Espandi menu
cerca
AMERICAN HORROR STORY: ROANOKE – L’orrore è la Tv
di Andrea Fornasiero ultimo aggiornamento
post
creato il

L'autore

Andrea Fornasiero

Andrea Fornasiero

Iscritto dal 18 aprile 2016 Vai al suo profilo
  • Seguaci 27
  • Post 76
  • Recensioni -
  • Playlist -
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

(Spoilers)

Dopo la quinta stagione, che aveva spinto all’estremo le tendenze trash e glamour già presenti nelle annate precedenti, American Horror Story compie un’inversione totale: dal gusto patinato e videoclipparo passa a una discesa negli inferi della sciatteria dell’immagine. I primi episodi sono una docufiction, My Roanoke Nightmare, dove alle interviste ai sopravvissuti del massacro in una casa stregata in Louisiana si inframmezzano segmenti di reenactment. Già con la quinta puntata però la storia si esaurisce e si passa così al reality, Return to Roanoke: Three Days in Hell, in cui attori e sopravvissuti tornano nella casa maledetta. Nel nono episodio arrivano poi i fan della serie, in cerca di quella stessa casa, con tanto di telecamere a mano sbattacchiate di qua e di là come nel peggior stile found footage inaugurato da The Blair Witch Project. Il decimo è infine un accumulo di altre situazioni e tipologie mediatiche, dai videomessaggi su youtube al filone televisivo true crime, dove il crimine diventa fin troppo reale quando un assassino cannibale arriva sul set, fino alle riprese di uno show sulle case infestate, che segue le tracce del reality precedente. Una moltiplicazione esponenziale dove la Tv (ossia la serie American Horror Story) mette in scena la Tv (ossia la docufiction My Roanoke Nightmare), che si appropria del web (i filmati dei fan) e che tratta come argomento la Tv stessa nel seguito Return to Roanoke: Three Days in Hell e poi nelle indagini Tv sui fatti accaduti durante questo sequel

Dead(ly) Set

La mattanza è cruentissima, con sbudellamenti, giovani bruciati vivi e persone divorate a pezzi mentre sono ancora in vita, per mantenere la carne fresca. Eccessi che non scalfiscono e anzi magnificano il tono di farsa grottesca, che si divora l’horror puro e domina lo show. Perché dei personaggi non solo non ci importa nulla, ma tanto incarnano i peggiori istinti della società dello spettacolo che per contrappasso si meritano di diventare spettacolo attraverso una morte atroce. In particolare quando inizia il reality Return to Roanoke, l’autore dello show è tanto odioso da superare di gran lunga il Macellaio come villain della serie, e si rimpiange solo che sia stato eliminato in modo troppo veloce. Persino sublime poi Kathy Bates, che interpreta un’attrice così dozzinale e sciroccata da non voler abbandonare i panni del Macellaio, fino a incontrarla faccia a faccia con prevedibili conseguenze. Si assiste dunque a uno sterminio di imbecilli che non si accontentano dei 15 minuti di celebrità e sono tanto drogati di successo televisivo da compiere scelte sconsiderate. Non si vedeva una cosa del genere dagli zombie che assediavano la casa del Grande Fratello in Dead Set di Charlie Brooker.

Niente carneficina siamo inglesi!

Tanto più esilarante quanto più diventa fintamente dozzinale, la sesta stagione di American Horror Story ha dalla sua anche il dono della sintesi, con solo dieci episodi spesso inferiori ai 40 minuti di durata. Una compattezza cui corrisponde un ritmo via via più sostenuto, del tutto ironico e pressoché scevro dagli slanci mélo delle stagioni precedenti, che riaffiorano solo negli ultimissimi minuti. Molto nutrito invece il cast, dove ritroviamo diversi volti delle stagioni precedenti, alcuni in ruoli molto piccoli come quello di Taissa Farmiga presente solo in un episodio, altri in parti cruciali, come l’immancabile Sarah Paulson, che qui addirittura si triplica. Veste infatti i panni della protagonista americana nella sezione fiction di My Roanoke Nightmare; quindi quelli dell’attrice inglese che l’ha interpretata in Return to Roanoke (dove per altro di fronte a un cadavere esclama “Lasciatemi in pace, non sono americana! Non sono abituata a questo massacro!”, il tutto con un delizioso accento british); e infine riprende quelli di una invecchiata Lana Winters, la giornalista che aveva incarnato nella seconda stagione, Asylum.

L’unico blogger buono è il blogger morto

In questo accumulo di meta-testi fittizi, Murphy e Falchuk giocano al rilancio nel raccontare come la Tv si nutra di tutto e soprattutto di se stessa, incluso quel che non è nemmeno Tv, ossia i paratesti critici come quelli dei tre videoblogger. La ragazza fornisce per esempio una chiave di lettura su My Roanoke Nightmare per cui la prima stagione della serie fittizia sarebbe: una decostruzione di una coppia interraziale, che si scioglie perché i presupposti post-razziali della relazione sono una falsità della correttezza politica; una riflessione sulla colonizzazione dell’America e il violento scontro tra culture; una disamina della condizione femminile attraverso la figura del Macellaio, vista quasi come un’eroina perché difenderebbe una posizione matriarcale contro una società patriarcale. Uno dei ragazzi che è con lei sminuisce subito queste idee e risponde che la serie gli era piaciuta semplicemente perché faceva paura. Quest’ultimo parlando con un poliziotto, che non crede al loro primo incontro con un fantasma, gli dirà che sta facendo esattamente come in un film horror, ma poi commetterà a sua volta precisamente i tipici errori da film horror, ossia tornare a sfidare il luogo infestato. La ragazza invece cercherà di suscitare solidarietà nel Macellaio raccontandole i suoi propositi umanitari, dove la sua convinzione di essere una persona meritevole, perché riconosce certi soprusi e cerca di superarli, rende la sua morte particolarmente gustosa: tutto quel parlare santimonioso è solo irritante se si è così cretini, e ossessionati dalle visualizzazioni su youtube, da tornare sul luogo dove si è già incappati in uno spettro e in un cadavere.

Quella che è forse la miglior stagione della serie, e sicuramente la più divertente, ci lascia però con una empasse: un’annata come questa non può essere ripetuta e allo stesso tempo è impensabile ritornare al registro delle stagioni precedenti. Qualunque forma e stile decida di adottare in futuro American Horror Story, si auspica che gli autori non abbandonino il tono satirico, che sembrano in fondo maneggiare meglio di quello orrifico.

 

Qui tutti gli articoli della rubrica CoseSerie.

Ti è stato utile questo post? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati