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La trilogia di "PUSHER"
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EddieIsrael

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Vorrei parlare di questa trilogia che tanto mi ha dato da pensare negli ultimi anni. Vivendo in una periferia milanese famosa non per la sua tranquillità ho forse preso questi film più sul personale rispetto a qualcun altro, ciò non toglie che la reale tensione che li pervade penso sia uno stato d’animo conosciuto a chi vive nel mondo odierno.

Nicholas winding refn è ormai sulla bocca di tutti da anni, di lui conto almeno due capolavori; bronson e valhalla rising (a cui aggiungo il terzo capitolo della trilogia in questione) e l’ottimo drive. Per quanto riguarda l’ultimo solo dio perdona concordo con chi lo ha visto come un esercizio di stile più che un nuovo tassello importante della sua filmografia, ma quello di cui voglio parlare è per l'appunto il trittico dedicato alla malavita danese, scaglionata in 9 anni dal folgorante primo capitolo, nonché esordio del regista. 

I 3 protagonisti del soffocante universo portato in scena sono frank, spacciatore abile nel suo mestiere grazie al quale sopravvive; tonny, tossicodipendente desideroso di riscatto una volta fuori dal carcere e milo, boss progressivamente messo all’angolo dal ricambio generazional-culturale. 

Le storie dei 3 si intreccereranno più volte ma ogni film è dedicato a uno di loro. Ciò che li unisce indissolubilmente è una copenaghen che non lascia scampo. 

L’altro fattor comunue ai tre capitoli è il finale sospeso nel vuoto, immerso nella più classica calma prima della tempesta. È questo che fa di pusher dei grandi film a mio avviso, l’essere noir nel senso della tensione che straripa, interrotta da sprazzi violenti per poi riprendere subito la calma (sempre apparente) e terminando con quel sospeso che cambia e “peggiora” di capitolo in capitolo. Sì perché se il finale di pusher 1 (quello più mozzafiato) ci mostra un frank che guarda nel vuoto, rimuginando sulle sue azioni recenti (gli effetti di queste azioni sono perfettamente mostrate dal regista inframezzando lo sguardo del protagonista con le immagini di quello che sta accadendo contemporaneamente al suo smarrimento, ovvero quelle della sua donna che scappa, quelle di milo che prepara il suo letto di morte e quelle di un’ altra vendetta che si organizza rapidamente alle sue spalle) lascia intendere che frank una piccola speranza ce l'ha ancora, la fuga (misero sentore confermato nel secondo capitolo quando per un attimo si fa cenno a frank chiedendosi che fine abbia fatto), la visione del regista sui suoi personaggi peggiora col passare del tempo.

Ritornando 8 anni dopo sulla sua creatura, in seguito a un bleeder non male e un fear x mediocre che non gli valgono alcuna fortuna (mentre l’esordio continuava a far parlare di sè) ci mostra infatti un tonny impotente, prossimo al fallimento completo, egoista, verso cui non nutriamo nessun tipo di speranza né rispetto (lo stesso invocato dal tatuaggio sulla sua testa e lo stesso di cui nessuno più sembra ritenerlo degno, su tutti il padre). È forse dunque il 2 il pusher più crudele, il meno sottile e quello che fa realmente storcere il naso verso quell’universo che nel primo e nell’ultimo capitolo esercita quel magnetismo caro all'autore e che qui trova (consapevolmente) poco spazio. Tonny ha ormai oltrepassato il limite ed è l’istinto a prendere il sopravvento: una volta messo alle strette non potrà fare altro che eliminare il conflitto paterno macchiandosi di sangue e immaginare una nuova vita con il suo di figlio. Noi possiamo credere o non credere che questa sua improvvisa convinzione possa davvero realizzarsi poichè abbiamo visto abbastanza di lui per sapere che il rispetto di cui si sente tanto degno non gli appartiene, e con ogni probabilità non gli è mai appartenuto.

A un anno di distanza approdiamo così al capitolo conclusivo nel quale troviamo un milo imbolsito, alle prese col compito di cucinare per 50 persone in occasione del compleanno della figlia. Per fare in modo che ogni cosa vada per il verso giusto milo sta frequentando il gruppo per la disintossicazione, convinto di poter compiere l’impresa culinaria e nel frattempo tenere sotto controllo gli affari di cui ancora si occupa. Peccato che milo è vecchio e le nuove generazioni (marocco, polonia, albania.. svariate sono le etnie che ritroviamo in corsa per l’arricchimento in questo terzo capitolo) bussano con forza alla porta del boss, desiderose di accaparrarsi una fetta sempre più grande. milo non riuscirà in nessun modo a tenere sotto controllo le forze straripanti che gli sono avverse e il rimpiazzo sembra ormai prossimo a venire quando lo ritroviamo nell’ultima splendida inquadratura a fissare la piscina vuota di casa sua, rimuginando (allo stesso modo di frank nel primo capitolo) sulle soluzioni adottate nella giornata precedente, solo che questa volta la speranza non c’è: Il turco è stato fregato e sequestrato, il polacco e l’albanese eliminati e l’unico amico rimasto a milo, il fidato radovan, lo ha aiutato per l’ultima volta come promesso.

Ritengo per questi motivi Pusher 3 il film dedicato al crimine più contemporaneo di tutti. L’attualità di cui è pregno quello che a colpo d’occhio può sembrare un noir low budget sapientemente confezionato è da segnalare: Refn conosce il mondo in cui vive e i demoni che lo abitano e decide di raccontarceli senza filtri, appiccicando la mdp ai suoi personaggi e facendoci scendere con loro in quei sobborghi danesi che nessuno immaginava esistessero. Ogni cosa è guerra, ogni cosa è denaro ma siamo ben lontani dai padrini coppoliani; qui il profitto trascende i legami di sangue (milo arriverà a contrattare perfino con sua figlia) e a ricercarlo sono sempre più gruppi etnici composti da membri sempre più giovani. la torta non è ovviamente grande abbastanza e per questo non assistiamo a nessuna ascesa al potere, a nessun immenso arricchimento pronto solo ad essere rocambolescamente perduto. no. Qui i personaggi stanno colando a picco già nel momento in cui ci vengono presentati (siamo dalle parti di mean streets e non di goodfellas per intenderci) e refn con grande sapienza ci risparmia sempre il loro impatto col suolo, lasciando a noi l’ingrato compito di tirare le somme. l'autore trae dall'attuale ma senza mai farne un documento patinato (penso al fallimento, in questa direzione, dell'italiano suburra): ciò che trasuda da questi racconti canonici di malavita è da prendere come esempio per capire che non sono i budget a fare i film, ma la ferma volontà di raccontare, che il cinema è arte e come tale necessita di pubblico e non di profitto, due termini spesso presi per sinonimi. grande refn e grande trilogia, che per compattezza di temi e atmosfere rimane una delle più compiute che io ricordi. consigliatissima.

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