Ormai il Sicilia Queer sta finendo (anche alla grande, con film qualitativamente in crescita), ma non per questo cala l'attenzione, né si sta fermando alcunché. In questa vigilia di chiusura, sabato 4 giugno, si sono tirate alcune fila, che vedranno però la loro conclamata summa domani, in occasione della premiazione del miglior cortometraggio e del miglior lungometraggio della sezione Nuove Visioni.
Alle 16 è il turno della seconda tornata di cortometraggi in concorso (a tal proposito, rimando all'accurato intervento del compagno di avventure cinefile Leo Maltin, cliccando qui). La media quest'anno, va detto, è forse leggermente inferiore ai due anni precedenti, per ciò che riguarda la selezione Queer Short, ma la proposta è quanto mai variegata e bizzarra, a posteriori anche stimolante. Si inizia con A qui la faute di Anne-Claire Jaulin, un innocuo sguardo su un piccolo gruppo di girl-scout fra le quali si armano tensioni sopite e attrazioni nascoste, pronte ad esplodere in accuse, vendette, crudeltà e tradimenti. Tutto su misura delle giovanissime protagoniste. Sebbene sia un corto di relativissimo interesse, seppur con una sua dignità, è da segnalare come valore aggiunto l'utilizzo della colonna sonora, sempre diegetica quando presente; solo in un attimo, si tramuta in extra-diegetica, ed è una rottura con il rigore formale adottato per tutto il resto del corto, una rottura assolutamente funzionale al dato momento di scuotimento emotivo che colpisce la protagonista. Si premi poi l'attenta regia, ferma e severa.
Voto: ***
Il cortometraggio più spassoso di questa edizione, insieme a Ryaba the Hen, è di certo il Freud und Friends di Gabriel Abrantes. Un accumulo di citazioni esagitate e concitate vengono spiattellate senza alcun timore di ammiccamento e/o di esagerazione: dopo una prima parte che sembra Secret Weapons di Cronenberg, il film diventa un saltellante gioco di sogno e realtà, dentro e fuori (dalla realtà e dal programma televisivo, con gli esilaranti intermezzi pubblicitari), mosso e immobile (la mdp cambia significativamente modo di guardare), con irresistibili riferimenti a Werner Herzog (nella figura e nel nome della voice over conduttrice del programma, Herner Werzog), Woody Allen (il trailer parodia di To Rome With Love) e altri deliri cronenberghiani-lynchiani che non riveliamo. Un piccolo gioiello, raro esemplare di mockumentary onirico. Genialmente irrispettoso.
Voto: ***1/2
Vale poco la pena di parlare di Shudo: è così breve che si perderebbe più tempo a leggere che a vederlo. Due minuti di dicotomia attrazione sessuale/combattimento fra samurai, talmente esile che neanche la tecnica di animazione può scuoterlo minimamente.
Voto: **
Pochissimo rimane di Take Your Partners di Siri Rodnes. L'ambientazione è un po' quella di Billy Elliot di Stephen Daldry, in effetti un po' meno loachiana, però piuttosto leziosa e scontata. Il Pink Boy di finzione: ma nessuno dei due riesce a destare la curiosità sulle diversità dei giovani in età prepuberale.
Voto: **
Dall'Indonesia di Joko Ankwar arriva un'opera che potrebbe aver guardato, almeno in parte, a A Copy of My Mind: The Fox Exploits The Tiger's Might di Lucky Kuswandi non riprende tanto l'estetica del regista suddetto, quanto la tendenza, nascosta nei sottotesti, di far credere di parlare di qualcosa, e invece di parlare di tutt'altro. Una capacità, dunque, di capovolgere i sensi delle cose senza sensazionalismi che non può essere trascurata. Una piccola parabola sui rapporti umani e sul potere (anche della sessualità), che riesce a evolvere nei suoi buoni 24 minuti, da un inizio di trovate sporadiche e fulminanti, fino a un finale decisamente compiuto. Per i curiosi, c'è anche una pistolatio come non se ne vedevano dai tempi di Spring Breakers (semmai se ne fossero viste altrove).
Voto: ***
Uno dei più brutti film in concorso è Jamie di Christopher Manning, presente ai Cantieri da qualche giorno. Il film è l'anonimo ritratto dell'inizio di un amore: due giovani conosciutisi tramite il web decidono di incontrarsi, e nessuno sembra disattendere le aspettative dell'altro. Sommate un paio di personaggi vuoti e un'inquadratura cartolinesca delle Houses of Parliament di Londra anche solo per intuire il livello dell'opera in questione.
Voto: *1/2
Mi si passi l'espressione: We Could Be Parents, dalla Svezia, è decisamente il corto più fighetto di questa edizione del Sicilia Queer. Una confessione-video tra il provocatorio e il patetico, in cui un giovane rivela al fidanzato - che forse l'ha lasciato - che lui è costretto a prostituirsi per potersi permettere di affittare l'utero che farà crescere il loro prossimo figlio (un servizio a un cliente lo fa anche di fronte agli occhi della telecamera, con un gesto disgustoso e inaspettato). Dopodiché parte un piagnisteo misto ad insulti più o meno confusi all'interlocutore, per poi far librare in aria la mdp evidentemente installata su un drone e farle fare un inutile viaggio dentro un misterioso capannone. Un sforzo importante per un infimo risultato.
Voto: **
Mx. Pink è il tiepido resoconto di uno strano incontro, fra un travestito e una commessa piuttosto androgina. Passa attraverso una serie di sequenze ridondanti (campi-controcampi reiterati all'ossesso), al confine con l'onirico e il capriccio estetico, ma sempre con una fastidiosa patina amatoriale. Si salva il montaggio, inquinato dalle singole immagini.
Voto: **1/2
Il più insignificante cortometraggio è Prinzessin des alltags, quasi una pubblicità-progresso di un punto di ristoro vegan, in cui una transessuale recita fuoricampo una poesia d'amore per il protagonista cuoco, costantemente in scena, attivo nella preparazione di una pochissimo attraente teglia di lasagne vegane. "Boh" è l'unica cosa che viene da dire quando le luci si riaccendono.
Voto: *
E' dunque il turno del sesto film in concorso, Henry Gamble's Birthday Party di Stephen Cone, che già del titolo fa il verso a Festa per il compleanno del caro amico Harold di William Friedkin. Il film è un tentativo come un altro di ribattere il sentiero del dramma in unità di tempo (la giornata di compleanno del titolo) e ad unica ambientazione, nel quale tanti segreti si nascondono dietro la facciata, e dovranno in un modo o nell'altro venir fuori. Su questo schema risaputo e già visto molte altre volte, Stephen Cone cuce una regia piuttosto anonima, che vanta una serie di sequenze interessanti, ma che dal canto della loro piuttosto malcelata vanità non fanno che ripetersi (per ben due volte, ci piace osservare Henry che guarda i suoi invitati da sott'acqua). Ancora una volta, il film vuole riflettere sui limiti alla libertà della persona, passando come di norma dalle certezze borghesi e addirittura dal bigottismo protestante. Riesce a raccontare il disagio di una sessualità che nella sua frustrazione diventa reale sofferenza (le sequenze dedicate al personaggio di Ricky sono le più azzeccate), ma non riesce a liberarsi di una serie di schematismi formali che non trasformano in eventuale ambiguità estetica i tanto ostentati non-detti che sparpagliati qua e là dovrebbero incuriosirci e appassionarci. Un progetto amorfo che probabilmente ha le idee confuse già in partenza, ma è abbastanza ben confezionato da non farlo notare.
Voto: **1/2
John From di Joao Nicolau, diciamolo subito, è, insieme a Batguano, il lungo più bello in concorso in questa edizione del Sicilia Queer. Dopo una prima metà che ricalca Ghost World di Zwigoff, il film assume un andamento più andersoniano (nel fingere di prendere sul serio qualcosa che non potrebbe mai essere presa sul serio, un po' come in Moonrise Kingdom), specialmente in termini registici, e comincia lentamente a trasformarsi grazie al potere di un'immaginazione intensa e colorata qual è quella della protagonista. Il film, fin da subito, dichiara di non voler disorientare, quanto piuttosto coinvolgere in una trasformazione. Ecco dunque che la macchina da presa a poco a poco acquista movimento, i paesaggi cambiano, la realtà si trasforma in fantasia senza soluzione di continuità. Annullando banali dicotomie, e mantenendo uno sguardo genialmente incoerente nella sua fissità, John From sa divertire con un linguaggio che è prettamente filmico, e che è finalmente l'espressione di una grande unica idea declinata nei 98 minuti di un gioiello estroverso e dolcemente implacabile.
Voto: ***1/2
In occasione della proiezione di John From c'è stato un piccolo raduno di utenti filmtv-iani: Alan Smithee e Port Cros hanno fatto una capatina per vedere il film di Joao Nicolau e respirare un po' di entusiastica aria festivaliera. L'unicità del momento ha richiesto di essere immortalata. Ed ecco, da sinistra, il sottoscritto EightAndHalf, Alan Smithee e Port Cros.
Questa giornata affollatissima di film si è conclusa con il film più bello della giornata, insieme a John From, ovvero Théo et Hugo dans la meme bateau. Incrocio impossibile fra la New French Extremity e Gaspar Noé nella prima parte (in effetti un po' fuori tempo massimo e coniugato in una sequenza prolungata e affascinante di orge omosessuali) e il Richard Linklater di Before Sunset (tutta la seconda parte del film è ambientata nelle strade notturne di Parigi, con i due protagonisti che passeggiano e parlano), il film della coppia Ducastel e Martineau è una tenera storia d'amore che, intelligentemente, parte dal contatto dei corpi e dalla descrizione puntigliosa del primo convegno amoroso, per ricondursi poi sulle dinamiche mai patetiche di una storia di affetto reciproco incondizionato, narrato in tempo reale, improvviso e reso splendidamente vero dai due protagonisti. Con implicazioni meno importanti di Love di Gaspar Noé, Theo et Hugo è comunque il secondo film del biennio 2015/2016 a vantare sequenze decisamente hardcore e contestualmente una rappresentazione dell'amore interiore e esteriore nelle sue implicazioni più vere, quotidiane, e mai banali. Di facile presa sul pubblico - come può esserlo Linklater, classicamente condannato dai puristi - è una piccola gioia per gli occhi, un tripudio di onestà visiva e di attenzione ai personaggi. Si astengano gli scandalizzabili.
Voto: ***1/2
Domani, ultimo giorno di proiezioni, toccherà a Un autre homme di Lionel Baier, A peine j'ouvre les yeux di Leyla Bouzid, e Grandma di Paul Weitz. Avremo anche i risultati della giuria internazionale. Qui di seguito i podii di chi scrive.
Nuove Visioni: 1) Batguano di Tavinho Teixeira; 2) John From di Joao Nicolau; 3) De l'ombre il y a di Nathan Nicholovitch.
Queer Short: 1) O passaro da noite di Marie Losier; 2) Freud und friends di Gabriel Abrantes; 3) Ryaba the Hen di Vasily Kiselev.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta