Mancano oramai poco più di 24 ore e scopriremo a chi andrà la Palma d'Oro 2016. Oggi il 69° Festival di Cannes presenta gli ultimi due film in concorso: il thriller Elle di Paul Verhoeven e il drammatico (e teatrale) The Salesman di Asghar Farhadi. Mentre Verhoeven si affida a un romanzo di Philipp Dijan sulle conseguenze della violenza, Fahradi sceglie di parlare della moderna Teheran costruendo un parallelismo con Morte di un commesso viaggiatore di Miller.
Intanto ieri, pur non essendo una sezione competitiva, la Quinzaine des Réalisateurs ha visto trionfare Wolf and Sheep come miglior film.
--------------------------------------------
Elle
Diretto da Paul Verhoeven e sceneggiato da David Birke, Elle si basa su un romanzo di Philippe Djian per raccontare la storia di Michèle, una donna d'affari che gestisce la sua vita privata come la carriera. Seppur con un'infanzia che continua a perseguitarla, Michèle è solita imporre la sua volontà all'ex marito, al suo amante, a sua madre, al figlio e ai suoi dipendenti. Quando poi un giorno un estraneo irrompe nella sua abitazione, Michèle non si discosta dalle sue abitudini e ben presto prende in mano la situazione, facendo nascere uno strano gioco con il misterioso visitatore.
Con la direzione della fotografia di Stéphane Fontaine, le scenografie di Laurent Ott, i costumi diConstance Demontoy e le musiche di Anne Dudley, Elle conta sull'interpretazione di Isabelle Huppert, chiamata a rivestire i panni della protagonista. A spiegare meglio le origini del progetto sono le parole dello stesso regista: «L'idea di adattare Oh... di Dijan non è mia ma di Saïd Ben Saïd, il produttore. Mi ha contattato negli Stati Uniti, mi ha inviato il romanzo, l'ho letto e l'ho trovato effettivamente interessante. Sapevo di poterne trarre un film ma ho dovuto rifletterci per trovare il mio modo di appropriarmi a una storia che non avrei mai immaginato. Di conseguenza, è stato fondamentale che facessi mia la vicenda, ridefinendo molti elementi con David Birke, l'autore statunitense della sceneggiatura. Le cose hanno preso corpo a poco a poco, come con una scultura, e realizzare unostoryboard si è rivelato importante per estrarre l'essenza del romanzo e tradurla in immagini visive. In un primo momento, si è pensato anche di trasferire la storia da Parigi a Boston o Chicago e di chiamare attori americani a interpretarla. Ma era complicato sia da un punto di vista economico sia da uno artistico: nessuna attrice statunitense avrebbe accettato di girare un film così amorale, nessuna avrebbe detto di sì al ruolo di Michèle. Isabelle Huppert, invece, è stata sin da subito della partita.
Michèle è una figura femminile forte, come la maggior parte delle mie eroine. Reagisce però in maniera inquietante a ciò che le accade: non vuol dire che tutte le donne possano agire come lei o debbano farlo. Questa è solo la sua storia e solo lei si comporta così! Il mio lavoro è stato quello di mettere in scena la vicenda nella maniera più realistica, interessante e credibile, possibile. Se Michèle è convincente, lo si deve anche a Isabelle, che non si è risparmiata in nulla. La messa in scena naturalmente non deve spiegare ciò che accade: spetta allo spettatore partire dagli elementi che ha a disposizione e trovare le risposte alle sue domande. Non ho voluto per esempio sottolineare ciò che Michèle ha vissuto durante l'infanzia per mano del padre per non dare una visione riduttiva della sua personalità e del suo comportamento. Non è dato sapere se Michèle agisce in un determinato modo per sua natura o per risposta a ciò che le è accaduto in passato. Del resto, l'ambiguità è una costante della mia filmografia: mi piace procedere per ipotesi... del resto, nella vita, non si sa mai cosa si nasconde dietro un volto sorridente. Nonostante la violenza di cui è vittima, Michèle non si mostra mai sconfitta o "danneggiata": sarebbe stato banale cadere nel melodramma mentre a me piace deviare dalla norma, un po' come faceva Stravinsky con la composizione delle sue sinfonie».
