
Fino a qualche anno fa sapere cosa riusciva a muovere l'interesse delle masse era più semplice. Gli indicatori erano più aleatori ma c'erano molte meno scelte. Gli incassi del cinema, l'auditel per la televisione, le classifiche dei dischi venduti, l'affluenza alle urne, le copie vendute dai giornali di destra, quelli di sinistra.
Poi è arrivata la rete e all'inizio era solo una questione di ricerca di informazioni libere, si diceva, senza intermediari, si diceva. Poi dopo non molto è arrivato Napster e a quel punto per sapere che cosa la gente ascoltava davvero non bastavano più le classifiche dei dischi venduti. Poi è arrivato YouTube. E all'inizio c'erano solo gattini che giocavano. Perché mai qualcuno avrebbe dovuto preoccuparsi di YouTube? Al massimo c'erano bambini che cadevano in modo goffo ripresi da genitori in modo approssimativo. E poi è arrivato Torrent e lì sì, lì hanno cominciato a preoccuparsi quelli che detenevano i diritti dei film, soprattutto perché non sapevano più dove la gente spendeva il proprio tempo. E poi sono arrivati i social: Facebook, Twitter, Instagram, Whazzup, Snapchat. E nessuno si è veramente preoccupato. Perché mai l'industria dell'intrattenimento avrebbe dovuto preoccuparsi se la gente intesseva relazioni, comunicava, si inviava foto e brevi video? Un ampio spettro di aziende avrebbe invece potuto preoccuparsi di quello che stava succedendo: chi produceva film, musica, spettacoli fino all'editoria che ne parlava, ne scriveva, li recensiva. Passando per quelli che li distribuivano. Una lunga filiera di attività legate principalmente ad una premessa: che la gente consumi intrattenimento, che senta il bisogno di cercarlo, sceglierlo, pagarlo. E poi di informarsi, saperne di più, leggerne. Gli indicatori del tempo speso servono all'industria per sapere dove orientare le proprie energie, i propri investimenti, dove e quanto osare.
Paradossalmente oggi ci sono indicatori più precisi. Possiamo sapere quanti miliardi di minuti vengono passati su YouTube a consumare video e quali. O quanti anni di musica vengono ascoltati su Spotify ogni giorno. Ma il vero impatto dei social sul tempo sottratto (o aggiunto) all'intrattenimento è oggetto di ipotesi più che di statistiche. Si tratta di ecosistemi che divorano tempo. E quasi tutti si nutrono soprattutto della nostra propensione naturale alla socializzazione.
Tra le notizie che trovate nella selezione di Django Freeman (intitolata Movie News), ce n'è una che farà rabbrividire varie generazioni di cinefili: la AMC, la più grande catena distributiva cinematografica degli Stati Uniti, aprirà in un prossimo futuro delle sale cinematografiche mobile-friendly nel senso che saranno predisposte per l'utilizzo intensivo di smartphone e tablet. La sala cinematografica come l'abbiamo vissuta nel ventesimo secolo potrebbe diventare un'esperienza minoritaria. Per questo forse ancora la televisione resiste? Perché non impone l'abbandono del cellulare. Perché un intero film di due ore senza consultare lo smartphone, un gruppo di Whazzup, un commento su Instagram, un post di un amico su Facebook e senza condividere con qualcuno il proprio status è quasi impensabile. Per questo il nuovo amministratore della AMC ha annunciato questa strategia. Perché l'industria ha capito che non può fermarsi. E non si fermerà. Se non sappiamo fermarci noi per due ore, perché dovrebbero fermarsi loro?
Io sono un appassionato di tecnologia - anche se sono di un'altra generazione - e non ho da esprimere un giudizio sull'abuso di condivisione e comunicazione attraverso gli smartphone. Penso anzi che questo giovane ed enorme movimento di bytes dica qualcosa di molto profondo sulla nostra natura e sulla nostra essenza. Il vero problema è che i mezzi che abbiamo a disposizione per esprimerle (natura ed essenza) sono ingombranti e fastidiosi. Per quanto piccoli e di ultima generazione possano essere.
Adesso rilassatevi un attimo, sedetevi con calma e immaginate con me una cosa estrema. Siete al cinema e invece di un cellulare in modalità silenziosa in tasca, avete un chip impiantato nel cervello. Sullo schermo c'è una sequenza meravigliosa. Vi commuove. Vi fa pensare a quell'amico, quello lontano che ha fatto quella scelta estrema e adesso vive in Patagonia, in una piccola casa arroccata su un pezzo di terra battuto dal vento. E nella sequenza del film che state vedendo c'è quel vento. E voi pensate a lui. Al vento che se lo è portato via, a quello che ora soffia sulla sua nuova terra. E allora zac. Nel silenzio della vostra mente, come se foste Tom Cruise in Minority Report, prendete la sequenza come un oggetto e gliela inviate direttamente accompagnandola da quattro parole pensate. Lui la riceve nello stesso modo, come una visione. E invece di inviarvi delle parole in risposta via sms (tz, roba vecchia) vi manda quattro secondi audio del rumore del suo vento direttamente al vostro chip e voi lo sentite direttamente nell'orecchio interno. Il tutto senza avere toccato uno smartphone, senza avere disturbato nessuno. Una semplice questione di livelli sovrapposti, silenziosi per gli altri, personali, individuali, intimi per voi.
Torniamo qui. L'esempio è al momento pura fantascienza(?) ed ha il solo scopo di individuare una matrice di sostanza: forse il problema non è nella capacità di muoverci per qualcosa o di fermarci su qualcosa ma nel mezzo che usiamo per condividere i qualcosa che contano nella nostra vita. Per quanto piccoli, fini, silenziosi, potenti gli strumenti che usiamo sono comunque invadenti per compiere questo genere di operazioni. E allora, caspita, pensate che meraviglia: invece di sbattersi a fare l'estrazione della clip che volete condividere - dopo aver scaricato il film intero da ****** - e averlo caricato sul vostro ecosistema preferito, potreste accedere direttamente a quello stesso contenuto già digitalizzato e messo a disposizione del vostro chip installato nel lobo temporale sinistro da una lungimirante industria del futuro e mandarlo così istantaneamente a chi volete, in qualsiasi posto siate. Con un battito di ciglia. Senza muovere un dito.
Pensate anche voi che sarà un mondo bellissimo, vero?
Dite la verità, ditela qui.
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