(Spoiler)
Con la terza stagione, la serie di Jill Soloway, già da più parti premiata, non ha nulla da dimostrare se non di saper mantenere il livello delle annate precedenti. Un’impresa non facile, anche perché a Transparent manca da sempre una trama orizzontale forte e la serie vive soprattutto di singoli episodi, per un verso o per l’altro emblematici e simbolici. È il caso di varie puntate di quest’anno, su tutte quella ambientata nella casa di famiglia e dove si aggira una tartaruga, ancora in vita nonostante fosse andata perduta quando i figli di Maura erano solo bambini. L’episodio, sicuramente tra i più riusciti, è non a caso diretto dalla stessa Soloway che riesce a fondere i diversi registri a uno sguardo personale e non privo di critica verso i propri personaggi, egocentrici, narcisisti e borghesi.
Il tema dominante di questa stagione è la decisione di Maura di cambiare sesso, un desiderio che nasce da una insoddisfazione impalpabile eppure innegabile in cui si sente immersa. Naufraga inoltre il tentativo di dare un senso alla sua vita lavorando presso un centro di aiuto telefonico a persone trans, per via della sua incapacità di mantenere un certo distacco. La decisione di operarsi non è però esente da incognite: considerata l’età di Maura non è detto che venga approvata dai medici e dunque può rivelarsi un crudele miraggio in cui investire le proprie speranze. La relazione con Vicki (interpretata da Anjelica Huston) del resto non sembra sufficiente alla protagonista per superare la propria angoscia, Maura insomma è ancora alla ricerca di un’identità compiuta, desiderosa di lasciarsi alle spalle gli equivoci che affronta continuamente nella sua vita trans.
Le famiglie in Transparent
Questa angoscia non è solo di Maura e anzi investe tutti i personaggi della famiglia Pfefferman, a partire da Sarah, che sembrava aver finalmente trovato un equilibrio sessuale nel farsi dominare da una prostituta sadomaso, ma che si ritrova comunque insoddisfatta e desiderosa di sfogare la propria rabbia. Questa sottotrama regala tra le altre cose una delle riflessioni più amare della serie: “non c’è molto mercato nel fare la dominatrice a pagamento per donne, perché è molto facile per le donne trovare gratis qualcuno che le tratti male”.
Ali ritorna invece sulle tipiche incertezze del suo rapporto con relazioni stabili, prima è turbata dall’idea che Leslie non la ami abbastanza e non sia gelosa di lei, poi è invece preoccupata che Leslie la ami davvero e lei non sia in grado di ricambiarla appropriatamente. Per Ali la questione cardine è sempre quella di un’autenticità che continua a sfuggirle: la paura di non saper più riconoscere la verità dei propri sentimenti.
Josh affronta poi, come già nell’annata precedente, la questione della paternità e del suo rapporto con Rita e gli abusi che ha subito da lei. Qui interviene una svolta molto drammatica, sicuramente la più forte della terza stagione, che spinge Josh in un viaggio verso il figlio in compagnia di Shea, una prostituta trans. Questa parentesi on the road è al centro del sesto episodio decisamente tra i più riusciti per come mette fonde la tenerezza e la tristezza alla messa a nudo delle ipocrisie dei personaggi, una puntata di nuovo non a caso diretta dalla stessa Soloway. In una sequenza per altro la regista realizza una sorta di videoclip, con Josh che suona mentre si susseguono immagini di un’America rurale all’insegna dell’abbandono e della povertà, che nel contesto di una serie urbana come Transparent e in particolare in rapporto a Josh che vive in una comunità chiusa e protetta, risultano in una giustapposizione particolarmente ficcante.
L’angoscia per altro investe anche Raquel, la rabbina che ha avuto una relazione con Josh nelle scorse stagioni, e che affronta una crisi religiosa molto profonda già dal primo episodio della nuova stagione. Una svolta questa piuttosto inattesa, visto che era sembrata il personaggio più equilibrato della serie, ma anche gradita, perché il rischio era che Transparent finisse per propugnare, più o meno volontariamente, una risposta religiosa ai problemi di disfunzionalità famigliare e di identità sessuale.
La persistenza del passato in Transparent
Nel caso di Maura e della sua ex moglie Shelly, il mal di vivere viene fatto risalire al passato. Maura ha dovuto prima nascondere e poi sopprimere la propria identità fin da bambino, per via del compagno di Yetta (Michaela Watkins, già vista l’anno scorso in questo ruolo nei flashback berlinesi) che riveste il ruolo di capofamiglia (lo interpreta il Serious Man Michael Stuhlbarg). Maura si veste da donna nel bunker antiatomico sotto casa e anche questo rifugio non è per sempre. Shelly invece scopriamo essere stata vittima di abusi in tenera età, uno sviluppo che ci sembra il primo passo falso della serie. Innanzitutto è un espediente piuttosto abusato per “spiegare” le difficoltà di personaggi più maturi e per dare loro una ferita che li renda più umani ai nostri occhi, nonostante da adulti appaiano completamente narcisisti. Inoltre sembra dire che per la serie i personaggi eterosessuali sono interessanti solo se hanno subito abusi, visto che è successo anche a Josh, e con il senno di poi si spiega poco l’assenza di Shelly proprio in merito agli abusi patiti da figlio con cui invece avrebbe dovuto relazionarsi molto più facilmente degli altri membri della famiglia.
Un sviluppo banale, indegno dell’alto standard della serie, che conduce all’esecuzione da stand-up e cantante di Shelly nel finale, un momento dolceamaro, ma pure un po’ stucchevole, sulle note e soprattutto le parole di Hands in my pocket di Alanis Morissette. Parole che risultano spesso appropriate a Shelly, che sta in fondo ancora cercando di superare quello che le è successo e fare pace con se stessa, ma che diventano ridicole quando canta “I’m young and I’m underpaid”, visto che non conosce difficoltà economiche e si sta esibendo in crociera. Il finale, pur buono per altri versi, non è insomma all’altezza dei primi episodi della stagione e conferma che in Transparent il salto di qualità è legato soprattutto alla regia: quando dirigono Jill Soloway o l’ottima Andrea Arnold (qui dietro la macchina da presa dell’episodio flashback) la serie ha una marcia in più.
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