Penultimo giorno di proiezioni a #Venezia73. Per il concorso, tocca oggi all’ultimo degli italiani, Questi giorni di Giuseppe Piccioni, e a Lav Diaz con The Woman Who Left.
Piccioni in Questi giorni racconta come in una città di provincia, tra le vecchie mura, nelle scorribande notturne sul lungomare, nell'incanto di un temporaneo sconfinamento nella natura, si consumano i riti quotidiani e le aspettative di quattro ragazze la cui amicizia non nasce da passioni travolgenti, interessi comuni o grandi ideali. A unirle non sono le affinità ma le abitudini, gli entusiasmi occasionali, i contrasti inoffensivi, i sentimenti coltivati in segreto. Il loro legame è tuttavia unico e irripetibile come possono essere unici e irripetibili i pochi giorni del viaggio che compiono insieme per accompagnare una di loro a Belgrado, dove l'attendono una misteriosa amica e un'improbabile occasione di lavoro.
Spiega il regista: “Cos'è quell'illusione di eternità che improvvisamente si inceppa, minaccia di interrompersi proprio quando il futuro sembra comunque essere carico di promesse? Perché un viaggio intrapreso per suggellare il legame di un'amicizia che in quel modo cerca di diventare eterna, crea invece un'incrinatura insanabile nell'equilibrio incerto della vita quotidiana del gruppo?
Ho lavorato a lungo con le ragazze perché loro sono semplicemente il film. Non volevamo fatti eclatanti, o situazioni estreme da raccontare, insomma non una storia troppo premeditata. Avevamo poco tempo, molti spostamenti e tantissime scene da girare. Nella parte iniziale il tempo viene scandito dalla ripetizione, dalla frammentarietà episodica, dalla somma di vicende di vita ordinarie, nella somiglianza dei minuti, delle esperienze. Nel viaggio, per quanto breve, si ha la sensazione di un'idea diversa della durata, che il tempo sia interamente vissuto. Dovevo stare semplicemente vicino a queste ragazze, dovevo filmare qualcosa che non è solo nella storia. Raccontare anche quel senso fisico dell'esistenza tipico di quell'età, quell'energia, quel dispendio senza riserve o cautele. In questo senso il paesaggio ci ha aiutati ma non in maniera descrittiva e la natura è solo compagna di quei gesti, di quelle parole, di quelle vicende, della fiammata improvvisa che nell'arco di pochi giorni vissuti intensamente diventa rapidamente ricordo, un'occasione mancata, un gesto che si è perso da qualche parte, anche se bisogna andare avanti, sempre. Come dice Caterina, una delle ragazze interpretata da Marta Gastini [le altre tre protagoniste hanno i volti di Maria Roveran, Laura Adriani e Caterina Le Caselle, ndr], tutto quello che accade ci accade senza che ne siamo consapevoli: "Se qualcuno ci avesse detto, in quei giorni, che quelli erano i nostri giorni, irripetibili, e che eravamo dentro un'eterna promessa che il tempo vissuto dopo non avrebbe mantenuto, noi non gli avremmo creduto, avremmo pensato che invece il nostro tempo fosse ancora davanti a noi, che il meglio dovesse ancora venire”.
The Woman Who Left di Diaz, invece, ci porta nelle Filippine di fine anni Novanta. Horacia ha trascorso gli ultimi trent'anni in un centro di correzione per donne. Ex insegnante di scuola elementare, conduce una vita tranquilla aiutando gli altri con la lettura e la scrittura. Quando un'altra detenuta confessa di essere la responsabile del crimine di cui è accusata, Horacia viene rilasciata immediatamente e si mette sulle tracce della sua famiglia. Una volta rintracciata la figlia Minerva, Horacia le racconta di essere stata incastrata dall'ex compagno Rodrigo Trinidad solo perché lei lo aveva lasciato per un altro uomo. Continuando poi a ricercare il figlio scomparso Junior, Horacia inizia a spiare Rodrigo con l'aiuto di alcuni disperati, che la informano sui movimenti dell'uomo. Inoltre, in libertà, Horacia si rende conto come il mondo esterno sia terrorizzato dalla dilagante corruzione e dai rapimenti. A poco a poco, la sua indole generosa comincia a maturare sentimenti di vendetta.
“L’esistenza è fragile” dice Lav Diaz, “Alla fine di una giornata, in fondo, noi non sappiamo nulla”. Una storia semplice, ma allo stesso tempo complessa; un’opera sull’esistenza umana, che si chiede “dov’è la logica in tutto questo?” Un film che vuole spingere il cinema verso il suo ruolo più profondo e grandioso: trovare risposte alle filosofiche domande che ogni spettatore si pone. L’ambientazione a Mindoro, provincia delle Filippine da cui proviene la stessa Charo Santos-Concio, ha reso il momento delle riprese ancora più autentico di quanto il tema del film non fosse in grado di fare.
Queste invece le recensioni dei film visti ieri:
Jackie - Recensione di Spaggy
Paradise - Recensione di EightAndHalf
The Journey - Recensione di Supadany
Planetarium - Recensione di Spaggy
Big Big World - Recensione di Alan Smithee
La leggenda della montagna - Recensione di EightAndHalf
La ragazza del mondo - Recensione di Supadany
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