“L’industria del cinema sta cambiando. Quello che cerco di fare è di avere una parte nei pochi pezzi d’arte con grosso budget che ancora vengono messi in cantiere. Iñárritu è uno dei pochi registi che riescono a fare film di questo tipo. A volte mi pare di vivere nell’ultima era della storia del cinema.” (Leo DiCaprio, Cinema ultima chiamata, "Style Magazine", 12 gennaio 2016).

Se avevi 20 anni negli anni ’60, magari eri nato in California, magari iniziavi a suonare la chitarra, eri nel posto giusto e nel momento giusto. Il mondo ti sarebbe sembrato esplodere insieme a te e alla tua musica. Trent’anni dopo probabilmente tutto ti sarebbe sembrato finito o quasi. Però se avevi 20 anni negli anni ’80, magari eri nato a Milano e ti interessavi di fotografia di moda, ti sarebbe sembrato di essere al centro del mondo. E se avevi vent’anni dieci anni dopo e ti interessavi di informatica, ti sarebbe sembrato di vivere una rivoluzione in prima persona, di farla per intero. A ogni decadenza si accompagna la nascita di un diverso splendore. Uno splendore che nasce magari altrove e che non si declina nello stesso modo, né viaggia nella stessa direzione. A volte semmai - magari spesso - il nuovo corso va in una direzione che per chi aveva fatto esperienza di quello precedente può sembrare miserevole: una diminutio nel migliore dei casi, una perdita totale di valori e di senso nel peggiore. Ma sentire parlare così uno dei maggiori attori del momento (Lo è? Non lo è? Lo è, ma non fa tanta differenza qui: comunque per il mondo lo è) fa impressione. Pensare che il cinema (inteso come arte capace di parlare al mondo, non come entertainment o mercato: sia ben chiaro) sia prossimo al capolinea mi fa sentire subito come quelli che vedono il bicchiere vuoto e non c’è nuovo splendore che mi faccia entusiasmare: anzi mi fa sentire subito inesorabilmente vecchio. La cosa si combina (male) con il fatto che forse il 2015 è l’anno in cui meno sono andato al cinema nella mia vita. E si combina anche con una cosa bella che ho fatto qualche giorno fa. Sono andato alla Fondazione Prada - il nuovo spazio museale dedicato all’arte contemporanea sorto a Milano lo scorso anno. Dovete sapere che oltre al Bar Luce - i cui arredi sono stati progettati da Wes Anderson - e alle sale che ospitano le permanenti e le temporanee - la Fondazione Prada ha anche un bel cinema: un cinema vero, grande e con comode poltrone. In quella sala si è tenuta una rassegna intitolata Flesh, Mind and Spirit: 15 film selezionati da Alejandro González Iñárritu (e qui il cerchio un po’ si chiude), 15 capolavori proiettati gratuitamente (bastava prenotare). Io ho visto Killer of Sheep (una scoperta) e sono stato molto bene. Ma ho anche pensato che non ero al cinema. Ero in un museo.
Non voglio fare grandi discorsi, non sono preparato né in grado di fare affermazioni programmatiche e sono convinto che si debba saper cogliere e vivere la propria contemporaneità, in continuazione (hey! dicono che ci sono questi nuovi visori per la realtà virtuale che sono davvero incredibili!).
Ma ci sono momenti in cui mi domando davvero se il cinema a cui pensiamo quando usiamo le parole “settima arte”, sia destinato a essere visto nei musei.
E comunque auguri, Leo, per tutto.
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