Ultimo giorno per il Sicilia Queer FilmFest, sesta edizione. Tra alti e bassi, è stata l'occasione per una buona (over)dose di cinema internazionale, e per dare un'occhiata alla proposta del cinema contemporaneo che non passa dai grandi festival (la maggior parte dei film presentati erano del 2015, se non del 2016), un cinema che fra una cosa e l'altra qualcosa da proporre l'ha ancora.
Si inizia alle 16 con Un autre homme di Lionel Baier, ufficialmente un thriller. In realtà è una piccola opera ambigua, che fra qualche goffaggine e qualche incoerenza riesce a raccontare di rapporti umani che si arrugginiscono, di altri inquinati dal potere della cultura snob, il tutto in un bianco e nero che fa un po' il verso alla Nouvelle Vague (il dialogo in camera da letto fra due amanti è uno schema che torna spesso) e un po' a certo cinema di Philippe Garrel. L'incoerenza di fondo del film è quella di rischiare, ogni momento, di essere ammiccante, specie nei confronti di un certo tipo di spettatori che, nel frattempo, vengono presi di mira dallo stesso Baier, per esempio nel ruolo del personaggio di Natacha Koutchoumov, critica cinematografica che gioca con l'ignoranza del protagonista. Di discreto interesse la dinamica caratteriale che spinge il protagonista a diventare un altro uomo: nonostante continui a capire poco di cinema pur informandosi e accumulando visioni e letture di ogni genere, si trasforma in un qualcuno che anela continuamente a una conoscenza che lo elevi, non tanto per soddisfazione personale, quanto per la necessità del confronto con gli altri. Più che un film sul cinema, Un autre homme è un film sui cinefili per i cinefili, pur essendo definito film di intrattenimento "per tutti". Mai snob, ma non esente da ingenuità che caratterizzavano un prodotto comunque più interessante ma ancora più abbozzato come Garçon Stupide. Un discorso più cosciente sulla dimensione finzionale della mise en scène (discorso che invero c'è in molti altri film di Baier) avrebbe giovato.
Voto: **1/2
A peine j'ouvre les yeux è l'unico film della sezione Eterotopie, quest'anno dedicata alla Tunisia, tre anni fa all'India, due anni fa alla Turchia e un anno fa all'Egitto (quando fu proiettato l'interessante Rags and Tatters). Presentato da Andrea Inzerillo, proiettato a Venezia 72 tra i film delle Giornate degli Autori, il film di Leyla Bouzid è un film di contenuti, certo, ma che attua anche un discorso formale di non poco conto, solo utilizzando una fortissima regia invisibile, spaventosamente capace di annullarsi nell'andirivieni delle immagini. Senza idealizzare, sfiorando il vittimismo, ma non eccedendo mai nel pietismo fine a se stesso, il film prosegue scevro di furbizia con un personaggio imperfetto e impaurito, entusiasta della possibilità di essere libero ma senza capire il vero significato di libertà. Il finale stronca sul nascere questa fondamentale ingenuità, ed è il punto di arrivo di un percorso che passa necessariamente da un trauma. La sequenza più traumatica, facilmente confondibile per sequenza vittimistica, è in realtà un curioso esperimento di empatia cinematografica. La Bouzid si avvicina lentamente al volto della giovane Farah piangente e sofferente, e senza che noi ce ne accorgiamo siamo arrivati a ridosso del suo volto. Un movimento impercettibile, dissimulato dalla narrazione, che si scopre accompagnatore celato dell'emozione spettatoriale. Dotato di una suspence realistica intrigante e mai facile, e molto musicale in alcune sequenze che, più che riempitivi ridondanti, sono squarci da ascoltare che collaborano a farci conoscere la protagonista, un film classico da grande pubblico che ha qualcosa da dire senza lezioncine, con una cautela che non è mai compromesso.
Voto: ***1/2
Giunge dunque il momento delle premiazioni. Dopo alcuni minuti sufficienti per rifocillarsi si rientra in sala De Seta per sentire la giuria internazionale composta da Victoria Schulz, Roy Dib, Giorgio Vasta e Joao Ferreira (ufficialmente anche da Valerie Donzelli, che di fatto non ha partecipato) pronunciare il verdetto.
Il miglior cortometraggio della sezione Queer Short è andato a Mother Knows Best, per l'originalità con cui viene trattato il classico canovaccio del coming out. Menzione speciale ad Ama del collettivo L'ecole des images.
Per la categoria Nuove Visioni invece si è premito De l'ombre il y a di Nathan Nicholovitch, per la storia di affetto disinteressato fra i due protagonisti, a prescindere dalle loro frammentate identità.
La giuria del comitato Palermo Pride ha invece premiato Pink Boy di Eric Rockey come miglior cortometraggio, e Nasty Baby di Sebastian Silva come miglior lungometraggio. Menzione speciale a Tangerine di Sean Baker.
Premio del pubblico, piuttosto a sorpresa, è Pink Boy.
Dopo i dovuti ringraziamenti a tutto lo staff, e i programmer, e i direttori artistici del festival, è toccato al film di Paul Weitz, Grandma, film di chiusura.
Un dramma allegro e abbastanza coinvolgente, per quanto ordinario, su uno scontro fra tre generazioni. La Tomlin cerca di apparire la più simpatica possibile, ma è un personaggio già visto qualsiasi sforzo si faccia, così come è vero che tutto l'ambaradan di dialoghi scoppiettanti più o meno divertenti si chiude alla fine in una facile malinconia conformista, che fa rientrare il film nei canoni della commedia edificante. Regia non priva di stucchevolezze e cattiverie mai realmente pungenti completano il quadro. Ma vabbè, sarà contento il grande pubblico.
Voto: **
Un grazie speciale anche da parte mia per l'impegno e la dedizione che i membri dello staff del Sicilia Queer FilmFest hanno dimostrato in questi succulenti e divertenti 8 giorni di cinema e di riflessioni. Quello del Sicilia Queer si riconferma sempre, nel bene o nel male, un appuntamento da non perdere, un'occasione per allargare gli orizzonti e condividere - cosa sempre più difficile - la passione del cinema. Un punto di riferimento per la cinefilia palermitana, senza il quale si perderebbe la bussola. All'anno prossimo per la settima edizione del Sicilia Queer!
(La splendida sala De Seta)
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