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Anton Yelchin, lo "strano"
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Ho sempre cercato di essere il meno personale possibile nei miei post. Ho sempre creduto che parlare in prima persona e personalizzare un articolo, non fosse utile alla causa, oltre che poco professionale, credibile e serio. Ci ho comunque pensato a lungo, e credo che non sia più il caso di scrivere articoli di taglio accademico. Non è questa la sede. Meglio post personali, soggettivi, viscerali, caldi e sanguigni, con quel poco di erudizione e mestiere che alza un po’ il tiro, senza però strafare.

Anton Yelchin mi piaceva. Ogni generazione ha il suo attore che se ne va, la sua rockstar, il suo atleta, il proprio mito che prende e se ne va per sempre. Mi era successo anni fa con Heath Ledger, più recentemente con Joe Cocker, ma le dipartite di ragazzi giovani o coetanei nel fiore della vita, come mi era successo anche con Marco Pantani, fanno molto male e segnano il vissuto e l’immaginario di un uomo. Succede di nuovo con Anton Yelchin, anche se Ledger era uno dei miei attori di riferimento, mentre Yelchin non lo era ancora, lo stava diventando. Insomma, mi piaceva. Anton Yelchin mi piaceva.

L’avevo visto per la prima volta in Alpha Dog (2006), dove esordiva come coprotagonista dopo sei anni di televisione e ruoli di contorno. Nel film di Cassavetes, Anton Yelchin sfoggiava una leggerezza illuminante. Mentre altri attori di peso, soprattutto Hirsch, Foster, Timberlake e Willis calcavano giustamente e con mestiere la mano sui propri caratteri, Yelchin svolazzava. Ingenuo, tranquillo, spaesato, aveva l’aria del novellino, del Davide al cospetto di Golia, dello sbarbatello arrivato da poco nella compagnia dei più grandi. Attraversava il film come un fantasma, un leggero spiritello dal viso ossuto, pallido; un tipo magro, smilzo, nel posto sbagliato al momento sbagliato. E gli è bastato questo a farcelo amare.

Poi sono arrivati altri film, mai filmoni: qualche tentato blockbusters, qualche indie,  qualche film particolare frammischiato con il genere, o commedie leggere, romantiche e intelligenti, in cui il giovane russo nato a San Pietroburgo e migrato negli USA a soli sei mesi d’età, ha dato prova di essere un attore di carattere senza essere fashion. Per i più è il Cekov della nuova serie di Star Trek firmata JJ Abrams (2009-2016), per me è invece il Zach Muzursky di Alpha Dog, o meglio ancora, ruolo che me lo ha fatto diventare un volto amico, il Charly Brewster di Fright Night (2011), remake molto suggestivo, ben diretto e tematicamente divertente dell’originale del 1985.

Ma come dimenticare la sua partecipazione a Solo gli amanti sopravvivono (2013), diretto da Jim Jarmush, uno dei tanti grandi nomi con cui Anton Yelchin ha lavorato, tra cui i già citati Abrams e Cassavetes, Roland Joffé, Jodie Foster, William H. Macy al suo debutto registico e infine anche Joe Dante, con cui Anton Yelchin si conferma il miglior volto di un ideale teen horror d’autore.

Con quel viso “europeo”, mal si addiceva ai tipici ruoli degli eroi americani strombazzanti, fisicati, abbronzati, ricchi, etc. etc., piuttosto ispirava marginalità, tenerezza, intelligenza, dramma. È così che il suo corpo da adolescente imberbe, da ragazzo della porta accanto, buffo, goffo, timido, strano e irrisolto, si trasforma nel miglior corpo attorico per film horror dal taglio brillante, black comedy che nulla indugiano ai classici topoi del genere. Dopo Fright Night, Anton Yelchin si tipizza quasi nello stesso ruolo e nello stesso macrogenere fantastico-weird: Il luogo delle ombre (2013), Solo gli amanti sopravvivono, e soprattutto Buryng the Ex (2014) firmato proprio da Joe Dante.

È stato anche la voce del Puffo Tontolone nel franchise in quattro episodi tra cinema e tv de I Puffi (2011-2013), ma soprattutto è stato il Charlie Bartlett dell’omonimo film diretto nel 2007 da John Poll, che lo ha reso un volto conosciuto. Ma il buon Anton ha continuato a lavorare in produzioni atipiche, al limite del genere, del commerciale e dell’indie. Titoli come Like Crazy (2011), uno dei suoi ruoli più intensi nonostante lo scarto sottrattivo della sua recitazione, You and I (2011), Rudderless (2014), 5 to 7 (2014) e Cymbeline (2014), confermano la sua propensione per un cinema che non deve urlare per farsi sentire, nonostante la partecipazione a celebri blockbusters gli permettesse di farsi un nome e un volto nell’industria.

Attore geniale secondo il compagno di set Justin Timberlake, ma non ci è dato saperlo. Sappiamo invece quanto il suo approccio personale alla recitazione avesse qualcosa di strani, magico e strano allo stesso tempo. Basta vedere la sua prova in un film quasi imbarazzante come Il luogo delle ombre, diretto dal peggior regista della storia, ovvero Stephen Sommers – altro che Michael Bay, Roland Emmerich o Ed Wood [questo tra l’altro un genio] – in cui Anton non viene affatto schiacciato dagli effetti speciali, anzi li cavalca, lui, stuntman di se stesso; non soffre una regia di soli rallenty, accelerazioni e freeze frame; non risente di una sceneggiatura che nemmeno in un fumetto 0-12 anni. No, Anton Yelchin impone il suo stile, la sua tipizzazione, tra il dramma e il brillante, toccante in più occasione. Una recitazione sensibile che ci mancherà. Strana e sensibile, solo come sanno fare in pochi.

Ci lascia così, a seguito di un incidente dalla dinamica poco chiara, quasi misteriosa – una sorta di Christine, macchina infernale, che sembrerebbe essersi accanita sul padrone dotata di propria vita – ci lascia così, con qualche premio più che meritato alle sue performance di Like Crazy e Rudderless e un pugno di sei film che usciranno postumi tra i quali l’atteso horror Green Room (2015). C’è da credere che, pur sapendo che un giorno non potremo più vederlo e nemmeno sapere cosa sarebbe diventato, Anton Yelchin ci ha lasciato molti film e altrettanti ruoli per non dimenticarlo e farci compagnia.

Tante belle parole. Sempre così quando muore un artista, un nome famoso. Pochi però pensano al fatto che un ragazzo di 27 anni oggi non c’è più. Manca alla sua famiglia, ai suoi amici, e soprattutto manca a se stesso: non potrà più vedere un tramonto, un’alba, leggere un libro, fare sesso, ridere con qualcuno e vedersi invecchiare. E noi qui, a parlar di cinema….

 

So long, Anton...

 

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