Kris Kristofferson, Brownsville, 22 giugno 1936.
Icona della contestazione americana dei settanta, icona dura e pura del western, del country, del folk e del rock d’autore statunitense, il “fuorilegge” Kris Kristofferson compie ottant’anni. L’unico, vero e inimitabile Billy the Kid, una specie di reincarnazione di cui possiamo ancora godere l’esistenza come in una sorta di magica vita parallela.
Texano dagli occhi di ghiaccio, figlio di un generale dell’esercito americano, studente di Oxford, laureato con lode in letteratura, storico partner di Janis Joplin, marito anche di Rita Coolidge, dedito all’alcol negli anni ’70, diseredato dalla famiglia dopo aver lasciato l’esercito per seguire la strada del country, amico intimo di Willie Nelson, Johnny Cash, James Coburn e Muhammad Alì, contestatore antimilitarista durante i ’70 e gli ’80, introduttore dei temi caldi della politica nella country music – da cui anche il bando dalle radio per diversi anni, Golden Globe nel 1976 per È nata una stella, attore feticcio di Sam Peckinpah, autore di quel monumento musicale che è Sunday Morning Comin’ Down (1969), veterano del Vietnam che lasciò però nel 1965 rifiutandosi di combattere, apparso sia su Playgirl che Playboy – anche se confesserà che nel secondo caso era ubriaco e non si ricorda più nulla, Kris Kristofferson è tutto questo e molto altro.
È un wild american di quelli che ama e canta nelle sue canzoni come Martin Luther King, John Trudeau, Steve Aerle e l’amico Willie Nelson. Animato da figure primitive della contestazione, come Gandhi e anche Gesù Cristo, Kristofferson ha da sempre rappresentato il “fuorilegge” artistico per definizione. Duro, stoico, solido, con giusto un pizzico di maledettismo dovuto ai trascorsi con l’alcol, ma per lo più uomo coraggioso e tutto d’un pezzo, figlio sì di un militare, ma dalla coscienza libera e critica. Sostenne Nelson Mandela e si schierò a fianco dei sandinisti del Nicaragua – di cui Third World Warrior (1990) è uno splendido concept album che ancora oggi segna la sua carriera durante i live.
Americano puro, americano vero, libero e indomito, non poteva che essere lui il miglior Billy the Kid della storia del cinema. Chiamato da Sam Peckinpah, Kristofferson divenne subito icona della contestazione e della americanità più genuina attraversando poi sia la musica che il cinema. Esordisce in Fuga da Hollywood (1970) per volontà del regista Dennis Hopper continuando di pari passo con la carriera musicale. Nel 1972 lotta con Gene Hackman in Cisco Pike e nel 1973 è la volta del capolavoro dello zio Sam: Pat Garrett & Billy the Kid, al fianco dell’amico James Coburn. Partecipa a titoli come Voglio la testa di Alfredo García (1974), Alice non abita più qui (1974), È nata una stella (1976), di nuovo Peckinpah con Convoy(1978) e poi l’apoteosi di questo straordinario decennio con I cancelli del cielo (1980).
Gli anni ’80, se escludiamo Flashpoint (1984), non sono stati anni felici, ma d'altronde tutte le maggiori icone dei settanta hanno subìto una decisiva flessione durante questa decade, tra cui Clint Eastwood e Gene Hackman. Bisogna aspettare i novanta perché tali icone tornino a ruggire forti di una maturità anche fisica che li distingue dai divi dell’epoca. Anche per Billy the Kid, ops!, Kristofferson, la seconda metà dei novanta è magica: dal 1996 di Lone Star fino al 2001 di Planet of the Apes, passando per Blade (1998), La figlia di un soldato non piange mai (1998), Payback (1999) e Limbo (1999), Kristofferson partecipa con la sua solida presenza scenica alla riuscita estetica dei precedenti titoli.
Poi, di nuovo, un’inflessione. Stavolta definitiva. Gli Anni Zero non gli portano fortuna al cinema. Partecipa a molte piccole produzioni come guest star e a qualche titolo importante a conferma di un appeal ancora intatto: The Jacket (2005), Fast Food Nation (2005), voce narrante di I’m Not There (2007), Deadfall (2012), The Motel Life (2012) e la miniserie tv Texas Rising (2016). A riguardo va detto che, pur vestendo i panni del Kid già nel 1972, Kristofferson non ha quasi mai partecipato a film western, se non in produzioni televisive tra gli ’80 e i ’90. Dopo Pat Garrett & Billy the Kid e I cancelli del cielo, Kristofferson continua il suo apporto al genere negli eighties attraverso produzioni televisive come Gli ultimi giorni di Frank e Jesse James (1986), cult a cui partecipano anche Johnny Cash e Willie Nelson, Stagecoach (1986), The Tracker(1988) e poi nei novanta con Un angelo pellerossa (1991), la serie tv Dead Man’s gun (1997-1999), Two For Texas (1998) e Outlaw Justice (1999) girato in Almería, nel deserto di Tabernas, inseguendo le orme dei classici spaghetti-western. Bisognerà poi aspettare il 2010, saltando a piedi pari il documentario Requiem for Billy the Kid (2006), in cui Kristofferson è la voce del Kid, per tornare al western con The Last Rides of Ransom Pride , la serie Texas Rising e Traded (2016).
Da giovane, come tall american, moro, barba seventies, occhi di ghiaccio e ghigno western, Kristofferson attraversa il suo decennio migliore lasciando pesanti impronte di sé in ogni sua performance, che fosse nel mondo del cinema o in quello della musica. Pur non nascendo come attore, ha saputo giocare con la spavalderia del proprio fisico e del proprio background sociale e immaginifico portando sullo schermo un alter ego di se stesso, contestatore, anticonformista e refrattario al potere. Oggi le sue partecipazioni cinematografiche, soprattutto nei western o nei country drama, sono dovute al potere evocativo della sua presenza iconica. Dopo essere stato anche un valido villain in titoli come Lone Star (1996), Fire Down Below (1997), Payback (1999), e uomini “hackmaniani” in The Jacket (2005) e La figlia di un soldato non piange mai (1998), Kristofferson si è poi accomodato in ruoli concilianti, paternali, forte della sua iconicità wild american, a rappresentanza di un’americanità solida e pura, fatta di tradizione e libertà, sogno e autodeterminazione.
Nel frattempo, partecipando qua e là a qualche posa in diversi film, ha avuto molto più tempo da dedicare alla musica e ha sfornato quattro nuovi album tra gli Anni Zero e gli 010: il potente ed evocativo This Old Road (2006), il semplice e genuino Closer to the Bone (2009), il suggestivo folk delle origini di Feeling Mortal (2013) e l’ultimo Cedar Creek Sessions (2016), prima edizione dello storico live a Cedar Creek del 2014.
Con nove album nei ’70, due negli ’80, tre nei ’90 e una manciata di live e raccolte – tra cui vale la pena ricordare Please Don’t Tell Me the Story Ends (2010) e l’ultimo monumentale The Complete Monument & Columbia Album Collection (2016), box set storico con ben 16 dischi tra album, rarità e live mai pubblicati, è difficile dire quale sia il miglior lavoro di Billy, ops!, Kris; quale la sua canzone migliore, o quale la playlist definitiva.
La foto è mia, Milano, 2012.
Gli album degli ultimi quasi vent’anni di carriera sono proprio coevi alla mia giovinezza e quindi colonna sonora precisa e puntuale della mia vita, allo stesso modo dei lavori più recenti di Joe Cocker e Rolling Stones. Nel recupero, ormai decennale anche dei suoi vecchi lavori, scopro un songwriter immenso, un countryman dall’animo duro e puro, che aggiunge valore all’immagine storica che ho sempre avuto di Kristofferson. La mia passione per il Kris cantante nasce appunto dalla passione/ossessione che ho per Billy the Kid e il film di Peckinpah, cioè per il Kris attore: non solo Billy, ma anche il Cisco Pike dell’omonimo film, il biker stupratore di Voglio la testa di Alfredo García, l’Anatra di Gomma di Convoy, il James Averill de I cancelli del cielo, il Charlie Wade di Lone Star, il freddo protagonista di La figlia di un soldato non piange mai, lo spocchioso Bronson di Payback – uno dei suoi ruoli migliori, e infine il tormentato dott. Becker di The Jacket . Così, quando mi si presenta l’occasione di poterlo vedere dal vivo in concerto a Vigevano, a dieci minuti da casa mia, nel 2010, non perdo tempo e rinfoltisco i mie album con qualche nuova chicca, più ovviamente l’ultimo album, Closer to the Bone. Vado per vedere Billy the Kid e ritorno innamorato di Kris Kristofferson cantautore, e soprattutto dell’uomo. Gli ho stretto la mano, fatto due chiacchiere, qualche foto, un autografo, due risate: un uomo amabile e disponibile, come l’anziano oste di una trattoria pronto ad ospitarti e a darti un bicchiere di vino.
Nel 2012, Kris Kristofferson torna, a Milano, al Teatro Franco Parenti, in una nebbiosa e fredda serata novembrina. Io e il mio amico Umberto Orlando, ottimo songwriter che potete apprezzare qui https://soundcloud.com/umberto-orlando - amo le sue Finest Girl in Town, It’s Six O’Clock e The Drunkhard Song! – ci siamo ritrovati a due anni di distanza da Vigevano per vedere ancora lui, il wild american che ci fa vibrare ad ogni canzone. E a concerto concluso si è ripetuto il copione: attesa, attesa, attesa e poi ecco si apre il pullman e appare lui, Billy The Kid in maniche corte, io in piumino. Quattro chiacchiere, qualche foto, la solita forte stretta di mano e forse, dico forse, il ricordo delle chiacchiere fatte a Vigevano. Un uomo straordinario. L’ultimo dei grandi americani.
Se c’è un album a cui sono affezionato è Shake Hands with the Devil (1979). Ci sono tracce che mi fanno impazzire come la trascinante title track, e poi Whiskey Whiskey e la reggaeggiante, ipnotica e sottilmente erotica Killer Barracuda. Ma come dimenticare il primo clamoroso album, Kristofferson (1970), ripubblicato nel 1971 con il titolo di Me and Bobby McGee. Originariamente la canzone simbolo della prima ondata ribelle americana si intitolava Me and Bobbie McGee ed era dedicata a una ragazza. Diventa “Bobby” nelle mani di Janis Joplin che la porta ad un successo internazionale. Oggi, la canzone torna a Kris Kristofferson e torna a femminilizzarsi: “Me, Janis and Bobby McGee”, canta Kris nei suoi live.
E poi The Silver Tangue Devil and I (1971), Jesus Was a Capricorn (1972), Repossessed (1986), Third World Warrior (1990) e gli ultimi album con tracce già classiche come Closer to the Bone, From Here to Forever, Good Morning John, Let the Walls Come Down e I Hate Your Ugly Face (Closer to the Bone, 2009); oppure Feeling Mortal, Mama Stewart, Ramblin’ Jack e tutte le altre di Feeling Mortal (2012). Anni ’70, ’80, ’90 e Anni Zero sempre coerente nella scelta musicale ed esecutiva, efficace nell’evocare un immaginario antico che ancora sogniamo ad occhi aperti.
Attore iconico. Songwriter genuino e autentico, sincero e naturale, Kris Kristofferson resterà sempre il fuorilegge del mio cuore, incarnazione reale del bandito di Lincoln e Fort Sumner, uomo puro, coerente, che va per la sua strada tenace e retto. Quante storie su quel volto, un monumento. È quello che succede quando si ha la faccia di Kristofferson, Eastwood, Hackman, Bronson, Marvin e pochi altri. La terra, la pietra, il sole scolpiti in faccia, segni non solo del tempo, ma anche segni tribali di un’appartenenza indiscutibile al proprio paese e all’umanità che lo abita. Sì, ho la fortuna di poter dire quello che non possono dire in molti: ho stretto la mano a Billy the Kid. O se mi è concesso: anch’io ho cavalcato con Billy the Kid.
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