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Io, Pozzetto e una generazione di cretini.
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Il 15 febbraio 2016 sono andato per la quinta volta a vedere Renato Pozzetto. Quattro volte in coppia con Cochi (2001, 2007, 2012, 2014) e questa volta, la prima, in solitaria proprio perché l’amico Cochi era impegnato in un altro spettacolo, da qui il titolo dello spettacolo Siccome l’altro è impegnato. Ho ascoltato e cantato per l’ennesima volta le stesse canzoni e sentito per l’ennesima volta le stesse battute, eppure ho riso da pisciarmi addosso come ogni volta.

Lo spettacolo ha previsto anche la visione degli highlights di due suoi film culto come Il ragazzo di campagna (1984) ed É arrivato mio fratello (1985) che, per quanto mi riguarda, sono i suoi titoli più emblematici, dove la sua stralunata comicità galoppa a briglie sciolte toccando pure vertici di poesia e magia surreale prestata al realismo come l’incipit de Il ragazzo di campagna: praticamente un Ermanno Olmi che incontra Buster Keaton. Per il resto, lo spettacolo ha proposto canzoni del glorioso repertorio della coppia, canzoni più recenti che per chi scrive sono diventate subito dei classici imparati a memoria, e infine anche una nuova chicca, mai sentita prima, che parla di uomini soli che ce l’hanno duro e di quelli accoppiati che ce l’hanno sempre giù, di donne calde e passionali che nessuno però guarda, e donne frigide che però tutti guardano.

Credo che il momento più commovente della serata, di una serata che di commovente non ha nulla perché la comicità di Pozzetto, come di Cochi, è quella della sdrammatizzazione e dell’abbassamento a livello umano dei massimi valori, sia stato all’inizio dello spettacolo, quando Pozzetto annuncia la prossima canzone che spiega come mai lui è lì quella sera: Finché c’è la salute è una canzone bellissima, tenera e divertente, scritta da Pozzetto e musicata da Cochi e Jannacci, spedita per partecipare al Sanremo di quell’anno, ma purtroppo cestinata da Pippo Baudo, “quel pirla” come apostrofato con affetto da Pozzetto. La canzone è come un manifesto artistico e sociale, dove i due saltimbanchi, con l’amico Enzo, mettono in musica tutta la loro intenzione autoriale.

E poi è un festival di battute celebri, qualche novità – come il monologo iniziale sulla vecchiaia e la perdita di memoria – movenze ed espressioni irresistibili, iconiche, che Pozzetto è in grado di rendere con estrema bravura e freschezza nonostante la veneranda età – 75 all’epoca dello spettacolo. Tra le battute migliori, vado a memoria, c’è quella su Brunetta dal Barbiere di Corso Vercelli, uno degli sketch più recenti della coppia: Pozzetto/barbiere fa i complimenti per telefono a Brunetta dicendo che è un suo grande estimatore, che lo apprezza perché deve avere sotto due coglioni così, «a proposito» gli dice «non gli danno fastidio mentre cammina? Sempre in mezzo ai piedi? […] Magari sarebbe utile tipo un sospensorio per tenerli un po’ su. Come dice? Ah poi sarebbero troppo vicini al cervello, eh no sarebbe scomodo. Come? Ah, lei si troverebbe bene lo stesso? […] Sì fuori dalla bottega c’è il marciapiede, ma la spingo su io. […] Faccia così, venga con sua moglie, lei la tiene in braccio e io le taglio i capelli. […] Eh, non ho più il cavallino mi spiace. Un giorno è venuto La Russa per la barba e s’è fatto accompagnare dalla Santanchè, una sbarazzina! Saltava per tutto il negozio, poi s’è seduta sul cavallino e quando s’è alzata il cavallino era sparito». E così più o meno le battute. Vado a memoria.

Libe-Libe-Là, Il capitano capottato, E, la vita, la vita, La canzone intelligente, Italiani, L’aeroporto di Malpensa, Il piantatore di pellame, Come porti i capelli bella bionda e infine la storica canzone di chiusura, L’uselin de la comare. Canzoni che oggi solo Elio e le Storie Tese possono rincorrere per bravura strumentale e fantasia surreale. Uno spettacolo quindi che ha confermato l’assoluta distanza artistica tra Renato Pozzetto e gli zelighiani degli ultimi vent’anni, incapaci di far ridere con la forma, ma solo, e nemmeno sempre, con il contenuto: stagnante, medio-borghese, stereotipato, vincolato ai volti della televisione, della politica e della sottocultura italiana, comprensibili solo ai fruitori patologici del mezzo televisivo. Anche Cochi e Renato hanno parlato del Fassino, del D’Alema, della Marini, del Salvini, del Pippo Baudo o di Sgarbi, Brunetta, Santanchè e altri mostri, ma sono battute sparse, non necessariamente funzionali alla loro comicità che fa allegramente a meno del referente attuale.

Io. Io, Mauro Fradegradi, sono nato comicamente tra Zuzzurro e Gaspare e Renato Pozzetto. Fin da piccolo, insieme ai film di Villaggio e Banfi, l’ultimo Bramieri televisivo, il Celentano cinematografico e il Maestro Jannacci, sono stati proprio i film di Pozzetto a educarmi comicamente. Dal 1992 al 2006, ho portato su palchi amatoriali qualcosa come più di 100 spettacoli in buona parte ispirati ai loro sketch, come Il venditore di tacchi, dadi e datteri, alle sue battute più celebri, se non addirittura intere sequenze di pellicole storiche: una su tutte quella di Di che segno sei? (1975).

Posso levarmi qualche sassolino dalla scarpa? Grazie. Molti sono oggi i cabarettisti locali che portano in giro con enorme successo le canzoni di Cochi e Renato, di Jannacci, Gaber e di altri del periodo storico del Derby. E vanno applauditi. Io, che non so cantare, non ho mai potuto. Però, credo anche che una cosa sia portare in scena le canzoni e gli sketch di qualsiasi coppia comica o di un monologhista, un conto è metabolizzare la loro comicità e farla diventare il proprio idioletto. Come è successo fortunatamente a me. Sarà per cinismo, per sdrammatizzare, per lapidarismo eastwoodiano o per quel piglio celentanesco di freddura sarcastica innato che porto con me almeno dall’adolescenza, sarà per tutto questo, ma io Pozzetto ce l’ho dentro, non fuori. Per me non è un fattore estetico, quanto poetico. Mi consolo con questo.

Non potendo portare in giro i suoi sketch, mi consolo con la realtà, con la vita di tutti i giorni. Sono un professore di lingua spagnola alle medie e soprattutto con i più piccoli di prima e seconda è troppo bello giocare con loro con la comicità stralunata e nonsense di Pozzetto, che è poi la mia. Per esempio, pochi giorni fa, in una prima media, faccio fare ai ragazzini un esercizio sulla formulazione delle domande, chiedendo qualcosa al compagno di banco. A un ragazzo, Giulio, dico: «Chiedi al tuo compagno quanti anni ha il suo pappagallo», e lui: «Cuántos… años... tiene… tu… papagayo?»; e l’altro, Nicolò, risponde: «Mi… papagayo… tiene… ocho… años». Al che gli chiedo se davvero aveva un pappagallo, lui mi risponde di no, e io: «Si vede». Sono tutti scoppiati a ridere, quasi in lacrime. Mi son chiesto perché. Perché? Perché era una battuta senza senso, senza una logica consequenziale. L’eterno fanciullo, il puer aeternus, anima e ispira la migliore comicità pozzettiana. Ecco, io, mi consolo con la realtà di tutti i giorni.

Pozzetto. Il grande attore milanese, dal 1964 ad oggi, in coppia con Cochi o in solitaria, o in coppia con Boldi, Celentano, Villaggio, Montesano, Milian, Maccione, Frassica e tanti altri, ha regalato al suo pubblico un’intera mitologia realistico-magica che non può non intaccare la quotidianità della gente semplice e comune. Nella mia vita ripeto come tormentoni lazzi come: «Il treno è sempre il treno», «Eh la madonna», «Ciao bella gioia», «Dai, salutami bene» e via dicendo. Pozzetto, anche cinematograficamente, ha utilizzato il bieco modello televisivo delle reti private anni ’80 per ottimizzare la sua comicità lunare, già a suo agio a teatro come in televisione. Ritmo, battute e controbattute, molta fisicità stralunata, clownesca, ma senza quell’irritante ostentazione di autorialità elegante tipica di quei grigi simil-comici del cinema di nicchia che credono alla comicità solo se in funzione politica e sociale, oppure mimi e artisti di strada che si credono bigger than life e a sentirli parlare sembra di sentire un santo e la sua auto-agiografia. Cultura alta? Non sapremmo cosa farcene. Si ragiona con la pancia e con il pisello, e la comicità spesso triviale di Pozzetto è la miglior cifra comica autoriale del novecento. Chissà se in altri paesi europei hanno un personaggio di tale caratura.

Nel suo repertorio, come si sprecano battute politicamente scorrette sui gay, allo stesso modo sono proprio due canzoni recenti della coppia a non mandarle a dire quando si tratta di rispettare anche gli omosessuali. In L’aeroporto di Malpensa le battute sui gay sono esilaranti, e immagino che i rappresentanti acidi e mestruati di questa fetta di popolazione italiana urlino allo scandalo, per non accorgersi magari che sul finale della canzone ci sono queste parole: «Oh, nano, oh nano, non dire che il gay è strano. Lo dici proprio tu che hai la faccia da aeroplano». Anche in Italiani, l’amore o il sesso tra uomini viene accarezzato e non criticato. Addirittura nello sketch del Barbiere di Corso Vercelli, il barbiere ha proprio una relazione omosessuale con una donna di nome Leonardo, e sono stati gli anni più belli della sua vita. Insomma, come al solito vige la regola “un conto è ridere di te, un conto è ridere co te”. Pozzetto ride con le vittime delle sue battute, per poi indirettamente, omaggiarle altrove.

Una generazione di cretini. Ci sono anche loro purtroppo. Sono i politici, sono Dolce e Gabbana che si offendo, chiudono i negozi e che poi per scaricare la rabbia se lo buttano nel…puli-puli-puli fa il tacchino. I cretini sono quelli che fanno l’amore al buio perché è peccato, sono quelli che escono a ossa rotte da uno sketch incredibile come La solita predica, sono quelli che criticano gli altri dimenticando di essere loro stessi dei mostri sociali, come il nano con la faccia da aeroplano. I cretini sono i giovani di oggi che non si staccano mai dallo smartphone e invece di godersi la realtà delle cose, la filmano per poi rivederla sintetica da un piccolo schermo. I cretini sono quelli che si prendono troppo sul serio e pensano di fare successo dal giorno alla notte, senza gavetta, senza sacrifici, senza sconfitte. Oppure, i cretini di oggi sono quelli che mentre guidano scrivono su Facebook o su Whatzapp: perché non si impastano?

Oggi, più che prima, i cretini abbondano. Saccenti, sapienti, edonisti, gli oltranzisti della forma fisica, dell’ultimo gadget Hi-Tech, della cultura televisiva come unica enciclopedia sociale e così via. I cretini di oggi sono i metrosessuali, etero oppure no, che passano le ore allo specchio, creme e cremine, foto in mutande, bevono Pinot da 200 euro, locali esclusivi, oggetti di lusso, ragazzi anche minorenni che in Piazza Vetra salgono su macchine di facoltosi signori per fare marchetta e avere più soldi, sempre più soldi; ragazzi per i quali il peggior insulto da rivolgere a qualcuno è «sei povero» : guardate il video del mostro Mirko Oro, a 200 Km orari in Ferrari verso Cinisello Balsamo. Ragazzi che se non sono modelli o non vestono Dolce e Gabbana si sentirebbero sfigati. E no, sfigati lo siete proprio perché fate cose che se non le faceste vi crederesti sfigati.

Una generazione di cretini che Pozzetto, Jannacci, Gaber e altri maestri hanno cantato e riso con affetto sincero perché dargli troppa importanza non era il caso. Bastava citarli, con battute rapide, surreali, per palesare la loro inconsistenza e la loro piccolezza e un invito a cambiare.

Infine. A spettacolo concluso, per curiosità, ci siamo messi ad aspettare Pozzetto che uscisse dal retro del teatro. Giusto per riprendere il discorso di poco sopra, fuori dall’uscita degli artistici c’era un nutrito gruppetto di fan che appena uscito Pozzetto si sono scatenati in riprese videocellulari e selfie. Non credo che abbiano realizzato il fatto di aver incontrato personalmente Renato Pozzetto. Io invece, conoscendo il personaggio, che si si dice non sia particolarmente simpatico – Piero Mazzarello disse che era proprio uno stronzo – ho deciso di restarmene a una certa distanza, senza usare il cellulare, senza avere un ricordo bidimensionale del momento. Succede che Pozzetto e famiglia passino proprio davanti a me. Non ho resistito. «Ciao Renato», gli ho detto, e lui: «Ciao, ciao». E ci siamo stretti la mano. Questo ricordo vale di più di un selfie. Della serie: mi consolo con la realtà.

A questo link un mio precedente post su Pozzetto e la sua comicità (che non ha ricevuto nessuna utilità, mah…):

//www.filmtv.it/post/23895/scusi-cardinale-ho-sbagliato-incendio-l-assurdo-nella-poesia

 

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