Al principio fu Carlo Pedersoli, campione di nuoto, napoletano del rione Santa Lucia, classe 1929. Poi, a carriera agonistica finita, il salto epocale nel mondo del cinema e la consacrazione con il nome di Bud Spencer. Esistono già molti libri e centinaia di pagine web in tutte le lingue più importanti che parlano della rocambolesca vita e della straordinaria carriera del gigante buono, amato dai bambini come dagli adulti, di ieri e di oggi. Inutile farne una nuova sintesi.
Importanti, però, i trascorsi latinoamericani, prima con la famiglia nel 1947, a diciotto anni, e poi in solitaria, a metà anni ’50, dopo aver vinto l’oro a Barcellona nei Giochi del Mediterraneo nel 1955 con la nazionale di pallanuoto. Era stanco della “vita bene” dei Parioli, cercava avventura e altri stimoli, così tornò tra Venezuela e Colombia per lavorare prima alla costruzione della Panamericana e in seguito allo stabilimento Alfa Romeo di Caracas. Torna in Italia per chiudere la carriera sportiva, che gli ha regalato diverse medaglie d’oro nei 100m stile libero ai Campionati Italiani, tra cui il record come primo italiano sotto il minuto netto (esattamente 59”05), partecipando alle Olimpiadi di Roma del 1960, senza però portare a casa nessuna vittoria.
Già prima degli anni ’60, Bud Spencer, ancora con il nome di Carlo Pedersoli aveva partecipato come comparsa in diverse produzioni di Cinecittà come Quo Vadis? (1951), Siluri umani (1954), Un eroe dei nostri tempi, al fianco di Sordi e per la regia di Monicelli (1954), fino ad Annibale (1959) in cui, senza saperlo, condivise il set con il futuro partner Mario Girotti, alias Terence Hill, senza però girare nelle stesse scene.
A questo punto va detto che l’allora Pedersoli, si era sposato nel 1960 con Maria Amato, figlia di Peppino Amato, noto produttore cinematografico dell’epoca. Nonostante il suocero, Pedersoli non pensa ad una carriera nel cinema, che forse era stata solo un’occasione alimentare, preferisce dedicarsi alla musica scrivendo testi per la RCA. Ma quando nel 1964 il contratto con la RCA scade e muore il suocero, Pedersoli cambia nuovamente pelle e dopo essere stato campione di nuoto, lavoratore avventuriero in America Latina e musicista diventa pure produttore di documentari per la Rai. Le cose però non girano bene. È a questo punto che appaiono le celebri “quattro cambiali” da saldare. Nel 1967, Giuseppe Colizzi, all’epoca aiuto regista e direttore di produzione, gli propone la parte di protagonista in un film western italiano. Pedersoli rifiuta. Non sapeva parlare l’inglese, non sapeva andare a cavallo e soprattutto voleva 2 milioni di lire per saldare le cambiali. Colizzi cede e Pedersoli sale a cavallo con il nome di Bud Spencer al fianco di Terence Hill in Dio perdona… Io no!(1968).
Da quel giorno tutto cambia. Il fu Carlo Pedersoli inanella un successo dietro l’altro, prima in coppia con Terence Hill, e in seguito anche da solo, confermando un talento e una verve che da sole facevano la differenza. Chi ha avuto la fortuna di essere bambino negli anni ’80, tra poppe-fiction, giovannone coscialunga, drive in, cartoni giapponesi, big bubble, fior di fragola e i film della coppia Spencer-Hill, sa bene che l’Italia sgangherata di quell’epoca, allora incomprensibile ai nostri occhi, aveva comunque prodotto un immaginario di notevole spessore, l’ultimo atto, forse decadente e un po’ triste, di quarant’anni sul tetto del mondo. Dai ’50 alla fine dei ’70, con code notevoli nel decennio successivo, l’Italia aveva sfornato volti, miti, icone, temi e identità nazionali ancora oggi ben radicati nell’identità italiana e che lottano ancora, vincendo a mani basse, con i volti, i falsi miti, le puerili icone e le becere identità nazionali nate a metà anni ’90 e impennatesi al cambio di secolo.
Tra tutte queste icone c’è il gigante buono. Bud Spencer, che non aveva ambizioni attoriali come il compagno Terence Hill, dalla filmografia ben più lunga, ha sfoggiato fin da subito una chiara presenza scenica antologica e un’inaspettata consapevolezza del proprio corpo e della propria mimica comica abbinata al suo corpo. Movimenti calibrati, espressioni gigionesche e puntuali – è andato a scuola da Eli Wallach, mica bruscoletti – e una freschezza del gesto attorico che il compagno Hill non aveva. Entrambi attori di spiccata fisicità, si differenziano sul campo per l’atletismo di Terence Hill, che lo vincola a funambolismi storici entranti nell’immaginario mondiale e non più scalfibili, e per l’efficacia fisica di Bud Spencer, meno atletico, ma dai codici fisici ugualmente identificativi del proprio carattere e della propria tipologia di ruolo.
La coppia ha messo in piedi un duetto archetipale che, pur ereditando i caratteri oppositivi di celebri coppie del passato, come Stanlio e Ollio, Abbot e Costello, ma anche e forse soprattutto, dico io, Don Chisciotte e Sancho Panza, ha saputo crearsi un’identità precisa, un immaginario di riferimento preciso, una serie di codici linguistici propri e peculiari che nessuno più è stato in grado di riprodurre. Smarcandosi dalle celebri coppie storiche, Bud Spencer e Terence Hill hanno dato vita ad universo di topoi, di gag e di moduli narrativi unici e pressoché irripetibili in contesti estranei alla coppia. Solo Bud Spencer, nella fortunata carriera da solista, ha saputo giocare le stesse caratteristiche conseguendo grandi successi e giusto qualche leggera scivolata.
La coppia si distingue anche proprio per queste chiare differenze professionali. Mentre lavoravano insieme, seppur con molte scappatelle qua e là soprattutto per Bud Spencer – segnale questo di come il gigante buono funzionasse anche da solo – il successo arrideva ad entrambi. Quando poi, a metà anni ’80, le loro strade si separarono, Terence Hill si diede al cinema senza però eguagliare il successo dei film in coppia con Spencer, mentre quest’ultimo inanellava successi cinematografici ancora oggi scolpiti nella nostra memoria.
Nella seconda metà degli anni ’80 Bud Spencer sperimenta il passaggio alle serie televisive. Inizia con Big Man (1987), per la regia niente meno che di Steno e prosegue nei primi anni ’90 con un vero e proprio cult come Detective Extralarge (1991-1993) con al timone niente meno che Enzo G. Castellari. Sfortunatamente però, le produzioni televisive successive rasentano l’imbarazzante e per Bud Spencer arriva il momento di fare un passo indietro. Andrà molto meglio a Terence Hill che, dopo una notevole flessione commerciale dovuta a film in solitaria non apprezzati tanto quanto quelli dell’ex-compagno Bud, torna in tv in veste talare e miete un successo dopo l’altro con l’italianissima serie nazional-popolare di Don Matteo (2000-in corso), sintesi di luoghi comuni, imperfezioni produttive e pressapochismi tutti italiani. Si può ben dire che, nonostante i chiari limiti de I delitti del cuoco (2010), serie tv targata Mediaset in cui Bud Spencer è un commissario in pensione che apre un ristorante mentre aiuta la polizia a risolvere casi di omicidio sull’isola di Ischia, quest’ultima risulti ben più piacevole, sfoggiando un gioco ironico maggiore di quella Rai. La simpatia naturale del gigante ha fatto la differenza.
Ma è con il cinema che Bud Spencer ha dato il meglio di sé sia come attore dalla chiara e incontestabile presenza scenica tanto quanto dall’efficacia del proprio “testo attoriale”, ovvero il segno-corpo, sia come icona fulcro di un immaginario unico e irripetibile.
Se la coppia proponeva da un lato la simpatica canaglia, il pícaro atletico, la volpe furba e astuta, lo sgangherato vagabondo romantico che scioglie il cuore delle donzelle (Hill), e dall’altro il burbero orso solitario, lapidario nelle battute, pessimista per vocazione, eroe dei piccini e gigante dal cuore d’oro (Spencer), i film individuali riproponevano gli stessi caratteri con risultati completamente diversi. Terence Hill, quello che si metteva sempre consapevolmente nei guai e ci trascinava il compagno Bud, resta senza la preziosa presenza dell’amico, incapace così di mordere criticamente la società come nei film della coppia e spostandosi progressivamente verso una deriva generalista e buonista che l’ha poi ingabbiato nella veste del prete di Gubbio.
Bud Spencer invece, pur restando fedele alla propria tipologia di ruolo, comica e di fine umorismo, fisica quanto basta per giocare tutta la propria tensione attoriale sul corpo, i gesti e le pose che lo hanno reso famoso al grande pubblico, nei film in solitaria non ha mai deluso le aspettative.
La coppia chiude i battenti nel 1985 con il poco riuscito Miami Supercops – I poliziotti della 8° stradache, nonostante la regia di Sergio Corbucci, lamenta una certa fiacchezza sia nell’affiatamento della coppia sia nel ritmo e nella sceneggiatura. Già durante l’epoca degli spaghetti-western, Bud Spencer e Terence Hill lavoravano a film differenti come Oggi a me… domani a te! (1968), Al di là della legge (1968) e Un esercito di cinque uomini (1969) per il primo, Preparati la bara! (1967) e La collera del vento (1970) per il secondo.
Mentre Bud Spencer, tra coppia e film in solitaria conquista il pubblico e si ritaglia un ampio angolo di cielo nell’immaginario cinematografico, Terence Hill non brilla affatto, vegetando nel limbo di film come con Mister Miliardo (1977), La Bandera, con Gene Hackman (1977), Poliziotto superpiù (1980), Don Camillo (1983) e Renegade (1987) con il figlio Ross, purtroppo tragicamente scomparso solo tre anni dopo, nel 1990, per un incidente d’auto. C’è forse questa tragedia dietro la flessione negativa di Terence Hill che per tutti gli anni ’90 non riuscirà a trovare il progetto giusto, trovandolo poi in Don Matteo proprio al cambio di secolo.
Il successo di Bud Spencer attore è legato tanto alle sue qualità individuali – corpo, gestualità, spiccata verve comica – quanto al valzer di nomi e contingenze fortunate con cui l’attore napoletano ha potuto lavorare. Non solo Enzo Barboni, che “inventa” la coppia comica in Lo chiamavano Trinità (1970), firmando anche i titoli più divertenti e comici della coppia, ovvero I due superpiedi quasi piatti (1977) e Nati con la camicia (1983), ma anche Giuseppe Colizzi, il primo a mettere insieme Bud Spencer e Terence Hill nella trilogia western composta da Dio perdono… io no!, I quattro dell’Ave Maria (1968) e La collina degli stivali (1969), e il primo a riunirli al di fuori del genere western con …più forte ragazzi! (1972), il film preferito da Spencer.
Ai nomi di Colizzi e Barboni va ovviamente aggiunto quello di Italo Zingarelli, nobile produttore romano tra i ’60 e i ’70 che si concesse alla regia in sole quattro occasioni, due delle quali dirigendo Bud Spencer prima in Un esercito di 5 uomini (1969) e poi nel manifesto sociale, politico ed ecologico per definizione della coppia, Io sto con gli ippopotami (1979).
Altro nome chiave è quello di Michele Lupo che dopo alcuni titoli di culto dello spaghetti-western dirigerà alcuni dei migliori titoli di Bud Spencer come Lo chiamavano Bulldozer (1978), Uno sceriffo poco extraterrestre (1980), Chissà perché… capitano tutte a me (1980), in cui troviamo la scena e l’immagine più commovente dell’intera carriera di Bud Spencer – quando i militari cercano di portare via il piccolo H725 e il gigante buono, pur sedato, continua a lottare per difenderlo – Occhio alla penna (1980), il meno riuscito, e il mitologico Bomber (1982) che riprende il modulo narrativo di Bulldozer, per fare ancora meglio: film altamente divertente, fresco e riuscito nel taglio comico, regala un Bud Spencer in ottima forma e protagonista di una scena finale impressa con il fuoco nella mente dei fan dell’attore – quando Bomber sale sul ring per sfidare l’arcinemico Rosco Dunn. Brividi.
Ma i nomi più importanti legati al gigante buono e al suo periodo d’oro sono quelli di Steno e dei fratelli Corbucci, Sergio e Bruno. Il primo, nume tutelare di una certa commedia all’italiana comica, politica e intelligente allo stesso tempo, inizia a lavorare con Bud Spencer nel 1973 con Piedone lo sbirro, inaugurando una serie di successi oltre che pellicole emblematiche nella definizione iconologica dell’attore. Seguono Piedone a Hong Kong (1974), Piedone l’africano (1978), Piedone d’Egitto (1980), il cult definitivo Banana Joe (1982), summa dell’attore/autore Spencer, per infine chiudere la carriera con la miniserie tv Big Man.
Dei due fratelli Corbucci, entrambi pilastri indiscutibili, di un certo cinema autoriale e popolare, artigianale e ricercato che non si fa più, Sergio dirige la coppia nel 1978 per Pari e dispari e nel 1981 in Chi trova un animo trova un tesoro, senza purtroppo eguagliare i successi ottenuti all’epoca degli spaghetti-western; mentre Bruno, più disimpegnato e caciaresco, rileva Bud Spencer nel 1983 per Cane e gatto e poi per Superfantagenio (1986), a tratti inguardabile. Sarà anche il regista che chiuderà la coppia nel 1985 con Miami Supercops, prima della reunion di Botte di Natale (1994), diretto da Terence Hill.
Bud Spencer ha però lavorato anche con registi del calibro di Mario Monicelli, Giuliano Montaldo, Dario Argento, Carlo Lizzani, che lo introdusse nel noir poliziesco con quel ruvido ritratto proletario di Torino nera (1972), Marcello Fondato, che ha il pregio di aver diretto la coppia in uno dei titoli più amati dagli aficionados, …altrimenti ci arrabbiamo! (1974), fino al maestro Ermanno Olmi che lo dirige in Cantando dietro i paraventi (2003) consapevole del potere evocativo del corpo attorico e della freschezza intuitiva dell’attore napoletano.
Passa pure tra le mani di Leonardo Pieraccioni in Fuochi d’artificio (1997), di Eduardo Campoy nel riuscito thriller spagnolo ¡Al límite! (1997), di José Miguel Juárez in Hijos del viento (1999) e di Sebastian Niemann in Tesoro, sono un killer (2009).
L’ultima interpretazione, quella dell’ex commissario Carlo Banci de I delitti del cuoco, ci ricorda e conferma le qualità peculiari di Bud Spencer: presenza scenica mai ingombrante, intelligenza e intuizione del gesto attorico, piglio comico naturale dal taglio ironico e lapidario. L’essere rude e burbero ha permesso ai suoi personaggi di crearsi un posto d’onore nell’immaginario cinematografico, senza mai stancare. La verve comica, dispensata a manciate sia in coppia con Terence Hill – straordinari e impagabili i loro duetti assurdi e non sense quando inventavano di sana pianta gag stralunate per spiazzare i loro nemici, i bulli del momento o i geni del male come il mitico K1 – sia nei film in solitaria, è oggi proverbiale e dilaga nel gergo popolare tanto quanto proverbi e modi di dire.
Mente Terence Hill, simpatica canaglia a cui va sempre tutto il nostro affetto per quello che ci ha regalato, era il prototipo dell’atleta bello e scapestrato, a suo modo ribelle e anticonformista, sempre pronto a mettersi nei guai irridendo il sistema, erede naturale delle maschere comiche di Arlecchino e Brighella, primo e secondo Zanni, sciocco e furbo allo stesso tempo, sempre affamato e combinaguai, Bud Spencer, rozzo, scontroso e solitario, era la controparte più visceralmente realista e italiana, incarnando in modo originale una maschera tradizionale composta dai tratti vegliardi dei grandi vecchi scorbutici come Pantalone o Balanzone e da quelli sciocchi e popolareschi del Pulcinella napoletano.
Un attore unico, insostituito ed insostituibile, che ha dato il meglio di sé sempre, sia in coppia con l’amico Terence Hill, sia da solo o con compagni occasionali come Tomás Milián, Giuliano Gemma, Enzo Cannavale, Franco Nero e Jerry Calà. Occasione questa per ricordare a raffica caratteristi come David Huddleston, il Tigre de I due superpiedi quasi piatti e il grande capo CIA in Nati con la camicia; Buffy Dee, l’enorme e “buffo” K1 di Nati con la camicia che presenzia anche in Poliziotto superpiù, Miami Supercops, Superfantagenio e in un episodio di Detective Extralarge, Una pioggia di diamanti (1993); Joe Bugner, ex pugile britannico che incontra e scontra Bud Spencer in Lo chiamavano Bulldozer, Uno sceriffo extraterrestre, Io sto con gli ippopotami e Occhio alla penna; il tedesco Raimund Harmstorf, ovvero il cattivo Sergente Kempfer di Bulldozer; e un altro ex-pugile, il sudafricano Kallie Knoetze, lo storico rivale Rosco Dunn di Bomber. Con loro uno stuolo di cascatori tra i migliori della scuola italiana che vengono scelti come scagnozzi, picchiatori, banditi, sbruffoni di varia natura come Riccardo Pizzuti, Domenico Cianfriglia, Sal Borgese, Salvatore Basile, Pietro Torrisi, Carlo Ruffini e i fratelli Dell’Acqua tra i tanti, uniti a caratteristi del grande cinema italiano come Nello Pazzafini, Luciano Rossi, Luciano Catenacci, Franco Reali ed Enzo Garinei. Così come non si possono non citare i due doppiatori che ce l’hanno fatto amare ancora di più grazie alla loro accattivante voce: Glauco Onorato e Sergio Fiorenti, entrambi doppiatori anche di Gene Hackman. E non è un caso. La scorza del personaggio è quella.
Una carriera bella, bellissima, emozionante, fatta di tanti luoghi e paesi lontani, volti italiani e stranieri, di primo piano o presi dalle retrovie. Segni, questi, di un cinema che oggi non si fa più. Un attore, Bud Spencer, classe 1929, che non smette di sorprendere anche con l’uscita di un album jazz dalle tracce franco-partenopee, Futtetenne (2016) e con la probabile partecipazione a Keoma Rises, spaghetti western in pre-produzione, diretto da Enzo G. Castellari e che annovererebbe anche Franco Nero, Fabio Testi, Tomás Milián, George Hilton e Gianni Garko.
Bud Spencer, un personaggio che ci ha portato via un non indifferente pezzo di cuore e a cui continueremo a volere bene in eterno.
E....a grande richiesta
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta