Pensavo alla rilevanza dell'etica e della morale nel cinema mondiale. E pur mancandomi l'illuminazione sui titoli che meglio ne han trattato o meno (e qui chiedo aiuto a voi, di consigliarmi film che abbiano nella trama queste tendenze), mi son sentito di scrivere due parole sull'argomento sfoggiando, anche, un briciolo di gioia nel poter promuovere i miei studi di "una vita" in queste poche righe.
Che cosa significa "eticamente giusto"? E "moralmente corretto"?
Sovente si ritiene che la risposta migliore a queste domande sia: "una buona azione, che reca del bene a te e all'altro". Quindi un'azione pregna di soggetto e oggetto, interscambiabili come importanza, ma assolutamente fermi e fissi sui loro rispettivi segmenti etici e morali. Ma quindi qualsiasi azione che reca del bene a me e all'altro è eticamente e moralmente corretta, giusta? Nel caso in cui, da esempio, trovassi per strada un ragazzino malmenato da qualche bullo di quartiere e lo portassi in un bar a bere un bicchier di succo, poi chiamare la polizia e non di meno i genitori, sarebbe un'azione eticamente e moralmente corretta? Pensiamo ad un'azione che rechi bene al salvato e non al salvatore, una che rechi bene al salvato e male al salvatore ed una che rechi male ad entrambi. La domanda è, se non si entra in super-erogazione e quindi passivamente non si subisce l'immunità dal biasimo (e con lui l'elusione del comportamento morale ed etico), l'azione di salvataggio a danno del salvatore è, nonostante i danni subiti, un'azione morale o diviene qualcosa d'altro? Di non solo morale.
Sicuramente è moralmente rilevante per il subente, per il salvato, ma per chi salva? Davvero un senso di appagamento morale basta a giudicare un'azione, tale, quanto morale? Probabilmente bisognerebbe differire le azioni moralmente utili, da quelle moralmente rilevati, che a loro volta risulteranno diverse dalle super-erogazioni che, sempre, differiranno dalle azioni eticamente necessarie, rilevanti e doverose.
L'azione moralmente utile è quell'azione che va ad aiutare entrambe le moralità; l'azione moralmente rilevante è quell'azione che spicca per imponenza rispetto al quieto vivere morale; la super-erogazione, come detto poco sopra, è quell'azione moralmente rilevante che trascende, però, il classico limbo morale e che, se non eseguita, non causa biasimo (che causerebbe se non fosse, appunto, super-erogazione); l'azione eticamente necessaria è quell'azione che non potrebbe non essere eseguita, quell'azione che proprio perché è azione morale così alta, diviene etica e, dall'alto della propria, impone il nodulo del necessario che se non si avesse sbriciolerebbe l'etica dell'ente e con essa non esisterebbe più morale, ne azioni moralmente utili e rilevanti: l'ente diverrebbe amorale; l'azione eticamente rilevante è quell'azione che può non essere, ma se è impugna la morale, la drizza e la sventola al cielo in nome di qualcosa di importante, di fondamenta solide su cui si basa l'etica dell'ente; l'azione eticamente doverosa è l'azione che deve essere, ma può non essere e se è conferma l'etica predominante e se non è, poco a poco, mina le fondamenta che si vanno a costruire sempre più solide con le azioni eticamente rilevanti.
Perché le azioni morali sono morali in quanto soggette di ammirazione o biasimo, rispetto al proprio essere e le azioni etiche sono, appunto, etiche in quanto soggette a giudizio, sì altrui, ma pressoché nostrano, interiore, nostro che poi, ovviamente, s'estende alle altre persone, alla gente, alla comunità: perché non è l'etica della società a creare e modellare l'etica personale, ma l'esatta antitesi di ciò: è l'etica personale, quella costruita con le azioni morali, e poi con le azioni etiche sempre ribadita, che crea l'etica collettiva, l'etica di un popolo, di una cultura prim'ancora, l'etica dell'uomo in quanto essere moralmente ed eticamente soggetto a questi stessi principi.
D'altro c'è da tener conto delle ripercussioni sulla felicità e, alla larga, della libertà. L'azione provoca felicità o la felicità risiede nell'azione stessa? Quell'attimo di assoluta contemplazione dell'azione stessa, quell'attimo in cui il noumeno dell'azione spacca la crosta fenomenica e si estranea dal suo mondo intellegibile lasciandosi mirare, brevemente, in un sussulto neuronale che provoca una assoluta felicità nel compiere quella data azione. La felicità risiede non nell'azione in sé, ma nel compierla, perché nell'azione in sé risiede, per dirla platonicamente, l'idea di felicità: nell'azione positiva risiede il fenomeno di felicità e nell'azione intellegibile risiede il noumeno di felicità. Quindi dando positività alle azioni si compiace la propria esistenza di piccoli guizzi di felicità, liberata dall'intellegibile e dal suo stesso stato noumenico, perché il sentimento felicità altro non è che il fenomeno del noumeno felicità (cosa non scontata e non obbligatoriamente estendibile a qualsivoglia sentimento): tale e quale, senza mutazione di entità, di possanza, di gradualità e di felicità nel viver felicità: solo dall'intellegibile, proprio delle idee e dei noumeni dei sentimenti, in una sorta di emanazione, arriva al corpo, all'ente, non cangiato, mutato o deviato, ma sempre puro, tanto da attirare l'attenzione dell'intellegibile e di scatenare, nell'ente, un tremolio interno che bisogna esplicare in un'azione corporea che dia forma fenomenica ad uno stato noumenico (bizzarro che un noumeno si faccia fenomeno in un ente, ma solo per permettergli di poter vivere il noumeno e non il fenomeno stesso).
La libertà, va da sé, possiamo ammirarla nell'abbellire la propria esistenza di felicità.
Ma si badi bene che l'etica può divenire da soggettiva a collettiva ed addirittura mondiale, ma mai sarà univoca, incorruttibile e mai, in modo assoluto, sarà etica principe e madre di ogni sub-etica. Che ogni altra etica, ammessane l'esistenza (ed esiste!), debba star subordinata a lei: no, questo è sbagliato, proprio perché l'etica va vista come un punto d'osservazione: l'etica soggiace alle leggi etico-morali che son da basamento per l'etica stessa; questo perché è ammissibile, se non necessario ammettere, che le etiche siano infinite e di conseguenza le morali. Poi ovviamente risultano morali ed etiche predominanti, ma la predominanza non deve mai diventar governo, né tentar di esserlo: la vera libertà risiede nella libertà stessa e l'etica è "serva" della libertà, poiché serve, appunto, per creare libertà dalla libertà di creare, appunto, libertà.
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