Non potendo fare una recensione su un film, in questo caso per l'esattezza un documentario, che non è nel database di FilmTv, lascio trarre a voi critiche negative o consensi, così come fare la conoscenza dell’artista Syd Barrett, amico geniale germinatore degli imprescindibili Pink Floyd. Qui io voglio delineare lo scenario culturale in cui germinarono i Pink Floyd di Syd Barrett.
Remember when you were young,
you shone like the sun.
Shine on you crazy diamond.
Now there's a look in your eyes,
like black holes in the sky.
Shine on you crazy diamond. da Wish you were here (1975)
The Pink Floyd and Syd Barrett story è un documentario (61 min) originariamente intitolato "Syd Barrett: crazy diamond", diretto dallo scrittore, documentarista e produttore indipendente John Edginton, per la prima volta trasmesso dalla BBC nell'ambito della serie tv Omnibus nel 2001. Ritrae la controversa, enigmatica figura, per moltissimi leggenda nel phanteon del rock, di Syd Barrett: mente creativa dei Pink Floyd e visionario borderline _morto nel 2006 nella casa natale a Cambridge, dove aveva trascorso con la madre gli ultimi anni della sua vita_ attraverso le interviste ai membri del gruppo, compreso Bob Close, primo chitarrista, che lasciò la band già nel 1965, nonchè con il contributo del batterista Jerry Shirley, che ha suonato nei due album da solista di Syd Barrett, quando ormai era fuori dal gruppo _esattamente dal 6 aprile 1968_ The madcap laughs e Barrett, prodotti entrambi da David Gilmour, rispettivamente nel 1969 e 1970. Nel documentario interviene anche Mick Rock, che fotografò Barrett per la copertina di The madcap laughs nell’appartamento in cui allora abitava, in South Kensington, copertina alla cui realizzazione lavorarono gli amici Storm Thorgerson, che all’interno del collettivo Hipgnosis ha realizzato tutte le copertine dei Pink Floyd e di una moltitudine di altri musicisti con inesauribile creatività surreale, e Duggie Fields, artista che condivise con Barrett l’appartamento a Earls Court, in Londra, nel 1968.
Prodotto nel 2001 dallo stesso regista Edginton con la sua Otmoor productions, nel 2014 il documentario è stato ri-editato dall’etichetta Eagle Rock Entertainment con ulteriori contributi, per una durata totale di 240 min, prendendo il titolo di The Pink Floyd and Syd Barrett story. The definitive edition.
Syd Barrett E’ STATO i Pink Floyd, per brevissimo tempo, ma lo è stato, tra il 1966 e il 1967: autore e compositore di gran parte del disco d'esordio dei Pink Floyd, The piper at the gates of dawn, compresi i primi singoli Arnold Layne e See Emily play; la sperimentale chitarra solista del gruppo che s’imponeva nell’underground londinese; fonte d’ispirazione per Dark side of the moon; intorno alla sua assenza ruota uno dei dischi più famosi della storia del rock, Wish you were here; nel film The wall il protagonista Pink, oltre a essere una proiezione paranoica del suo creatore, Roger Waters, è lo stesso Syd Barrett.
Syd Barrett faceva monologhi con la sua chitarra, attraversando la propria mente a cavallo della musica, ma per farlo è ricorso alle gocce acide di LSD e alle pastiglie di mandrax: così << Syd devastava la sua chitarra (e la sua mente!!), tutti pensando che fosse meraviglioso >> ricorda David Gilmour di quella volta che lo vide suonare nell’autunno del 1967. L’amico Dave, con il quale fin dall’Istituto Tecnico in Cambridge, prima d’iniziare la Scuola d’Arte di Londra, ogni giorno si chiudeva in un aula durante gli intervalli per il pranzo, ma invece di mangiare, insegnava a Barrett i pezzi dei Rolling Stones e qualche trucco per migliorare la sua tecnica, perchè David era tecnicamente molto più avanti (da Pink Floyd story di Giancarlo Radice).
Esistono tante strane storie di quel geniale compositore: alcune le ascolterete nel documentario, altre sono leggende che avrete già letto o già ascoltato, o potete leggere facilmente al solo digitare in un motore di ricerca il nome di ‘Syd Barrett’, io, personalmente, concordo con lo scrittore e critico musicale Bertoncelli _il primo in Italia a far conoscere ai giovani italiani gli orizzonti del pop e le diverse sfumature del rock_ che sia riduttiva l’immagine di un artista vittima sull’altare dell’acido lisergico in nome di una rivoluzione psichedelica nella musica, che alcuni propugnano semplicisticamente, forse per foraggiare miti commerciali piuttosto che considerare le probabili reazioni di una mente complessa a una “pressione, forse, il peso di un mestiere che nessuno aveva mai considerato tale, a generare le prime crepe nella mente di Syd; e fu la droga, certo, anche, equivoco sollievo di tante angosce e mal di vita” (da Topi caldi. Frank Zappa e altri bei malanni di Riccardo Bertoncelli).
E’ la fine del 1965 e Peter Jenner, assistente di lettere al dipartimento di Amministrazione Sociale della Scuola di Economia di Londra, appassionato di jazz d’avanguardia, sogna di fondare una libera scuola di musica e una etichetta discografica. Quando il suo socio John Hopkins, un ingegnere cibernetico, gli fa ascoltare un nastro con alcuni dei primi live di un gruppo, che a New York iniziava a far parlare di sè per la potenza dei suoi show, i Velvet Underground, la delusione è grande quando scopre che già un tale artista newyorkese Andy Warhol si occupa dei loro affari. Comunque l’idea di una Scuola Libera sta diffondendosi, è la London Free School e la si sta organizzando a Notting Hill, e per attirare donazioni private si ideano una serie di eventi a partire dal febbraio 1966, la domenica pomeriggio, alle 16:30, dove musica, poesia e arte visiva si mescolano, il primo dei quali è pubblicizzato sui flier come il Grande Misterioso Happening, in assoluto un nuovo tipo di happening, dove incontrare “poeti, cantanti pop, americani, omosessuali, venti clown, musicisti jazz, politici” _come riportato sul volantino_ al Marquee, allora al civico 90 di Wardour street, a Soho, dove all’inizio dei ‘60 si erano esibiti da Muddy Waters ai Rolling Stones, e gli Yardbirds e tantissimi altri gruppi. Quest’alchimia genera una serie di happening spontanei, che avverranno, poi, solo tramite passaparola, come quello di giovedì 13 marzo 1966, al quale Peter Jenner arriva alla tarda ora delle 22:30 e << ..sul palco c’è una band blues, che suona brani come Louie Louie (di Chuck Berry) in mezzo a strani rumori... sull’amplificatore del basso la sigla The Pink Floyd Sound.. >>: non è il primo live del gruppo al Marquee, che sta iniziando a piacere nell’underground londinese, perchè sul rhythm’n blues improvvisa lunghe frasi ipnotiche, traducendo sonoramente l’umore di una generazione che non si riconosce nella swinging london dei Beatles _Piper at the gates dawn viene registrata nello stesso periodo di Sgt. Pepper's lonely hearts club band, proprio negli studi di Abbey Road, accanto allo studio in cui i Beatles stanno registrando_, più o meno consapevoli di essere i cantori di un movimento meno ossequiente verso l’establishment.
L’Inghilterra dei primi anni ‘60 è in un’effimera fase di espansione coloniale, grazie alle materie prime importate dalle ex-colonie del Commonwealth, che hanno riossigenato un’economia industriale basata sul mero sfruttamento dei suoi salariati, ma la classe operaia e un sottoproletariato urbano sempre più povero, sono inquiete di fronte al continuo ingrassarsi della borghesia, così come tra i giovani cresce il malumore verso quei valori culturali che rimpinguano a senso unico l’orgoglio britannico. Questi ragazzi del proletariato e della piccola borghesia scaricano la frustrazione accumulata giornalmente sul posto di lavoro e nelle scuole, in guerre tra bande di strada, con una ribellione, quella dei mods e dei rockers, fine a se stessa, ascoltando poi, di sera, musica nei piccoli club della città. Perché a Londra vanno nascendo luoghi d’incontro, dove attraverso la musica, ma anche il teatro, i reading di poesia, anche attraverso dibattiti politici, si discute della paura della guerra, dell’orrore dell’automatismo alienante fordista, si ridiscutono le manifestazioni del potere, contro, in senso anarchico, ogni tipo di istituzione ideologico-politica, anche la famiglia, con il fine di una liberazione integrale dell’uomo, che ha da riprendersi il diritto a una libertà sessuale, a un’istruzione libera, a un libero uso delle nuove sostanze psicotrope come strumento per approfondire la conoscenza di se stessi e riappropriarsi di una cultura tribale più rispettosa della Natura (da Underground. Ascesa e declino di un’altra editoria di Francesco Ciaponi).
E The Pink Floyd Sound è composto da tre studenti di architettura, Richard Wright, Nick Mason e Roger Waters, dal chitarrista jazz Bob Close e, il più giovane, dallo studente d’arte Syd Barrett, precisamente Roger Keith Barrett, che a 18 anni si era dato il nome di Syd, da quello di un batterista che gli piaceva ascoltare, Sid Barrett, in un jazz-club di Cambridge, la sua città natale. Syd Barrett non è un musicista vero e proprio, nè un cantante e compositore, ma impara a suonare, cantare, a comporre e a scrivere testi di storie mai personali, ma strane come raccontate da un ALTeRatO punto di osservazione della realtà, come la storia del travestito, che ruba biancheria femminile stesa ad asciugare, in Arnold Layne, bandita come ‘troppo strana’ addirittura da Radio London, una radio pirata, che, pur avendo i giorni contati a causa del Marine Offences Act in approvazione dalla Camera dei Comuni in quei giorni, influenza fortemente le scelte musicali dei giovani ascoltatori e le classifiche musicali. Radio che all’uscita poi del secondo singolo del gruppo, See Emily play, non esita a trasmettere per paura di essere tagliata fuori dalla scena underground, quel pezzo che Syd Barrett compose dopo che: << Dormivo in un bosco, di notte, dopo aver suonato da qualche parte, quando ho visto una ragazza apparire davanti a me: era Emily >>. E’ Syd Barrett il più sensibile alle novità che in qualche modo riescono ad arrivare dall’oltre Atlantico all’Inghilterra, lui studente alla scuola d’arte, a cui piace dipingere, interessato alle filosofie orientali e ai moti della controcultura, che ascolta i Rolling Stones, sperimentando l’LSD appena arrivato dall’America con il rock. Syd Barrett comprime o espande gli Stones e i Beatles, anche i gruppi della West Coast, dei quali si chiacchera, ma poco si riesce ancora ad ascoltare, così preso un riff di chitarra, come quello di Little red book di Arthur Lee, lo maneggia fino a farlo diventare Interstellar overdrive, che suonano ogni sera, ma facendola ogni sera in modo diverso << ..perchè volevamo uscire dal sistema di ripetizione meccanica delle 16 o 32 battute bluesistiche, per lavorare piuttosto su sequenze >>, dirà Roger Waters. E’ uno dei meccanismi per la stesura di un brano utilizzato dal gruppo, che presuppone un continuo scambio emotivo fra sè e il pubblico, seppure sul palco i Pink Floyd non si vedano affatto, tanto il light show sommerge platea e gruppo.
Buona visione e buon ascolto!
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