È polemica recente che la comunità afroamericana e i suoi sostenitori vogliono boicottare gli Oscar 2016 perché per ben due anni tra registi e attori non figura un nominato di colore. Io non so voi, ma io a parte Morgan Freeman non vedo attori così bravi da meritarsi una nomination. Anzi. Molti afro non mi piacciono affatto come attori, Fishburne, Smith, Washington e Gooding Jr, tra gli altri, ma non per questione di pelle ovviamente, bensì perché non li trovo eccezionali o perché non rappresentano i miei modelli di riferimento. Allo stesso modo ci sono attori bianchi che non posso sopportare come Hanks, Cruise o Bradley Cooper.
Quindi la domanda è: si devono premiare per forza attori o registi immeritevoli solo perché appartengono a una presunta minoranza etnica, piuttosto che gender, piuttosto che linguistica, religiosa, etc? Io dico di no. Ergo: quote nere a Hollywood? Le trovo ridicole ed imbarazzanti per l’intelligenza umana tanto quanto trovo da sempre ridicole altre quote, quelle rosa, quelle LGBT, quelle giovanili etc etc…
Chi l’ha detto che perché uno è nero o giovane o donna o altro debba essere matematicamente migliore di un altro? Questo non succede solo in America, ma anche nel nostro sgangherato paese dove all’urlo di “largo ai giovani” rischiamo di fare la fine del ratto. C’è forse qualche studio scientifico che certifichi che un presidente del consiglio di 35 anni sia più onesto e corretto di uno di 70? Dove sta scritto che una donna farebbe meglio le cose di un uomo, o viceversa? Guardiamo un attimo a Sanremo. Negli ultimi sedici anni la vittoria è quasi sempre andata ai “giovani”: Elisa, Alexia, Povia (??!), Cristicchi, Carta (?!!!), Scanu (!!??), Emma, Mengoni (!!?), Arisa (!!???) e Il Volo (?!!). Se escludiamo Elisa – di Alexia, Cristicchi, Di Tonno/Ponce, è lecito chiedersi dove siano oggi – gli altri sono ragazzi o ragazze usciti dai talent e non dalla gavetta, come invece i pochi seniors, tra l’altro di qualità, che hanno vinto nello stesso arco di tempo: Avion Travel, Matia Bazar, Masini, Renga, Vecchioni, gli Stadio.
Come succede in politica, anche nella musica, nel cinema e in altri settori c’è la rincorsa al “giovane” perché creduto portatore sano di novità, talento, competenze ed onestà. Ok. Trovatemi oggi i nuovi Rolling Stones. One Direction? Five seconds of Summer? Jonas Brothers? Oppure il nuovo David Bowie, il nuovo Joe Cocker, il nuovo B.B. King. Bieber? Mengoni? Adam Lambert? Ma per favore. Che “giovane” sia sinonimo di qualità, oggi è tanto ipocrita come inquietante. Ci sono certo ottimi ragazzi nati dai ’90 in su che meritano almeno un minimo di attenzione, ma purtroppo non hanno le opportunità che avevano i loro colleghi di qualche decennio fa per crescere artisticamente. Non ci sono più gli ambienti culturali e creativi veri, sensibili, concreti che c’erano tra i ’60 e i ’90. Oggi c’è solo la rete, questo finto mezzo democratico che sta uccidendo la cultura e l’intelligenza, soprattutto dei più giovani – caliamo un velo pietoso su quelle donne di 50 anni o quei padri di famiglia che per sentirsi più giovani e fighi tempestano i social di scatti selfie. Va da sé che le “quote teen” oltre a essere ridicole, sono inquietanti.
Tutto questo per dire che ogni filosofia di quota, che sia rosa, arcobaleno o nera, è perdente in partenza. Se mai davvero ci fossero quote nere ad Hollywood vorrebbe forse dire che in ogni categoria degli Oscar dovrebbero figurare almeno due attori afro? Quindi,vediamo: se i migliori cinque attori della stagione fossero senza ombra di dubbio DiCaprio, Day-Lewis, Hopkins, Pacino e Bridges, dovremmo togliere per forza DiCaprio e Pacino per mettere Cuba Gooding Jr e Will Smith? Per me questa è fantascienza.
Ammetto che se scorressimo la lista dei più famosi attori afro, troveremmo sicuramente attori di grande spessore, sicuramente meritevoli di nomina. Qualora avessero davvero interpretato con spessore e felice intuizione attoriale il proprio ruolo. O deve bastare il colore della pelle, l’inclinamento sessuale, il genere biologico a decidere chi è meritevole di qualcosa? Cos’è il merito? Il colore della pelle? Il fatto di essere uomo o donna? Di amare il pistolino invece che la farfallina? Credere in dio, allah o altri rettiliani? Questo è il merito?
Denzel Washington, Morgan Freeman, Samuel L. Jackson, Forest Whitaker, Chiwetel Ejiofor, Sidney Poitier, Eddie Murphy, Whoopi Goldberg, Wesley Snipes, Will Smith, Jamie Foxx, Don Cheadle, Danny Glover, Cuba Gooding Jr, Ving Rhames, Halle Berry, Oprah Winfrey, Jada Pinkett Smith, Zoe Saldaña, Jesse Williams, Laurence Fishburne, Angela Bassett, Mario Van Peebles, Michael B. Jordan, Wayans Brothers, Chris Rock, Chadwick Boseman, Michael Clark Duncan, Terrence Howard sono alcuni tra i nomi più noti, per non dimenticare chi veniva dalle celebri sit-com all black come Bill Cosby, Sherman Hamsley e soprattutto Redd Foxx che da bambino ho amato alla follia. Riconosco tra questi nomi attori di bravura notevole, ma non tutti e non comunque costanti nelle loro performance. Il merito, e lo credo fortemente, va oltre queste categorie buoniste.
Se davvero Hollywood può avere una colpa, come dopotutto ne ha l’America stessa che continua a vivacchiare su irrisolti storici come razzismo, schiavismo, sessismo e religione abbinata a ricchezza e Patria, è la colpa di non riservare agli attori afro ruoli di grande spessore, spesso e volentieri rilegati a parti di contorno, molte volte anche sacrificabili. Ma non credo se la passino meglio i messicani, i nativi americani, i cinesi, gli italiani – sempre mafiosi – i gay e così via. Questa può essere l’unica vera colpa. L’antidoto? Magari mettere qualche attore afro in ruoli chiave e principali, e molti già lo fanno, e soltanto in seguito valutarne la performance.
Come al solito, lucide e pragmatiche le parole di Clint Eastwood: «Migliaia di persone vorrebbero vincere un Oscar e non ce la fanno. E molte persone piangono perché finora non l'hanno vinto».
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