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Dylan Dog n. 362, Dopo un lungo silenzio. Impressioni.
di M Valdemar
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Copertina: NESSUNO. [1]

Al provocatorio bianco che colora l'assenza della cover di toni carichi di indeterminatezza così come di aspettative, seguono, ancora, le pagine vuote normalmente destinate ad anteprima ed editoriali: si parte subito con la storia.
No, non la Storia di Nessuno, paradigmatico indementicabile albo del creatore: ma il ritorno, clamoroso, attesissimo, annunciato solo pochi mesi fa, di Tiziano Sclavi.
Dopo un lungo silenzio: titolo emblematico e metaforicamente elementare, essenziale.
E all'essenza dylandoghiana si ritorna. Storia di fantasmi, presenze, di silenzi angoscianti e Mali spaventosamente terreni, banalmente umani, perversamente ritornanti.
Mantra ricorrenti - quel «Nessuno» pronunciato più e più volte, il «Silenzio» invocato-agognato-deplorato - mentre scorre, ineluttabile e insopprimibile come la più irreversibile, dolorosa delle pene autoinflitte, la discesa nel maelstrom interiore di Dylan Dog, sottoforma di un antico, tormentoso, mostruoso nemico: l'alcolismo.


Un'altra indagine, una come tante - la caccia al fantasma della cara moglie defunta di un uomo qualunque inghiottito dalle fauci implacabili dell'alcol - diventa così antro e viatico simbolico di una ricaduta impensabile - oltretutto "causata" dalla felicità del momento (e da un bicchiere di Amarone), come a ricordarci la caducità delle cose tutte -, accompagnata dalle assordanti infide note del maligno componimento della menzogna: esemplare, sempre efficace e toccante, la sequenza certo tristemente nota dei «solo per questa volta», «un'eccezione», «un episodio isolato», «solo una», «non succederà più», «non è successo niente», «non sono ubriaco!» ...
Coazione a ripetere a mentire agli altri, a sé stessi, alla natura di cui siamo fatti: il prevedibilissimo percorso che conduce a naturali tossiche conseguenze rappresentato tramite il medium dell'arte grafica. Le prime manifestazioni di uno sfasamento solo sintomatico, il rifiuto, i moti di rabbia cieca e furiosa, l'esternazione della possessione diabolica a chi ci circonda, il caos: la progressiva metamorfosi di Dylan Dog è resa impeccabilmente da Giampiero Casertano (in coppia con Sclavi ci ha donato numeri storici, quali Attraverso lo specchio, Memorie dall'invisibile, Dopo mezzanotte).
Il quale - tra la distruzione dell'iconico galeone, la doppia pagina contenente un repertorio spettacolare di apparizioni fantasmatiche "impresse" su storiche foto spiritiche (ma sono «tutti falsi, inconsapevoli o fraudolenti. Doppie esposizioni, fotomontaggi, riflessi, trucchi ...» ammonisce il professor Julius Adam, già apparso in precedenti albi) e la descrizione degli effetti dell'alcol su Dylan e il suo cliente - si (e ci) regala un pezzo di bravura nella materializzazione/visualizzazione del terribile Delirium Tremens. Una messinscena quasi cinematografica, per fluidità del tratto e corposità tangibile delle sequenze: la trasformazione dello spirito della donna in moltitudine di famelici pipistrelli pronti a succhiare sangue e anima - l'esistenza stessa - vale mille consigli e mille didascalie.
Pure inevitabili (ma ... evitabili): il messaggio sull'alcolismo come malattia - individuale e sociale - prelude a un finale al contempo rassicurante e inquietante.
Dopo un lungo silenzio segna dunque un ritorno senza fuochi d'artificio, senza proclami eclatanti o urla di giubilo: sembra reclamare, Sclavi - che si circonda di vecchi amici (la Trelkovski aggiornata con apparecchiature scientifiche e «altre diavolerie del genere»; il Cicap di cui è membro lui stesso) e vecchie care abitudini (le organiche citazioni cinefile: in una scena Dylan e la sua compagna sono in sala per Il fantasma del palcoscenico di De Palma) -, il diritto al Silenzio, a stare solo con i propri fantasmi.
Perché, come ricorda l'Indagatore dell'Incubo citando Frank Sinatra in Alta società "Mai negare a un uomo il diritto all'incoscienza" ...



[1]  È giusto di due giorni fa l'annuncio, ufficializzato dal curatore Roberto Recchioni e dalla SBE, dell'ingaggio di Gigi Cavenago come nuovo copertinista della serie regolare di Dylan Dog (già che è all'opera sugli Old Boy). Angelo Stano ha dunque concluso con Mater Dolorosa, l'episodio immediatamente precedente disegnato proprio da Cavenago.


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