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Z Nation: "cuccioli e gattini"
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“Have mercy
because you know it won’t be long
have mercy
til we all have to sing the song
have mercy
say goodbye to the eye that sees
have mercy
have mercy on me”

Su una manciata di note del brano Have Mercy, “simil vecchio blues con contaminazioni soul”, come ama dichiarare il suo autore, il musicista statunitense Jason Gallagher, si apre l’apocalisse zombie declinata secondo i discutibili canoni artistici della famigerata casa di produzione indipendente californiana The Asylum, che ha fatto del suo stile low budget -rigorosamente e sfacciatamente trash- un vero e proprio marchio di fabbrica, nonché segno distintivo riconoscibile (ed inconfondibile) nel mare magnum delle innumerevoli storie per immagini pensate e scritte guardando al piccolo schermo e al florido mercato home video.

Z Nation (Nazione Zombi e/o Nazione Zero, volendo, in senso autoironico “di serie zeta”, vista la mente da cui è stata partorita) è ciò che resta degli Stati Uniti d’America dopo l’avvento dell’apocalisse zombie.

Sono, oramai, trascorsi 3 anni da quando l’impenetrabile, granitica armata di morti viventi ha rovesciato le sorti del genere umano decretando la fine della sua supremazia in terra, “facendo dei cimiteri le loro cattedrali e delle città le loro tombe” (per dirla alla maniera dell’indiscusso cult della cinematografia horror nostrana Dèmoni di Lamberto Bava), impadronendosi di tutto quello che una volta le apparteneva ed imponendosi come nuova futura stirpe in rapidissima espansione sull’intero globo terrestre.

E così, da est a ovest e da sud a nord, strade, città, villaggi, case, edifici pubblici, campagne, boschi, centri commerciali, bar, locali notturni, caserme, chiese, aree industriali, ospedali, mezzi di trasporto, finanche centrali nucleari, riserve indiane, casinò in pieno deserto e leggendari luoghi di avvistamento ufo, sono stati tutti, in egual misura, letteralmente invasi da orde di siffatte sgraziate, disarticolate, putrescenti, raccapriccianti creature fameliche.

Che posseggano la classica andatura lenta o siano dotati di piè veloce, che siano adulti o bambini (neonati compresi), di prima generazione (romeriana) o di quelle a seguire geneticamente modificate, questi compatti minacciosi furiosi stormi di non morti hanno finito per devastare ogni cosa incontrata sul loro inarrestabile, inesorabile cammino, con la medesima violenza di un tornado forza 6 o come il più distruttivo degli tsumani, e rimpinzarsi, senza misura né decoro, di invitante, abbondante, deliziosa (per i loro palati) carne umana.

Pochi i sopravvissuti, costretti, per tener salva la pelle, ad ingaggiare contro gli ‘zeta’ una strenua battaglia che pare non conoscere fine e nemmeno concedersi tregua. Tra questi, un manipolo bene assortito di gente comune che il destino ha messo insieme, chiamate a muoversi tra le macerie ed i pericoli del nuovo mondo per garantire all’umanità una speranza che possa scongiurarne l’estinzione.

Speranza che risponde al nome di Alvin Bernard Murphy, la cui condizione di galeotto lo ha reso, ob torto collo, una cavia da laboratorio necessaria a sperimentare su di lui gli effetti di una cura studiata contro l’infezione zeta. Risultato: il sangue trattato con quello che potrebbe fungere da futuro salvifico vaccino lo ha reso immune ai contagiosi morsi degli zombi… e non solo…

Suona come un’amara beffa o, magari, è solo il giusto contrappasso per gli orrori perpetrati dalla razza umana, sapere che proprio in Murphy, reietto feccia della società, è racchiusa la soluzione per sconfiggere l’infestante pandemia virulenta ed impedire di venir spazzati via dalla faccia della terra. E così, Mr. simpatia Murphy, carattere irritante e personalità poco accomodante, si ritrova improvvisamente in cima alla nuova piramide sociale dei pochi, e adesso sparuti, esseri umani più preziosi ed influenti di Zombieland. L’importanza capitale che d’ora in avanti ricoprirà lo renderà un sorvegliato speciale, scortato e scarrozzato coast to coast, durante i giorni e le settimane a seguire, dal coraggioso gruppo di comuni mortali votatisi alla causa, affinché approdi, indenne, nella terra promessa di California e, precisamente, in un laboratorio di ricerca dove ultimare la straordinaria scoperta che potrà definitivamente affossare lo strapotere zombie. Finendo per essere di fondamentale aiuto nell’odissea che vivranno, considerata l’acquisita e sviluppata empatia/telepatia del nostro con gli irriducibili zeta.

La missione salvezza si srotolerà in una lunga, arzigogolata cavalcata on the road, sicuramente avventurosa, di certo zeppa d’insidie, costantemente condotta sul filo del rasoio e, perché no, persino divertente, che ambisce, riuscendoci, ad aggiornare in chiave horror il mito della frontiera, ridisegnando col color del sangue zampillante l’epopea dei pionieri.

Il viaggio in lungo e largo per Z Nation sarà costantemente monitorato dall’unico sopravvissuto all’interno di una postazione di controllo satellitare situata nella zona artica. Favoriranno la traversata, le ultime tecnologie ancora attive di una civiltà definitivamente implosa.

In un mondo dominato dal caos, regredito allo stadio ferino, dove il più debole soccombe per mano del più forte, dove la morte fagocita ogni cosa in grandi, succulenti bocconi, i nostri uomini, duri e puri, decidono di non arrendersi, imbracciano le armi e combattono fino allo stremo delle forze.

Z Nation è quello che non ci aspettavamo, è una ventata d’aria fresca, è genuino entusiasmo, è voglia di avvincere ed emozionare ricordandosi di non prendersi troppo sul serio.

L’amatorialità professionale della fattura made in The Asylum, stavolta, ha compiuto miracoli.
Forse perché le modalità artigianali-caserecce di confezionamento della piccola casa indipendente californiana meglio si sposano con la serialità del racconto di stampo televisivo rispetto alla forma film fino adesso sperimentata, o forse perché proprio a permetterlo è la stessa tradizione del filone zombiesco -già di per sé assurdo, sporco, dai pochi mezzi produttivi ma dalle potenti idee-, ma questa z-apocalisse, così come ce la raccontano gli autori della Asylum, è un lavoro riuscito straordinariamente bene. Un gioiellino, parlando francamente e volendo fornire un giudizio scevro da (comprensibili) pregiudizi.

La cosa certa è che, ad oggi, Z Nation può essere ritenuto il capo d’opera di questi singolari, sgangherati e audacissimi ‘mockbusters’ (ovvero produzioni low budget che richiamano, parodisticamente, i colossi catastrofici realizzati in quel di Hollywood), ricordato come quel progetto che, finalmente, pur rimanendo fedele ai dettami trash della casa madre, ne modifica la percezione da parte dello spettatore (che si approccia prevenuto), il quale, cimentandosi nella visione, si trova a prendere atto di un’operazione realizzata in perfetto, divertito stile b movie, ma, stavolta, incredibilmente credibile; insomma, un’anomalìa, viene da dire, in mezzo a tanti, troppi, tutti, risibili e incredibilmente incredibili lavori fino adesso propinatici a getto continuo.

Z Nation non è, quindi, solo cialtroneria certificata, come i cinefili-chic sostengono, ma, soprattutto, godibilissimo intrattenimento.

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(Dichiaratamente) nata come costola marcescente di The Walking Dead (a conferma che The Asylum fa da contraltare alla conterranea Mecca del cinema) ------ basti pensare al ‘furto’ di quell’espressione “cuccioli e gattini” pronunciata dal cowboy urbano leader dell’epos zombiesco firmato dai grandi studios, fatta propria e trasformata in un grazioso, ironico epiteto con cui il gruppo che scorta Murphy apostrofa gli insaziabili z-predatori [ http://turbovid.me/gex3ixuhoph5  dal minuto 28,17 al 28,25 circa]------ Z Nation finisce col prendere le distanze dalla regina delle serie zombie ed incamminarsi su un proprio distinto percorso, dimostrando di saper rimanere magnificamente in piedi da sola. Tante le idee contenute in questo inatteso ‘scrigno delle meraviglie’, per il momento arrivato alla seconda stagione; la terza sarà pronta a debuttare, sempre sul canale americano Syfy, nel prossimo autunno e, secondo fonti attendibili, ci sarebbe materiale narrativo sufficiente per arrivare a mettersi in pari con le 6 stagioni dell’acerrima rivale-musa ispiratrice T.W.D. https://www.youtube.com/watch?v=qPRvBbfuj8k

Gustose le digressioni che vivacizzano il racconto, spezzando l'altrimenti monotonia della storia-base e conferendogli un ritmo sostenuto che incalza ed invoglia alla visione, mentre a definire l’atmosfera nel suo insieme e creare un filo rosso tra un episodio e l’altro non è (sol)tanto il tema portato avanti (la missione California), al centro di entrambe le stagioni, quanto piuttosto la levità della scrittura, il trovato e mantenuto equilibrio tra genere puro e (superficiale) scavo psicologico. E, ancora, i toni irriverenti nonché scanzonati ad accompagnare le peripezie dei nostri simpatici eroi, innestati nell’articolato tessuto narrativo in modo, e nella giusta dose, da non stridere con la gravità della circostanza apocalittica. Al contrario, quest'ultimi finiscono con ammantarla di nero divertimento, rendendo, al contempo, più acre e spiazzante il sapore della ‘sconfitta’ laddove la situazione si spinge verso derive irrimediabilmente spiacevoli.

Z Nation rivela un amore incondizionato per il genere ed un gusto cinefilo sopraffino, che sta allo spettatore scoprire ed assaporare oltre le evidenti citazioni di opere seminali del filone zombiesco. E guarda, altresì, sfrontatamente compiaciuto, ad uno dei più grandi successi in termini scult concepiti dalla Asylum, con effetti esilaranti.

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Z Nation è azione piuttosto che contemplazione.

Fluida, veloce, serrata. Sapientemente coreografata e immortalata in apprezzabili ralenti degni di una produzione hollywoodiana.

https://www.youtube.com/watch?v=Lpo2jjgNljk

https://www.youtube.com/watch?v=QsNPrtObRAk

I suoi protagonisti sono efficacemente caratterizzati e sfoggiano facce capaci di scolpirsi nella memoria, sulle quali si stampano, spesso e volentieri, espressioni ghignanti di sana liberatoria soddisfazione nel fare a pezzi gli atavicamente ingordi nemici.

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A prestar loro personalità e fisicità, attori provenienti dal sottobosco televisivo, volti già visti altrove sebbene risulti impresa un tantino ardua sostenere ‘dove’, che qui trovano, finalmente, un’identità e un’appartenenza ben precise.
Ad affiancarli, volti tv, caratteristi, nomi del cinema retrocessi o adattatisi al piccolo schermo. Tra le principali guest star troviamo: Bill Moseley, Kelly McGillis, Missy Pile, Anthony Michael Hall e Gina Gershon. Figura anche lo scrittore e sceneggiatore G.R.R.Martin nella parte di se stesso in versione zeta, felicemente impegnato a firmare autografi del suo ultimo successo cartaceo.

Z Nation rivela senza vergogna la natura derivativa che ne innerva l’ossatura, ammette e non se ne fa un cruccio, al contrario di lavori similari, il suo essere arrivato ‘dopo’ che molto è stato già scritto e fatto sul fertilissimo tema dei ritornanti. Salta, infatti, a piè pari l’irritante, e, oramai, fuori tempo massimo, passaggio obbligato del "chi sono loro, come si fa ad ucciderli?" visto che il nostro gruppo di intrepidi beniamini, da subito (pur con delle incongruenze -cialtrone- tra 1 e 2 stagione), si rende conto di dover fare i conti con infinite scorrerie di zombi, e, terrorizzati ed ugualmente eccitati come lo saremmo noi (forse), rispondono all’attacco con un adeguato contrattacco. Che garantisce loro la sopravvivenza e li tutela da inutili rischi. E consente di non sprecare inutili proiettili, considerati, ancor più del solito e a ragion veduta, il sale della terra. E permette, infine, di donare ai loro cari estinti la pace del sonno eterno il più in fretta possibile.

Queste le ragioni alla base della scelta di “concedere la grazia” ai mangiati vivi o ai morti, tutti i morti, mirando direttamente alla testa, così da ucciderli definitivamente.

Quando ogni cosa è finita in rovina, un barlume dell’antica umana compassione ancora resiste.    
Have Mercy, appunto.

 

 

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