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Cannes 2016: Giorno 9
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Il 69° Festival di Cannes si avvia verso la conclusione. Mancano oramai tre soli giorni di proiezioni inedite e domenica sera sapremo a chi andrà la Palma d'Oro di quest'anno. Stando ai giudizi della stampa internazionale, la gran favorita sembra essere una donna, Maren Ade, che ha trovato l'approvazione anche dei critici più severi. Intanto oggi è il turno di due nomi di peso: il maestro rumeno Cristian Mungiu con il suo Graduation e il genio del cinema canadese Xavier Dolan con It's Only the End of the World. Due titoli accomunati dal tema della famiglia ma con una messa in scena, già sulla carta, molto differente.

Per dovere di cronaca, va segnalata anche la presentazione nella sezione Un certain regard di Pericle il nero di Stefano Mordini, opera uscita nelle nostre sale sette giorni fa e per cui si rimanda alle varie recensioni presenti sul sito.

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Graduation

Scritto e diretto da Cristian Mungiu, Graduation racconta la storia di Romeo, medico di una piccola città in Transilvania, che ha fatto di tutto affinché la figlia Eliza venga accettata in un'università inglese. Alla giovane, studentessa diligente, non mancherebbe che una sola formalità da adempiere, presumibilmente senza alcun problemi: prendere il diploma di maturità. Ma Eliza subisce un'aggressione e l'obiettivo inesorabilmente si allontana. Il susseguirsi degli eventi sconvolgerà tutta l'esistenza di Romeo, che rimette in discussioni i principi che ha trasmesso alla sua bambina ricorrendo a promesse e compromessi.

Con la direzione della fotografia di Tudor Vladimir Panduru, le scenografie di Simona Paduretu, i costumi di Brandusa Ioan e la produzione tra gli altri dei fratelli Dardenne, Graduation viene così presentato dal regista: «Sarebbe stato improbabile che Romeo giungesse ai cinquant'anni senza dover mai scendere a compromessi. Per gran parte della vita, ha seguito ciò che gli hanno impartito i genitori o i professori ma doveva accadere qualcosa affinché maturasse l'idea che il compromesso fa parte della vita. Una volta accettato il primo compromesso, per lui sarà più facile accettare il secondo e poi il terzo e capire che esistono diversi tipi di bugie, diversi tipi di compromessi e diversi tipi di situazioni.

Se il mondo avesse rispettato la giustizia e si fosse comportato onestamente, anche Romeo probabilmente non sarebbe mai sceso a compromessi. Purtroppo, la vita non è né buona né giusta e non si può passare per pazzi, per sciocchi o per falliti. Nella vita, ci si deve adattare a situazioni destabilizzanti e preoccuparsi solo sul momento di cosa è corretto e cosa no, di fino a che punto ci si può spingere e dei limiti che si hanno, oltre i quali non si può andare. Accettato il primo compromesso, non può più ritornare indietro o ricominciare da capo: deve proseguire sulla stessa strada, buona o cattiva che sia. Il perché è semplice: si crea una forte complicità tra chi scende al compromesso e chi ha assistito alle sue azioni, formando una fitta rete di relazioni, accordi, solidarietà e senso di colpa. Una tela che si continuerà a espandere.

Il giorno in cui si diventa genitori ci si inizia a porre mille domande: cosa si dovrebbe tramandare ai figli? Come ci si prepara? Da genitori, si desidera solo il meglio per i figli. Ma cos'è il meglio? Il mondo in cui si è cresciuti o quello in cui vorremmo che crescessero? Il mondo reale o uno ideale? Si deve insegnare loro a rispettare gli altri, a lottare per i propri valori e che il fine non giustifica i mezzi? Modi di pensare e di agire comuni si stanno diffondendo oggi al punto di definire i confini etici della nostra società. Viviamo a contatto con corruzione, bugie e imbrogli, ma nonostante la loro insopportabilità non li denunciamo, non ci opponiamo. Del resto, cosa potrebbe fare la voce di dissenso di un singolo contro un mondo intero a cui va bene lo status quo? Potrebbero forse i nostri figli combattere le nostre battaglie quando emergono i problemi? Ma se vogliamo che siano felici come possiamo chiedere loro sacrifici e sforzi?

Graduation fotografa quel particolare momento della vita in cui ci si rende conto di aver superato la metà della propria esistenza, quando ciò che si è diventati è ben diverso da quello che si immaginava da giovani. Eppure, è anche il momento in cui si sente che c'è ancora qualche cosa da poter fare attraverso i figli, qualcosa che potrebbe dare un significato a tutte le difficoltà affrontate: salvaguardare i figli, educarli bene e a far loro fare scelte migliori delle proprie. Tuttavia, non è così semplice... Graduation è una storia sui compromessi e principi, sulle decisioni e scelte, sull'individualismo e solidarietà, ma anche sull'educazione, sulla famiglia e sull'invecchiamento. È la storia di un genitore che si chiede cosa è meglio per sua figlia, se ella è pronta a diventare una sopravvissuta in un mondo reale o se debba lottare per essere onesta e cambiare il mondo più che può. Romeo è il simbolo di quella fase della vita in cui ci si sente mancare il terreno sotto i piedi. Non è più giovane ma non è neanche vecchio. Il suo matrimonio è in crisi, sua madre è vecchia e malata e sua figlia è pronta a partire per vivere la sua vita. Si chiede anche cosa ne sarà nei giorni a venire di lui e cosa farà ma non ha risposte. Sente su di lui solo il peso dell'ansia e la pressione generata dalla routine quotidiana. La storia di Romeo è anche la storia di una società, delle sue istituzioni e del rapporto tra compromesso, corruzione, istruzione e povertà».

Tutte le foto del film

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It's Only the End of the World

Diretto, sceneggiato e montato da Xavier Dolan, It's Only the End the World riadatta una rappresentazione teatrale di Jean-Luc Lagarce per raccontare la storia di Louis, uno scrittore che dopo 12 anni di assenza torna al villaggio natale per annunciare alla sua famiglia la sua morte oramai prossima. Rimproveri e rancori si susseguono nel corso di un pomeriggio, in cui lotte e faide tra i familiari si snodano attraverso diatribe alimentate dalla solitudine e dal dubbio.

Con la direzione della fotografia di André Turpin, le scenografie di Colombe Raby e le musiche diGabriel YaredIt's Only the End of the World viene così presentato dal regista: «Sarà stato il 2010 o il 2011, non ricordo. Ma poco dopo J'ai tué ma mère ero con Anne Dorval, seduto al bancone della sua cucina, dove di solito passiamo tutto il tempo a parlare, riguardare foto o stare in silenzio. In quell'occasione mi ha raccontato di una pièce straordinaria che aveva avuto la fortuna di interpretare intorno all'anno 2000. Mi ha detto che mai aveva portato in scena un'opera pensata e scritta con un linguaggio di tale particolare intensità. Era convinta che dovevo assolutamente leggere il testo, che aveva conservato nel suo ufficio con tutte le annotazioni di dieci anni prima: note, posizioni di scena e altri dettagli scritti a margine.

Ho portato con me il testo stampato su carta di grande formato. La lettura si preannunciava esigente. Certo, non è stato proprio il colpo di fulmine che Anne mi aveva preannunciato. A essere onesto, ho provato sentimenti opposti, una sorta di disinteresse e forse avversione per il linguaggio. Guardavo la storia e i personaggi con un certo blocco intellettuale che mi ha impedito di amare la pièce tanto decantata dalla mia amica. Probabilmente ero troppo impaziente di rimettermi a lavorare a un nuovo progetto o troppo impegnato con altro per rendermi conto della profondità del testo a una prima lettura. Ho messo il testo da parte e non ne ho mai più parlato con Anne.

Dopo Mommy, ben quattro anni dopo la prima lettura, ho ripensato a quel testo con la copertina blu che avevo riposto in biblioteca sul ripiano in alto. Era così grande che superava di gran lunga gli altri libri e documenti tra cui stava quasi a testa alta, come se sapesse di non poter essere dimenticato a tempo indeterminato. All'inizio di quell'estate, l'ho ripreso in mano e riletto o forse letto per davvero per la prima volta. A pagina 6 sapevo già che sarebbe stato il mio prossimo film. Ne ho capito finalmente le parole, le emozioni, i silenzi, le esitazioni, i nervosismi e le imperfezioni dei personaggi. In mia difesa posso dire che quattro anni prima non sono riuscito a capire il lavoro di Jean-Luc Lagarce.

Il tempo aiuta a capire le cose. Anne, come sempre o quasi, aveva ragione».

Tutte le foto del film

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