--------------------------------------------
The Salesman
Scritto e diretto da Asghar Farhadi, The Salesman racconta la storia di Emad e Rana, che sono costretti a lasciare il loro appartamento nel centro di Teheran a causa degli importanti lavori che minacciano la costruzione. Si spostano così in una nuova casa, dove un incidente con l'anziano locatario cambierà per sempre le loro esistenze.
Con la direzione della fotografia di Hossein Jafarian, le scenografie di Keyvan Moghadam, i costumi di Sara Samiee e le musiche di Sattar Oraki, The Salesman viene così presentato dal regista: «Dopo aver girato Il passato in Francia e in francese, ho iniziato a lavorare a una storia che ha luogo in Spagna. Ne ho scritto la sceneggiatura completa e ne ho discusso con i produttori ma per mettere insieme la squadra che chiedevo occorreva aspettare un anno. Ciò mi ha lasciato del tempo per girare, con grande gioia, un film in Iran. Da tempo, avevo una storia che mi girava in testa e, quando si è presentata l'opportunità di tornare a lavorare nel mio Paese, ho deciso di immergermi negli appunti sparsi che avevo preso negli anni. Inoltre, avevo voglia di fare un film che richiamasse il teatro, che ho praticato quand'ero giovane. La storia che avevo in mente aveva il potenziale giusto per un'impostazione teatrale e ho allora cominciato a lavorare a un soggetto con personaggi che interpretano una rappresentazione.
Non è facile per me riassumere The Salesman o esprimere ciò che mi ispira personalmente. Tutto dipende dalle preoccupazioni e dallo sguardo dello spettatore: qualcuno può vederci un film a sfondo sociale, qualcun altro un'opera morale. Posso dire però che una cosa è certa per tutti: tratta dei complessi rapporti umani, in particolare all'interno di una famiglia o di una coppia. I protagonisti, Emad e Rana, sono una coppia della classe media irachena. Sono stati creati in modo da non sembrare casi isolati o a sé. Sono semplicemente una coppia normale con le sue peculiarità: entrambi appartengono al mondo della cultura e fanno teatro. Messi in una particolare situazione, rivelano però gli aspetti imprevedibili delle loro personalità.
Il titolo fa chiaramente riferimento alla pièce Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller, che Emad e Rana interpretano in scena con i loro amici. Ho letto il testo di Miller quand'ero studente e ne rimasi colpito, probabilmente dal modo in cui tratta le relazioni umane. Si tratta di un testo molto ricco, che offre livelli di lettura multipli. La sua dimensione più importante è data dalla critica sociale a un episodio della storia americana sulla trasformazione repentina di una città che porta alla rovina una certa classe sociale, incapace di adattarsi alla modernizzazione. Chiaramente, è possibile intravedervi una forte risonanza con l'attuale situazione dell'Iran, un paese in rapida evoluzione che schiaccia chi non si adatta. Un'altra importante dimensione è data poi dalla complessità delle relazioni umane in seno alla famiglia e in particolare nella coppia formata dal commesso viaggiatore con Linda. La forte influenza emotiva del testo porta lo spettatore a riflettere su questioni molto sottili. Decidendo di far recitare Emad e Rama in un gruppo teatrale, mi è sembrato interessante introdurre il lavoro di Miller per costruire una sorta di parallelismo con la vita personale dei due. Sul palco, Emad e Rana interpretano il commesso viaggiatore e la moglie... e nella loro vite, senza rendersene conto, si confronteranno con un venditore e la sua famiglia e dovranno decidere la sorte dell'uomo.
La Teheran di oggi ricorda molto la New York descritta da Miller: una città che cambia faccia a un ritmo frenetico, anarchico e irrazionale, distruggendo tutto ciò che è vecchio per fare posto al nuovo. Quando un film racconta la storia di una famiglia, la casa ha necessariamente un ruolo centrale. La casa e la città, più di quanto accadeva nelle mie opere precedenti, occupano un posto molto importante».
--------------------------------------------
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta