) gli ha dedicato: Nessuno siamo perfetti. A questo toccante e coinvolgente film che vidi al 32° Torino Film Festival nel 2014 dedicai questo post. Dopo di lui in tanti ci han dato buone storie e altre meno, ma il periodo d'oro è quello dei primi cento numeri o poco più, in cui l'impronta del suo creatore è più netta. Anch'io a un certo punto smisi di leggerlo, forse perché mi pareva non più all'altezza del passato, come non fosse più lui. In anni più recenti è apprezzabile gli autori abbiano cercato di ridargli nuova linfa: Sclavi ha voluto per il rilancio uno dei nostri migliori sceneggiatori, Roberto Recchioni (pure lui grande appassionato di cinema). Sulla carta tutto ciò è lodevole, e se non proprio tutte le storie di questo "nuovo corso" son state imperdibili, ce ne son state anche belle. Due di loro, Mater Dolorosa con testi di Recchioni e gli splendidi, evocativi disegni di Gigi Cavenago e Dopo un lungo silenzio, che segna il ritorno di Tiziano Sclavi coi disegni dell'ottimo Giampiero Casertano, storia che forse non ha convinto tutti, ma a me è piaciuta (avercene...) e lega il tema dell'alcolismo a una fantasmatica storia di amore, morte e disperazione, speranza e rinascita, sono state degnamente approfondite in questo interessante postin quest'altro, mentre questa playlist è sul legame tra il cinema e Dylan Dog, tutti opera di M Valdemar. Il futuro di Dylan Dog fa(rebbe) quindi ben sperare, tra lettori che sostengono un nuovo corso non del tutto decollato e vecchi fans che non lo sopportano, ma credo solo il tempo dirà chi ha ragione. 

Dylan s'inabissa in una suggestiva tavola di G. Cavenago da Mater Dolorosa.

Splendida doppia "splash page" da Mater Dolorosa, di Recchioni/Cavenago.

Una scena clou di Dopo un lungo silenzio di Sclavi/Casertano, con Dylan di nuovo preda dell'incubo dell'alcolismo, è un chiaro rimando al capolavoro di Billy Wilder, "Giorni perduti"...

...dove Ray Milland "vive" una scena simile con un pipistrello che lo attacca uscendo da un buco nel muro. Pipistrelli, ragni e rettili sono le allucinazioni più comuni per chi soffre di delirium tremens.

Tutti gli elementi di romanticismo, ironia e altro alla base di Dylan sono assenti nel film americano ufficiale del 2011 di cui si è detto, a ragione, tutto il male possibile (anni fa scrissi questa avvelenata recensione), quindi eviterò di parlarne. Forse sarebbe stato meglio trarne una serie TV e in futuro accadrà visto che la Sergio Bonelli Editore è entrata nella produzione televisiva e cinematografica. Il primo film, co-prodotto con Sky e Lock&Valentine, è un thriller tratto da un fumetto di Roberto Recchioni e Mauro Uzzeo disegnato da Lorenzo LRNZ Ceccotti e diretto da Ivan Silvestrini, Monolith. Uscito in anteprima al Trieste Science + Fiction Festival 2016 pare una sorta di Duel statico, sui pericoli della tecnologia fuori controllo e dell'incoscienza con cui spesso ci affidiamo a lei, qui nella forma di un massiccio e avveniristico SUV bloccato nel deserto dello Utah, che la madre protagonista dovrà "espugnare" per liberare il suo bimbo intrappolato . Prossimi progetti targati Bonelli saranno il film tratto da "Dampyr", annunciato a Lucca Comics 2019 e la serie TV di Dylan Dog, prodotta da James Wan (Saw, The Conjuring).

Katrina Bowden

Monolith (2016): Katrina Bowden

Ma se il cinema ha maltrattato Dylan c'è chi si è preso una rivincita, forse con qualità altalenante dovuta a mezzi ben più poveri, ma anche con tanta passione: i fans movie sul web. Il più famoso è forse quello diretto da Claudio Di Biagio, Vittima degli Eventi (qui recensione di alfatocoferolo) con Alessandro Haber e Milena Vukotic. Non del tutto riuscito, ma da vedere per ogni fan di Dylan. 

Uno tra i più particolari e forse più vicino alle atmosfere dylaniate è La casa delle conchiglie di Domiziano Cristopharo (qui recensione di Alan Smithee). Girato in uno spettrale bianco e nero dalle atmosfere un po' lovecraftiane, ha per protagonista Stefano Cassetti e la partecipazione straordinaria (con sola voce off) di Pasquale Ruju, uno degli sceneggiatori del fumetto.

C'è poi Il Trillo del Diavolo di Roberto D'Antona, dal brano musicale che Dylan suona al clarino e che cita "La Divina Commedia". Stavolta è Dylan preda di un incubo ricorrente, riuscirà a uscirne?

E ancora La Morte Puttana e Freddy VS Dylan, entrambi di e con Denis Frison. Nel primo una ragazza si rivolge a Dylan per ritrovare la gemella scomparsa, nel secondo Dylan si scontra nientemeno che con Freddy Krueger.

Ma la sorpresa è stato il simpatico video musicale prodotto da "Coitempichescorrono Film", diretto da Stefano Etter e cantato dai Vero su Bianco: Dylan Dog. Credo colga lo spirito più autentico di Dylan, in una bella canzone dal testo importante che con Dylan, Groucho (entrambi interpretati dal rapper Piuma) e compagnia mostruosa usa l'ironia per fare un'acuta satira sociale, facendo sua la lezione di Sclavi che da sempre ci dice che i mostri veri, i più paurosi e terribili, non sono zombi o vampiri ma noi esseri (dis)umani.

Concludo dicendo che se hai amato Dylan e oggi non lo leggi quasi più, ti resta sempre dentro. È bellissimo che molti amici di FilmTV abbiano aderito con passione alla mia richiesta di un pezzo sul "loro" Dylan Dog. A loro va il mio più grande grazie, per la generosità e l'enorme pazienza nella lunga attesa del post. Tra le tante manifestazioni per i suoi 30 anni questo è il nostro semplice modo per salutarlo e dirgli: "Buon Compleanno Dylan!" Gli auguro altri trent'anni e più di successi, con nuove belle storie da leggere con crescente passione e  immutato affetto.

"Ehi capo, sai qual è il colmo per un palloncino sgonfio? Darsi delle arie da pallone gonfiato!"


Presenze... ingombranti, di cheftony

Celebrare Dylan Dog, una sorta di amico e guida dell'adolescenza, per il trentennale editoriale? Be', non riesco tuttora a mettere bene a fuoco perché l'ho adorato, soprattutto adesso che vedo tutto così lontano, con diverse e contrastanti emozioni che mi scuotono a lasciar vagare indietro la mente, osservando la montagna di albi che possiedo. Mi sono avvicinato al personaggio credo come molti altri, verso i 16 anni; la curiosità partì dal rinvenimento di un albo di mio fratello maggiore, il numero 93 “Presenze…”, invero non esaltante ma decisamente degno dell'attenzione di un ragazzino già di suo in fissa con l'immaginario horror. Poco dopo la Bonelli ebbe la grande idea di far uscire le Grandi Ristampe dei primi albi, a gruppi di tre. Un'uscita bimestrale divenuta per me imperdibile, almeno per i primi 100 numeri, quelli del “vero” Dylan Dog. Dopo quel miliare centesimo numero, edito per la prima volta nel gennaio del '95, sono uscite molte buone storie, ma è opinione comune e condivisibile quella di circostanziare fino ad allora il momento d'oro, editoriale e non solo, del personaggio. Volevo parlarne – e bene! - prendendo spunto da un albo che adoro, vale a dire il numero 39 “Il signore del silenzio”, firmato da Giuseppe Ferrandino e disegnato da un Giampiero Casertano il cui vecchio tratto mi faceva impazzire. Volevo, davvero. Ma avrei smesso di scrivere fra un paio d'anni almeno: misticismo, filosofia, cinismo, Lord Wells, Uskebasi, citazionismo sottile, Groucho, ironia nera. Un'ironia nerissima, tremenda, che non risparmiava nessuno. “Suicidio, ispettore.” “Con uno spiedo da cucina in fronte? Lo chiamo io il Guinness dei Primati o lo chiamate voi?” Vorrei continuare, ma non finirei più, davvero. Ogni dialogo è una gemma, ogni vignetta è essenziale, ogni personaggio è caratterizzato in modo superbo. Prendetelo, leggetelo, conservatelo, dimenticatevelo un po' e leggetelo di nuovo.

È il momento di fare un passo indietro; gli anni in cui mi sono avvicinato a Dylan Dog coincidono con quelli peggiori a livello di ispirazione dei suoi curatori, dacché Sclavi si era fatto da parte, tormentato e logorato. Compravo, oltre alle Grandi Ristampe, anche gli albi correntemente in uscita, spesso chiedendomi cosa fosse successo negli anni a quell'indagatore dell'incubo, un discutibile e simpatico cialtrone erettosi a piatto paladino degli indifesi. Certo, ci saranno stati una certa crisi d'ispirazione e il rifiuto di adeguare ai tempi il contesto del racconto, come minimo. Ed è qui che è intervenuto Roberto Recchioni un paio d'anni fa, rivoluzionando il progetto editoriale, di cui però non mi sono interessato al punto di tornare ad acquistarne qualche albo. Mea culpa. Poco o nulla so del nuovo corso, inaugurato dal numero 337 circa. Ma dove individuare la radice di un simile declino? Perché Dylan, da sarcastico e cinico guascone che era, è diventato un personaggio così buonista, politicamente corretto, pateticamente noioso, sempre pronto in prima linea a fare il pistolotto morale ad ogni racconto? Ecco di cosa ho deciso di parlare: dell'albo numero 45 “Goblin”, sceneggiato da Claudio Chiaverotti e disegnato da Pietro Dall'Agnol, ossia il primo marcatamente a sfondo sociale di Dylan Dog. È uscito nel giugno del 1990, incidentalmente proprio quando sono nato; sì, sono più giovane di Dylan e parlo già da nostalgico. Intendiamoci, è un albo sostanzialmente buono, come era lecito attendersi al tempo, quando ogni uscita era una sorpresa: il racconto è intrigante, truculento, ben impostato, nonostante Chiaverotti si faccia prendere un po' la mano eccedendo in senso dell'inverosimile e carica melodrammatica, fortunatamente controbilanciata dalle perle di humour nero di Groucho: “Beh, è umorismo nero, si intona alla tua faccia. Ne vuoi una ancora più cattiva? «Papà, perché festeggiamo il Natale a luglio?» «Peter, te l'ho detto mille volte che hai la leucemia!» La trama – che non riporto – è efficace, improntata su un piccolissimo slasher che uccide in serie i medici e i ricercatori della facoltà di medicina di una prestigiosa università londinese. Il problema risiede nella svolta finale, telefonata e pedissequamente spiegata da un interminabile e vaneggiante pippone animalista tenuto da Dylan. “Niente? Ma qui siamo alla farsa! Senza la sperimentazione sugli animali la medicina non sarebbe a questo livello, ora, e non potrebbe salvare tante vite umane!” “E chi vi dice che valgano di più? Personalmente, Hornell, se avessi una malattia mortale e voi mi diceste che potrei salvarmi grazie a una squadra di macellai che fa a pezzi un cane… io rifiuterei! Ma sapete bene che non potreste dirmelo! Sapete bene che migliaia di animali, fin dall'inizio del secolo, sono stati massacrati per lo studio delle malattie incurabili… senza alcun risultato! E questo perché la struttura dell'organismo animale è diversissima da quella umana!” Chiaverotti appiccica così addosso a Dylan un marchio: da mite vegetariano e amante degli animali che era, da qui diventa sporadicamente un fanatico, accecato dall'ideologia, complottista, schifosamente incoerente. Vivisezione è un termine a dir poco obsoleto da almeno duecento anni, eppure per l'indagatore di Craven Road diventerà col tempo quasi un chiodo fisso, attaccandovisi spesso e volentieri e citando esperimenti e pratiche mai avvenuti o vecchi di svariati decenni. Si fa portavoce di un animalismo cieco, che travalica i sacrosanti confini dell'etica e si intromette nella ricerca scientifica senza nulla saperne; costume, peraltro, divenuto ormai tristemente diffuso. Da me lungi individuare in “Goblin” la causa di ogni male, ma si tratta di un'importante deviazione dalla linea e senza di esso (e molti altri episodi su questa falsariga moralista) forse non saremmo arrivati ad un albo come “La collina dei conigli” (numero 263), di gran lunga uno degli episodi meno degni in assoluto in tanti anni di Dylan Dog. Non riesco tuttora a non vedere come una colpa l'aver trasformato il personaggio, nato come detective alcolista e - consentitemi il regionalismo collodiano - acchiappacitrulli, in uno sciocco e borioso perbenista. Il Dylan sardonico, scorretto, provocatore e fallace degli albori è il Dylan che mi piace ricordare e celebrare.

 

Tutta colpa della naja! di GianniSV66

Dylan Dog, un mito della mia giovinezza (di giovane adulto eh!, niente a che vedere con l'adolescenza...quando uscì il primo numero avevo già vent'anni). Un mito al punto che quando fecero le magliette ne comprai una e la indossavo con grande orgoglio. Eppure non fu un colpo di fulmine. Sembra incredibile perché quel fumetto aveva tutto per piacermi, dalle citazioni degli amatissimi horror ai rimandi musicali fino all'ironia delle storie. Come non si poteva amarlo? Ma io non rimasi folgorato, anzi. Il mio compagno di banco del Liceo (e all'epoca compagno di studi all'Università) con il quale condividevo un sacco di interessi mi portò subito il primo numero decantandomene le lodi ma io rimasi freddo. C'è da dire che attraversavo un periodo molto particolare della mia vita, una sorta di fase di transizione. L'Università su cui avevo puntato molto mi stava invece profondamente deludendo: aule affollate, studenti che parevano capitati lì per caso, disorganizzazione e spaesamento totali, e non ultima (e mia colpa) la scelta della facoltà sbagliata (l'orrenda giurisprudenza al posto delle amate lettere e dell'amatissima storia). Leggere fumetti mi pareva una sorta di resa, un ritorno al mondo ormai passato dell'adolescenza, anzi dell'infanzia. Insomma non c'erano le condizioni giuste. Che invece arrivarono quattro anni più tardi, in un contesto completamento diverso, quello del servizio militare. Ora se parlate con chi ha fatto la naja (obbligo al quale i nati dai primi anni '80 in poi si sono sottratti, per loro fortuna, grazie al cambiamento delle leggi) vi dirà con molta probabilità che è stato un anno perso. E invece il sottoscritto, incredibilmente, vi dice che almeno per lui, al di là di certe assurdità della mentalità militare che sono quanto di più lontano ci sia dalla mia testa, è stato un anno estremamente proficuo. Uscito da un tunnel di studi in cui non mi trovavo più, in quell'anno sono riuscito a percepire che in qualche modo stavo riprendendo in mano la mia vita. E tra le varie cose positive c'è stato l'incontro, anzi il nuovo incontro, con Dylan Dog. Accadde grazie a un amico conosciuto proprio là, in mezzo alle paludi del vercellese tra le sagome minacciose dei carri armati Leopard, un amico che è tale ancora oggi e che è il curatore di questo post collettivo. Fu lui a portare tra gli armadietti i numeri di Dylan Dog e a prestarmeli, e grazie a lui riscoprii questo straordinario personaggio. A ogni storia mi appassionavo sempre di più e pensavo: “ma come ho fatto a non capire quanto era grande questo fumetto?”

Dylan incontra H. P. Lovecraft in una delle storie più "folli e surreali": Cagliostro, di Sclavi/Piccatto

Finita la naja non finì, come avrete capito, la mia amicizia con Roberto né finì la mia passione per Dylan Dog, che acquistai ancora per anni fino a che non trovai una certa ripetitività nelle storie (o forse ero io che non mi ci trovavo più), e che comunque è rimasto sempre nel mio cuore di fumettofilo. Storia preferita? Eh...qui è difficile, in quella che per me è la fase migliore, diciamo pressapoco la prima ottantina di episodi, ogni storia è bellissima. Dovendone scegliere tre dico “Dopo Mezzanotte”, “Memorie dall'invisibile” e soprattutto “Golconda” che mi colpì molto per la vena di surreale follia (che già traspariva dalla copertina ispirata a un celeberrimo quadro di Magritte). Ma come detto tutta la serie almeno in questa fase è straordinaria, un autentico bagaglio di emozioni. Emozioni che sembravano accantonate nell'armadio del mio vissuto e che sono emerse, con tutta la loro forza, due anni fa quando con due amici mi sono trovato proprio al Torino Film Festival davanti alle immagini di “Nessuno siamo perfetti” (qui la mia recensione), intenso e commovente documentario firmato da Giancarlo Soldi e dedicato alla figura dell'ideatore dell'uomo di Craven Road. Quel Tiziano Sclavi che avrà sempre la mia gratitudine per avermi regalato un personaggio come Dylan Dog.

 

"Tu non sai quanto ti amavo" (e continuo a farlo!) di Isin89

È davvero difficile provare a descrivere le emozioni e quelle piccole grandi scosse che i grandi amori ti sanno trasmettere. È difficile perché, trattandosi proprio di un grande amore, vogliamo a tutti i costi cercare di esternare in maniera esaustiva i nostri sentimenti cercando di far trasmettere agli altri le magiche sensazioni che abbiamo provato. È difficile, anzi difficilissimo, comunicare chiaramente i nostri pensieri, dare agli altri un pezzo di noi stessi lasciando intendere quanto il nostro amore sia stato significativo. Ciò che amiamo, ciò che veneriamo e che adoriamo riflette ciò che siamo in realtà. Riflette il nostro essere, il carattere, i nostri gusti più intimi e come concepiamo il mondo tanto esterno quanto interno. Ci riflette nel privato, in quella sfera ultra personale che il più delle volte cerchiamo di tenerci stretta per paura che il mondo vedendoci possa non capirci. Ma i grandi amori ci capiscono, ci aiutano e ci danno una mano, sempre. I grandi amori, ma solo quelli veri, non ci tradiscono mai ma anzi ci vengono incontro e ci danno ogni volta un motivo in più per andare avanti e sorridere dei guai. L'amore è solo un sentimento che lega due o più persone? Bugia. L'amore ci lega a qualsiasi cosa esistente nel mondo: un oggetto, un film, un gruppo musicale o perché no un fumetto. La passione è ciò che veramente ci spinge ad andare oltre permettendoci di scoprire e conoscere sempre di più. Le passioni poi crescono, si evolvono e ci insegnano molte cose ma solo poche di esse diventano quello che possiamo definire vero amore. Il fumetto di Dylan Dog è stato, ed è tutt'ora, uno dei pochi grandi amori della mia vita. Capace di intrattenermi, divertirmi, farmi piangere e farmi incazzare, farmi gioire, incuriosirmi, terrorizzarmi, eccitarmi, strapparmi grasse risate, affascinarmi, annoiarmi, inquietarmi, imbarazzarmi, schifarmi e accompagnarmi fedelmente nel corso della mia vita. Dylan Dog è stato di più, un maestro di vita e un'ideale su cui fare completo affidamento. Dylan è e continua ad essere una figura fondamentale della mia crescita che in questi anni mi ha aiutato a conoscere e apprezzare molte opere inerenti alla letteratura, alla musica (nostra grande passione) e in maniera più specifica al cinema. Dylan Dog è un'opera totale, un baluardo del fumetto italiano capace di dosare alla perfezione l'horror alla fantascienza così come il thriller alla commedia e il romanticismo (elemento più che centrale nell'opera di Sclavi) allo splatter prendendo spunto, in moltissimi casi, dal cinema del terrore di grandi maestri degli anni addietro come il nostrano Mario Bava e il genio d'oltreoceano George Romero. Il mio primo approccio con Dylan Dog avvenne durante l'estate del lontano 1993. All'epoca avevo solamente 4 anni e mi trovavo in viaggio con la mia famiglia verso la Sardegna.

La prima volta di Dylan sul mare, non va in Sardegna ma... in America.

Ciò che ricordo sono più che altro immagini, ricordi sfocati come sogni o alcuni dettagli come l'affollamento del porto di Genova e le poltrone della nave dove i miei genitori dormirono quella notte. Ricordo mio fratello, all'epoca aveva 10 anni, seduto sul pavimento della nave mentre sfogliava un albo con immagini mostruose in copertina. Incuriosito da quei disegni cercai di capirne di più e molto probabilmente (penso sia andata così, non ricordo!) gli chiesi di cosa si trattasse. Mi fece sfogliare quei giornalini, sulla copertina del primo fumetto c'era un uomo in camicia rossa e giacca nera che veniva pestato da un gruppo di persone cattive con cresta e catene, mentre la seconda mostrava lo stesso uomo in primo piano e alle sue spalle un disegno rosso indecifrabile che somigliava ad un orologio. Come ho detto ero molto piccolo, nemmeno sapevo leggere, ma ricordo benissimo che quelle immagini si instillarono nella mia testa come chiodi dentro ad una parete e come nel corso degli anni, quando mi capitava di averle sotto mano, mi riaffioravano i ricordi di quella lunga notte trascorsa sulla nave in compagnia di Doktor Terror e di Dopo Mezzanotte.

Più gli anni passavano e più la libreria della mia cameretta (allora dividevo la stanza con mio fratello) si affollava di fumetti di Dylan Dog. Non solo gli albi originali ma anche gli Special, ossia le uscite annuali con copertina bianca, e gli albi giganti, sempre annuali ma con all'interno 3 o 4 storie. Ancora troppo bambino, e ancora incapace di leggere chiaramente, mi divertivo a sfogliare le pagine dei vari fumetti, a osservare assiduamente ogni particolare delle copertine magnificamente disegnate da Claudio Villa e Angelo Stano, ma più nello specifico stavo inconsciamente imparando a conoscere e amare chi solo successivamente sarebbe diventato una delle passioni più grandi della mia vita. Ma il grande passo avvenne qualche anno dopo, quando già frequentavo gli ultimi anni delle elementari. Dopo tanto tempo trascorso a sfogliare ed osservare i disegni dei grandi maestri quali Corrado Roi, Giovanni Freghieri e Bruno Brindisi tra gli altri, decisi di conoscere quel misterioso personaggio più da vicino e pescando a caso dalla collezioni di mio fratello estrassi il n. 4 della serie, Il Fantasma di Anna Never. Non capivo molto, certe cose mi sembravano alquanto strane come la professione del protagonista, la sua repulsione verso l'alcol ma soprattutto quel bizzarro modo di dire che lo contraddistingue da tutti gli altri: “Giuda Ballerino”. Da quel momento fu come un viaggio senza fine e senza soste, divorai tutti i numeri della serie che possedevo in casa, imparai a conoscere ogni singolo personaggio, i loro background personali e ogni singola storia mi sembrava un capolavoro di bellezza e mistero. Quando cominciai a leggere Dylan Dog ero ancora molto piccolo e molte cose, come il sesso o la violenza, erano per me degli argomenti tabù, misteri che stimolavano la mia curiosità e la mia voglia di saperne di più. Il tempo e l'esperienza mi servirono per capire meglio l'universo magnifico creato da Tiziano Sclavi e quello stesso universo, popolato da mostri e incubi terrificanti, mi ha accompagnato per tutta l'adolescenza fino al presente. Cominciai a leggere Dylan Dog nel suo periodo di massimo splendore, gli anni '90. In quel periodo il fumetto stava acquisendo (o meglio, aveva già acquisito) una popolarità stratosferica e ricordo di come il nome dell'indagatore dell'incubo fosse sulla bocca di chiunque. Nel 1994 uscì Dellamorte Dellamore di Michele Soavi, adattamento dell'omonimo romanzo di Sclavi che molti erroneamente considerarono il primo film su Dylan Dog. Per chi come me che non conosceva ancora molto bene il mondo dylandoghiano quel film fu inizialmente un'amara delusione. I mostri e gli zombi c'erano, il maggiolone anche. C'era soprattutto Rupert Everett, ma inspiegabilmente quel film non era su Dylan Dog.

Avremmo dovuto aspettare altri 17 anni per vedere sul grande schermo la prima vergognosa trasposizione filmica del nostro amato Dylan. Una pellicola imbarazzante che con l'indagatore dell'incubo forse ha in comune solo il nome. Grazie a questo fumetto ho potuto ampliare la mia conoscenza cinematografica, specialmente del genere horror e thriller. Da buon amante del cinema Tiziano Sclavi inseriva spessissimo elementi riconducibili ad una pellicola piuttosto che ad un'altra. È facile quindi, mentre si legge un albo di DYD, scoprire una citazione ad un film di Dario Argento piuttosto che di Alfred Hitchcock. Gli omaggi sono davvero molti e riguardano tanto i personaggi come mostri e fantasmi e scene o località di film dell'orrore. Ricorrenti sono le figure di Jack Torrance e le atmosfere alla Shining, gli zombie romeriani che accompagnano il nostro Dylan fin dal primissimo albo della serie, così come l'immancabile Norman Bates e la sua casa in cima al motel omonimo, la presenza costante di fantasmi e spettri, atmosfere gotiche di certi albi riprese a piene mani dal cinema di Mario Bava e Roger Corman. E poi ancora l'omaggio a Terminator di James Cameron, la citazione a Blob o l'indelebile citazione bergmaniana al capolavoro Il Settimo Sigillo, omaggi ai grandi maestri della letteratura horror quali Edgar Allan Poe, Howard Phillips Lovecraft, Stephen King e alle pellicole ricavate dalle loro storie. La citazione più grande rimane forse lo spettrale numero 48, Horror Paradise, un viaggio terrificante nei meandri più oscuri del cinema horror. Troviamo tutti: da Pinhead di Hellbound Hellraiser allo Xenomorfo di Alien e dai classici come la mummia, il mostro della laguna nera e Freddy Krueger.

Ma cos'è quindi che rende DYD un grande fumetto? Sicuramente l'alchimia creata da tutti gli elementi che lo compongono, quell'atmosfera spettrale e tetra che sa terrorizzare e al tempo stesso affascinare. Sono le storie, i personaggi e la città di Londra (a me estremamente cara) che fanno la differenza. Nonostante molte si ripetano, le storie di Dylan Dog hanno il dono magico di saper intrattenere fin dalla prima pagina regalando memorabili colpi di scena e scioccanti rivelazioni che mai ci si aspetterebbe. Il bello di certi racconti è proprio il tentativo di affacciarsi alla vita reale dando spesso e volentieri un insegnamento prezioso sul valore e l'importanza della vita. Ricordo di come terminai e chiusi il numero 246 della serie, La Locanda alla Fine del Mondo, compiaciuto di quanto letto nell'ultima pagina dell'albo. Dylan fa un patto con la morte, ridona la vita a due ragazzi morti suicidi e in cambio acconsente di vivere un poco meno la sua propria vita. Il fumetto si conclude con un monologo di Dylan che afferma quanto sarebbe bello se a tutti fosse concesso di avere una seconda possibilità nella vita. Dylan è questo: è amore, mistero, tristezza e paura. Dylan Dog è un insegnamento costante, un cinema all'aperto dove i mostri escono dalle loro tane per popolare i sogni, o meglio gli incubi, di noialtri lettori affiatati. Dylan Dog non si può spiegare, gli amori non si possono spiegare. Si sentono, si avvertono e ci fanno emozionare ogni volta che ne sentiamo pronunciare il nome. Dylan Dog è per me un amico immaginario, una figura astratta che grazie alla forza dei miei pensieri si è trasformato in un qualcosa di più di un'idea. È diventato reale e popola le mie fantasie. L'indagatore dell'incubo è un'icona fissa nella mia testa così come lo sono il panciuto ispettore Bloch, il bizzarro Groucho, la mummiesca signora Trelkovski e il disastroso Jenkins. Come Dylan ho amato tutte le sue donne e ho odiato tutti i suoi mali. Come lui ho sofferto mentre vedevo che il mondo gli si sgretolava intorno e sono rimasto inerme nel rendermi conto che certe cose brutte della vita sono impossibili da cambiare. Detto questo, buon trentesimo anniversario Dylan Dog e grazie per tutte le emozioni che mi hai regalato.

    Uno dei più grandi amori di Dylan Dog, la mai dimenticata Bree Daniels.

 

Dylan Dog - Trent’anni dall’alba, di munnyedwards.

Sono passati trent’anni e se ci pensi quasi non ci credi, trent’anni dall’alba di un fenomeno per certi versi inspiegabile, trent’anni dalla nascita di un fumetto che è diventato evento di costume, veicolo culturale analizzato da letterati, sociologi, cronisti e “fanzinari”, il tutto in un'epoca dove internet non era ancora esplosa, trent’anni dall’arrivo in edicola dell’Indagatore dell’incubo e del suo inseparabile compagno Groucho…trent’anni dall’Alba dei morti viventi, primo storico numero di una serie che ha cambiato la storia del fumetto italiano. Io avevo 11 anni e comprai il primo albo per pura curiosità, la pubblicità sul retro degli altri fumetti Bonelli che leggevo recitava: "Dylan Dog è l’orrore! Dylan Dog è la paura! Dylan Dog è il batticuore! Dylan Dog è l’avventura!" A fine lettura non sapevo cosa pensare, intanto i disegni del grandissimo Angelo Stano non mi piacevano (nonostante mostrasse per la prima volta in Bonelli una donna a seno nudo!) e poi la storia era così lontana dai canoni che conoscevo e apprezzavo in quel periodo. Certo, c’erano gli zombi, c’era l’horror, c’era lo splatter, ma Dylan non era un vero e proprio eroe, non arrivava come Tex a mettere in riga i cattivi, Dylan si faceva addirittura lanciare la pistola dal suo assistente! Non lo capivo (perché non potevo capirlo) e onestamente non mi piaceva, ma continuai a comprarlo e non saprei dire il perché, lo feci e basta, continuavo a leggerlo numero dopo numero fino a quando improvvisamente mi si aprì un mondo. Difficile spiegare come avvenne, i ricordi non mi aiutano, sta di fatto che di colpo entrai in sintonia con questo personaggio, con le sue storie oniriche e completamente fuori dagli schemi, da quel momento in poi fu un appuntamento fisso irrinunciabile e rammento chiaramente che rileggevo gli albi 4-5 volte in attesa del nuovo numero, un’attesa spasmodica, quasi una sofferenza fisica. Tornare con la mente a quegli anni mi fa un certo effetto, mi stordisce un po' ripensare a quanto una figura immaginaria, un eroe di carta fosse entrato dentro la mia vita di giovane lettore... c’è stata una fase dove veramente leggere un albo di Dylan Dog era come una specie di “transfert” verso un universo altro, un mondo che spaventava e affascinava alla stesso tempo, con Dylan avevo paura, mi emozionavo, ridevo, piangevo, nessun altro personaggio di carta mi ha dato queste sensazioni (a parte il mitico Ken Parker di Berardi e Milazzo, ma questa è un'altra storia). Dylan Dog era Tiziano Sclavi e Tiziano Sclavi era Dylan Dog, questo fu chiaro fin dal principio e lo è ancor di più oggi che lo scrittore da tanti anni ormai ha lasciato le redini della testata. Sclavi creò Dylan e ci mise dentro tantissimo di se stesso, del suo amore per il cinema (Argento, Carpenter, Romero, Hooper, Craven), molte delle prime storie si ispiravano dichiaratamente a diversi film ma la rilettura (o interpretazione) di Sclavi era talmente originale che nessuno ci faceva caso, poi con il tempo il fumetto prese una fisionomia originale tutta sua e Dylan divenne Dylan. Un fenomeno di massa che travalicava qualsiasi ragionevole aspettativa critica e commerciale, un successo da formula magica irripetibile, un incastro di fattori unico e inimitabile, quando arrivarono a vendere 1 milione di copie Dylan Dog aveva superato qualsiasi confine possibile e immaginabile dell’industria fumettistica italiana, divenne appunto qualcosa di diverso, qualcosa che andava oltre il discorso fumetto, divenne un fenomeno sociale che per importanza non ha avuto e non avrà mai eguali.

Tiziano Sclavi nella caricatura opera di un suo illustre collega: Alfredo Castelli.

Il rapporto tra Dylan Dog e il cinema è sempre stato molto stretto, come detto le citazioni non si contano ma anche da un punto di vista strettamente visivo gli spunti/omaggi non sono mancati: pure i sassi sanno che il volto di Dylan è stato creato sulla fisionomia del tenebroso Rupert Everett, ma anche altri personaggi della serie devono le loro fattezze ad attori più o meno noti, il mitico ispettore Bloch si ispira all’attore britannico Robert Morley, Groucho è un sosia del comico Groucho Marx, l’inventore Lord Wells prende le sembianze di David Niven, il Professor Adam è Sean Connery, ma a cercare bene si possono trovare molti altri riferimenti ad attori più o meno famosi, del resto questa è da sempre una caratteristica dei personaggi Bonelli, si pensi per esempio alla criminologa Julia Kendall creata sulle fattezze della bellissima Audrey Hepburn. Quindi un legame stretto quello con il cinema, che però non ha portato finora a nulla di buono, del film americano con Brandon Routh preferisco non parlare, oltre ad essere un brutto film è una pellicola che non potrebbe essere più distante dal mondo di Dylan come io l’ho conosciuto e apprezzato; resta l’interessante Dellamorte Dellamore, film diretto nel ’94 da Michele Soavi e tratto dal romanzo omonimo di Tiziano Sclavi, come protagonista abbiamo niente meno che Rupert Everett, la storia fu poi ripresa in uno dei migliori speciali estivi di Dylan Dog (Orrore Nero).

A quanto mi risulta i diritti cinematografici sono ancora in mano agli americani per cui prima di vedere un nuovo film, o magari una serie tv, credo dovremo aspettare parecchio, nel frattempo sono disponibili su YouTube dei film amatoriali che però, per quanto fatti con passione, non restituiscono quel mondo, quelle sensazioni, quel vissuto che fa parte integrante della vita di ogni lettore che negli anni ’90 seguiva con passione questo fumetto. Io smisi di leggere Dylan Dog molti anni fa, mi ero imposto di arrivare al numero 100 e di chiuderla lì, invece andai molto avanti, credo quasi fino al numero 200, ma dopo l’abbandono di Sclavi qualcosa si era incrinato nel mio rapporto con Dylan. Di certo ci fu un calo nella qualità delle storie e gli scrittori chiamati in causa non riuscirono nell’impresa di mantenere “vivo” il personaggio, uno dei pochi autori che per originalità si faceva valere era Carlo Ambrosini, che poi prese strade personali creando personaggi suoi decisamente accattivanti (Napoleone e Jan Dix), gli altri che si alternavano ai testi non mi convincevano, per cui pian piano smisi di comprarlo. Sono sempre stato convinto che il successo di Dylan Dog fosse legato in modo indissolubile alla figura di Tiziano Sclavi, venuto a mancare lui è mancato anche il Dylan che io avevo amato, so che oggi è in atto un’operazione di rilancio con il nuovo curatore di testata (Roberto Recchioni) ma io ho deciso di non seguirlo. Forse la mia è una posizione troppo radicale e magari sbagliata ma sono convinto che quel fumetto che leggevo da ragazzo, quello che non mi faceva dormire la notte dalla voglia di leggere e poi leggere di nuovo e di nuovo ancora, quella stagione così particolare coincisa con la mia crescita come lettore e con l’esplosione del fenomeno Dylan Dog non potrà più tornare: quello era un incastro perfetto fra me (come ero allora e non come sono adesso) e un personaggio di fantasia, oggi siamo entrambi diversi, non siamo più quelli di una volta. Forse chiudo in modo un po' malinconico ma sincero, tuttavia ci tenevo a festeggiare i 30 anni del personaggio che tante emozioni mi ha dato, festeggiare il lavoro di un autore UNICO nel panorama fumettistico italiano e la grandiosità di artisti che con il loro talento mi hanno fatto vivere avventure spaventose, struggenti, emozionanti, commoventi... avventure che resteranno per sempre dentro di me e che conservo gelosamente nella mia biblioteca, albi che di tanto in tanto torno a leggere per ritornare in quel luogo magico dominato dalla fantasia e dalla paura. Grazie Tiziano, grazie Sergio…grazie Dylan.

 

L'IRONIA RIFLESSIVA DI DYLAN DOG, di Peppe Comune.

