
Potrebbe essere solo il tipico fenomeno passeggero e molti infatti lo giustificano così: banale riesumazione vintage da hipster ansioso di far vedere al suo piccolo mondo quanto sia cool. Eppure il dato è significativo: gli incassi derivanti dalle vendite di dischi in vinile nel 2015 sono nettamente superiori agli incassi generati da Spotify, YouTube Music, Vevo, Soundcloud e da tutti i servizi di streaming che si sostengono con la pubblicità messi insieme. Per essere onesti bisogna anche dire che le royalties pagate da questi servizi ai detentori dei diritti sono veramente minime, cosa che ovviamente incide sul fatturato, ma quel che conta quando si leggono questi dati sono i trend e quello del vinile è in crescita anno dopo anno, al contrario del fatturato proveniente da CD e persino dal download digitale che è in caduta libera.
Nel 2000 l'economista Jeremy Rifkin pubblicò un libro che divenne il manifesto della New Economy (L'era dell'accesso) in cui prevedeva che l'economia della cultura e dell'intrattenimento si sarebbe allontanata sempre più dal possesso del bene fisico focalizzandosi sul concetto di accesso e fruizione in un mondo governato da portali (di accesso) e da guardiani (dell'accesso). L'ascolto della musica (e la visione di film) in streaming è esattamente questo: fruizione di un bene senza relativo possesso. Se avessero chiesto a Rifkin di esprimersi sul ruolo dei dischi in vinile nel fatturato della musica del 2015 avrebbe probabilmente sorriso e scosso il capo pronunciando la parola "morto". Tra i morti eccellenti in via di resurrezione troviamo anche le pellicole fotografiche (+50% di vendite nel 2015 rispetto al 2014). Il tutto mentre Kodak, anch'essa data per morta varie volte, con la partecipazione attiva di Quentin Tarantino, Christopher Nolan, J.J. Abrams, Steve McQueen e Steven Spielberg ha appena lanciato al Consumer Electronic Show del 2016 il prototipo di una nuova videocamera Super8 che unirà il meglio della tecnologia digitale con il buon vecchio 8mm analogico.
Nel corso dei tanti traslochi che hanno costellato la mia vita negli ultimi 15 anni ho dovuto buttare via tantissime cose. Oggetti che pensavo non avrei mai buttato. E se non le ho buttate io ci ha comunque pensato qualcun altro molto attento a fare pulizia nel mio caos analogico. Eppure sono anni che mi trascino in giro per il mondo una pesante scatola blu piena di LP. Che non ascolto perché sono vent'anni che non possiedo un giradischi. Si tratta di un comportamento completamente irrazionale, me ne rendo conto. Semplicemente ogni volta che apro quella scatola sento che dentro c'è più vita rispetto a quella che risiede nella mia infinita collezione di musica digitale. Semplice nostalgia? Pezzetti di identità affidati alla copertina gialla, nera e fucsia di Never Mind The Bollocks che mi segue dal 1977 o a quel piccolo miracolo minimalista bi-cromatico rosso e blu che è Making Movies del 1980? Il fatto è che quegli LP, quelle copertine, quegli oggetti neri, solidi, lucidi possiedono una fisica e scatenano una chimica che trascende completamente la musica che contengono. E comunque li tengo perché penso che arriverà di nuovo un momento - lontano da questo saltabeccare tra un pezzo di musica e l'altro attingendo all'infinita playlist generata da due robuste collezioni di musica digitale messe insieme - in cui mi ritroverò in una grande stanza luminosa con un impianto stereo come si deve e allora aprirò quella dannata scatola blu, riprenderò in mano Abraxas e lo farò girare sul piatto. Lato A + lato B.
Siamo solo vittime di un'astuta campagna di marketing coordinata dall'industria musicale che è stufa marcia di guadagnare pochi centesimi dallo streaming e sta cercando il modo di ritornare a farci pagare la musica aumentando i propri margini? O a parlare è la nostra umanità deprivata dal contatto fisico che si ribella al ruolo di consumatrice forzata di video/audio/parole/immagini/notizie digitali e sta mettendo in campo una disorganizzata e casuale ribellione analogica?
Voglio - o forse posso solo - rispondere a questa domanda producendo un'immagine e verificando come risuona in me. Il lato A di Abraxas finisce con Incident at Nashabur. Io mi avvicino al giradischi, aspetto che si fermi, prendo il vinile lo giro e lo faccio ripartire. In quel tempo che separa i due momenti musicali, in quello iato silenzioso tra A e B, il contatto diventa promessa, la mia partecipazione un atto di fede. E il desiderio, rivoluzionario.
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