In un mio post di alcuni giorni fa ho buttato lì una provocazione, parlando della Virtual Reality e di un suo possibile utilizzo artistico, in affiancamento al cinema. Sono stato sommerso da una bordata di fischi: il pubblico cinefilo è abbastanza conservatore, va detto.
Tuttavia se ci immaginiamo lo scenario che il futuro prossimo ci assicura possibile e imminente - quello di una grande sala dove un pubblico dotato di strani visori penetra in una storia (o forse in un’architettura drammaturgica?) pienamente tridimensionale - possiamo notare una cosa: quel che non si perderebbe sarebbe l’esperienza collettiva, il rito.
Chi è stato in un cinema indiano lo sa: in altre culture la partecipazione collettiva al rito cinematografico è sempre ai livelli di una replica di Rocky Horror Picture Show di fronte a un pubblico di fan. Ma non serve andare lontano: già una sala piena, davvero piena, può bastare. Oppure - anche se non avete figli o nipoti - fate comunque l’esperienza di andare vedere un film d’animazione di successo la domenica pomeriggio in una sala piena di bambini: concentratevi sul pubblico prima che sul film.
Niente poi ripaga l’emozione di un’anteprima o di una prima con il cast o il regista in sala.

L’aspetto comunitario, catartico, della proiezione collettiva e il suo effetto abreattivo è una parte fondamentale della storia del cinema e un motivo chiaro del suo successo e del suo valore sociale. Se per qualche ipotetico ostacolo tecnologico invece del proiettore e dello schermo, sin dagli esordi, i film fossero stati visti sempre e solo su un qualche ipotetico mini schermo privato la storia del cinema non sarebbe stata la stessa.
Viceversa c’è una fruizione ormai tollerata del buon vecchio cinema che quella ritualità se la lascia bellamente alle spalle e con buona pace dei cinefili (in molti casi costretti dalla necessità, va detto): quella del soggetto guardante (lo spettatore) in parziale o completo isolamento di fronte al suo schermo privato. Che il film sia trasmesso in televisione, riprodotto da un supporto magnetico o digitale, o scaricato in streaming, la cosa non cambia: forse semmai la tv, nel suo essere simultanea per tutti, conservava ancora un po’ di senso della condivisione. Di un film visto in tv si poteva (e si può ancora) parlarne la mattina con qualcuno che era sintonizzato insieme a noi: era comunque un evento che si collocava nella cronologia condivisa. Quella in streaming però è sicuramente la più indipendente e solitaria delle visioni: con la sua disponibile e accogliente modalità “usa-getta-riprendi(da dove avevi gettato)” invita a sveltine o a full-immersion che difficilmente vengono condivise. Sono convinto ad esempio che chi guarda le serie tv le veda per lo più da solo (e questo meriterebbe un’indagine sociale che potrebbe darci spaccati interessanti).
A chi accetta e pratica lo streaming e rifiuta possibili adeguamenti tecnologici viene però da chiedere, con spirito riduzionista: cosa è più cinema? Il viaggio collettivo in una storia o la storia in sé?
Io mi barcameno e pratico entrambe le possibilità. Mi piace guardare un film (o una serie) in streaming da solo tanto quanto mi piaceva leggere un romanzo in un pomeriggio d’ozio, con le persiane semichiuse (che non leggo quasi più). Ma mi piace anche sapere che c’è chi si sta adoperando per sovvertire il rapporto tra il pubblico e i gestori, invertendo i ruoli, e ridando vita alle molte sale che soffrono - per esempio - dei lunghi pomeriggi vuoti. È l’iniziativa di Movieday, che sta provando a metter in pratica un’idea che francamente avevamo avuto anche noi: lasciar che il pubblico (o qualcuno del pubblico) scelga e acquisti un film che vorrebbe far vedere e organizzarne proiezioni collettive. Una specie di gruppo d’acquisto, se volete: che offre anche a film che non hanno avuto distribuzione la possibilità di trovare lo stesso un proprio pubblico.
Domenica se ne parlerà a Milano al cinema Plinius, magari ci faccio un salto.
Ma la domanda è: quanti di voi si farebbero gestori? Quanti davvero poi si darebbero da fare per promuovere una visione collettiva, coinvolgendo gli amici, spammando sui social, sbattendosi per assicurare la visione di un film ritenuto interessante o di valore?
Be’, occorre chiederselo. Avendo provato a organizzare qualche concerto di nicchia so quanto sia dura. E vincere la fatica con la sola motivazione della condivisione è praticamente un’esercizio spirituale.Tuttavia, in effetti, almeno adesso è possibile. Non so se al momento punterei qualcosa sul successo di Movieday ma l’applauso all’iniziativa è sincero e parlarne con voi è la cosa migliore da fare.
PS: la scena qui sopra non è presa da un porno. È quella finale di un film "serio" di dieci anni fa. Chi ricorda quale?
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