Dylan Dog compie 30 anni, ed io sono cresciuto insieme a lui. Ricordo che sin da subito mi ci sono affezionato, iniziando a leggere le sue storie grazie ad un mio caro amico che ne collezionava gli albi. “L'alba dei morti viventi”, “Jack lo squartatore”, “Le notti della luna piena”, “Il fantasma di Anna Never”, i primissimi numeri volevano essere una chiara enunciazione d'intenti su quale dovesse essere la trama portante della nuova creatura della Sergio Bonelli Editore nata dalla penna sapiente di Tiziano Sclavi, un omaggio ostentato gloriosamente ad alcune delle più classiche icone dell'universo horror, tra ambientazioni gotiche e apoteosi dello splatter, tra mostri concretissimi e fantasmi dell'animo. Poi è proseguito, rendendo chiaro che esso giovava a rendere tangibile quanto di metafisico cova sotto l’epidermide del mondo, le nevrosi metropolitane come le nostre paure più profonde. Insomma, che attraverso la trama “orrorifica” si volevano costruire storie capaci di gettare uno sguardo acuto sullo stato delle cose (è mia modesta opinione che alcuni albi di Dylan Dog sono delle vere chicche letterarie). Io ho cominciato a comprare gli albi molto più tardi, con la “Collezione Book” (bella rilegatura cartonata), quella che possiamo definire terza ristampa. Con Dylan Dog ho sempre avuto un rapporto complice ed appassionato insieme. Complice, perché sin da subito (e soprattutto lungo tutti gli anni novanta) ha rappresentato l'amico “immateriale” capace di regalarmi momenti di intelligente evasione. Appassionato, perché quando capita di intrufolarsi in quegli appuntamenti rituali che richiedono un'attenzione particolare per essere ogni volta aggiornati, ci vuole una passione pura per evitare che una consuetudine vitale per il proprio organismo si trasformi in noia improduttiva.

Una cosa che mi è sempre piaciuta delle sue storie è il citazionismo più disparato che le sorregge, letterario, cinematografico, pittorico, scientifico, fatto sempre con rispettosa originalità. Il cinema naturalmente, saccheggiato a piene mani dagli ideatori delle storie. Autori come Alfred Hitchcock, David Cronenberg, John Carpenter, Dario Argento, Mario Bava, Stanley Kubrick, fanno spesso capolino nelle storie, o attraverso riferimenti toponomastici (l'Hotel Bates” in“Cagliostro” ad esempio), oppure omaggiandoli ricreando precise situazioni d'ambiente (come l'extraterrestre “spielberghiano” in “Piovuto dal cielo”) o chiari riferimenti iconografici (come il Jack Nicholson ne “I killer venuti dal buio”). Ma oltre a questo aspetto peculiare del mondo di Dylan Dog, e oltre le icone classiche dell'universo Horror (i vari Frankenstein, Dracula, Vampiri, Zombi, Streghe, Fantasmi, Demoni, Mummie, Lupi mannari), ovviamente protagoniste di diverse storie, più nello specifico, diversi albi mutuano la loro trama portante direttamente da film. Mi limito a ricordarne soltanto alcuni : “Dopo mezzanotte” (da “Fuori orario” di Martin Scorsese), “Canale 666” e “Ti ho visto morire” (rispettivamente da “Videodrome” e “La zona morta” di David Cronenberg), “Partita con la morte” (da “Il settimo sigillo” di Ingmar Bergman), “Zed” (da “Stalker” di Andreji Tarkovskij), “Lo specchio dell'anima” (da “L'inquilino del terzo piano” di Roman Polanski), “Johnny Freak” (da “The Elephant man” di David Linch), “Dal profondo” (da “Blob” di Irvin S. Yeaworth). Dylan Dog, l'innamorato cronico, il sensitivo razionale, l'indagatore dell'incubo riluttante, l'anarchico istintivo, l'osservatore acuto, l' antieroe pacifista, l'umanista concreto. Dylan Dog e il suo assistente Groucho. Dylan e Groucho, Groucho e Dylan, legati da un improbabile rapporto di lavoro e dalla coabitazione in una casa che rappresenta lo specchio della loro alienazione dal mondo. Io li ho sempre visti come due facce di una stessa medaglia, ma non nel senso classico che uno rappresenterebbe il prolungamento esistenziale dell'altro o viceversa, ma perché il loro rapporto è fatto di una natura particolare, tale cioè che è come se da esso si generasse per istinto un'entità altra, senza il cui apporto fondamentale non potrebbe capirsi compiutamente la portata ironico-letteraria che caratterizza l'intera poetica di questo fumetto (“Lontano dalla luce l'ineffabile splendore”, si recita “emblematicamente” in“Lontano dalla luce”). A mio avviso, non è affatto un caso che nei momenti cardini della storia, quando Dylan si trova pericolosamente in bilico tra la vita e la morte, ad intervenire è la mano (spesso mostrata in dettaglio) ferma di Groucho, custode unico e geloso di quella pistola un po’ retrò che spesso toglie da guai seri il nostro eroe. Detto altrimenti, per quanto mi riguarda, le battute sparate a raffica da Groucho rappresentano la sublimazione in chiave grottesca dell'anima perennemente dubbiosa e meditabonda di Dylan Dog.

Ecco, a me di Dylan piace questo suo essere un antieroe romantico che preferisce non prendersi mai troppo sul serio, nonostante si trovi sempre a combattere contro forze soprannaturali. Dylan Dog dà mostra di vivere la sua eccezionale condizione esistenziale con estrema naturalezza, come se il flusso ininterrotto di eventi che lo conducono dalle incombenze ordinarie agli incontri con situazioni ed entità ultraterrene, avvenisse senza soluzione di continuità. Ci sono dei varchi impercettibili ai comuni mortali che mettono in contatto mondi paralleli, capita ogni tanto che qualcuno di questi varchi si apra, e che nell'aprirsi faccia entrare in contatto dimensioni lontanissime sconvolgendo il naturale ordine delle cose. Dylan è capace di penetrarli questi varchi, ma ogni volta si mostra seriamente dubbioso circa l'effettiva possibilità di poterci riuscire. Questo è il suo fardello, ma anche la sua forza. Auguri sinceri Dylan Dog, indomito compagno di liete avventure.

 

 

Ti è stato utile questo post? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati