Fuocoammare è il nuovo film documentario del Leone d’Oro Gianfranco Rosi che sarà presentato in Concorso a Berlino il 13 e 14 febbraio. Nel suo viaggio intorno al mondo per raccontare persone e luoghi invisibili ai più, dopo l’India dei barcaioli (Boatman), il deserto americano dei drop-out (Below Sea Level), il Messico dei killer del narcotraffico (El Sicario - Room 164), la Roma del Grande Raccordo Anulare (Sacro Gra), Gianfranco Rosi è andato a Lampedusa, nell’epicentro del clamore mediatico, per cercare, laddove sembrerebbe non esserci più, l’invisibile e le sue storie.
Seguendo il suo metodo di totale immersione, Rosi si è trasferito per più di un anno sull’isola facendo esperienza di cosa vuol dire vivere sul confine più simbolico d’Europa raccontando i diversi destini di chi sull’isola ci abita da sempre, i lampedusani, e chi ci arriva per andare altrove, i migranti. Da questa immersione è nato Fuocoammare. Racconta di Samuele che ha 12 anni, va a scuola, ama tirare con la fionda e andare a caccia. Gli piacciono i giochi di terra, anche se tutto intorno a lui parla del mare e di uomini, donne e bambini che cercano di attraversarlo per raggiungere la sua isola. Ma non è un’isola come le altre, è Lampedusa, approdo negli ultimi 20 anni di migliaia di migranti in cerca di libertà. Samuele e i lampedusani sono i testimoni a volte inconsapevoli, a volte muti, a volte partecipi, di una tra le più grandi tragedie umane dei nostri tempi.
L'invito a partecipare alla Berlinale è arrivato mentre Rosi stava ancora girando a Lampedusa, dove è stato trasferito il montaggio per garantire il continuo scambio tra realtà e narrazione documentaristica. «È sempre difficile staccarmi dai personaggi e dai luoghi delle riprese, ma questa volta lo è ancora di più. Più che in altri miei progetti, ho sentito però la necessità di restituire al più presto questa esperienza per metterla in dialogo con il presente e le sue domande. Sono particolarmente contento di portare a Berlino, nel centro dell’Europa, il racconto di Lampedusa, dei suoi abitanti e dei suoi migranti, proprio ora che la cronaca impone nuovi ragionamenti».
Il film, prodotto da Donatella Palermo e Gianfranco Rosi, è una produzione 21Uno Film, Stemal Entertainment con Istituto Luce - Cinecittà e con Rai Cinema ed è una coproduzione italo-francese Les Films D’Ici e Arte France Cinema. Uscirà nelle sale italiane il 18 febbraio distribuito da 01 Distribution e Istituto Luce - Cinecittà.
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DOSSIER: GIANFRANCO ROSI RACCONTA FUOCOAMMARE
«Sono stato a Lampedusa per la prima volta nell'autunno del 2014 per prendere in considerazione l'idea di un cortometraggio di 10 Minuti da presentare a un festival internazionale. L'idea dei produttori era quella di realizzare qualcosa di breve per mostrare un'immagine differente dell'Isola a un continente pigro e complice la cui idea sulla crescente crisi migratoria era distorta e confusa. Lo era anche per me. Per me, Lampedusa è stata a lungo solo un groviglio di voci e immagini generati dalla televisione e dai titoli scioccanti che parlavano di morte, situazioni di emergenza, invasioni e rivolte popolari.
Una volta sull'isola, però, ho scoperto una realtà ben lontana da quella che si trova nei mezzi di comunicazione e nella narrazione politica. Mi sono reso subito conto che sarebbe stato impossibile comprimere l'universo complesso dell'isola in pochi minuti. Sarebbe servita un'immersione completa e prolungata in quella realtà: non sarebbe stato facile ma sapevo che dovevo trovare un modo per riuscirci. Ed è allora, come spesso accade quando si realizza un documentario, che è accaduto qualcosa di imprevedibile. Sono dovuto andare al pronto soccorso locale per un brutto caso di bronchite e ho fatto la conoscenza del dottor Pietro Bartolo, che ho scoperto essere - oltre l'unico medico dell'isola - presente a ogni sbarco di migranti soccorsi negli ultimi trent'anni. Egli è colui che determina chi deve andare in ospedale, chi al centro di accoglienza e chi è morto. Non sapendo che ero un regista alla ricerca di una possibile storia, il dottor Bartolo mi ha raccontato delle sue esperienze nel trattare le emergenze mediche e umanitarie. Ciò che mi ha detto e le parole che ha usato mi hanno profondamente colpito. Ne è nata una reciproca simpatia e mi sono reso conto che era adatto per diventare un personaggio del mio film. Dopo un'ora e mezza di intensa conversazione, Bartolo ha acceso il suo computer per mostrarmi immagini strazianti e inedite per farmi toccare con mano la realtà della tragedia dei migranti. Quello è stato l'istante in cui ho capito di dover trasformare il corto da 10 minuti nel mio nuovo film.
Dopo aver messo a punto i dettagli della produzione del film, mi sono trasferito a Lampedusa e ho preso in affitto una piccola casa nel vecchio porto, dove sono stato fino a quando mi è servito. Volevo raccontare la storia di questa immensa tragedia attraverso gli occhi degli isolani, il cui modo di vedere, sentire e vivere le cose, ha subito un enorme cambiamento nel corso degli ultimi vent'anni.
Grazie all'aiuto di Peppino, un angelo custode dell'isola che in seguito è divenuto il mio aiuto regista, sono entrato gradualmente in contatto con la gente del posto per conoscerne i ritmi, la vita quotidiana e il loro modo di vedere la situazione. E, come è successo con il dottor Bartolo, ho avuto un altro incontro fondamentale: quello con Samuele, un bambino di nove anni figlio di un pescatore che mi ha conquistato. Attraverso il suo sguardo chiaro e ingenuo, ho potuto raccontare la storia dell'isola e dei suoi abitanti con maggiore libertà. L'ho seguito mentre giocava con i suoi amici, a scuola, a casa con la nonna e in barca con lo zio. Samuele mi ha permesso di vedere l'isola in maniera differente e con una chiarezza che non avevo mai conosciuto prima. Grazie a lui, altri personaggi sono stati pian piano introdotti nel documentario, uno dopo l'altro.
La mia decisione di trasferirmi a Lampedusa ha cambiato tutto. Nel mio anno sull'isola ho sperimentato le intemperie del lungo inverno e il mare grosso, arrivando a conoscere il vero ritmo del flusso dei migranti. Era necessario andare al di là dell'abitudine dei media a partire per Lampedusa solo quando c'è un'emergenza. Vivendo lì, ho capito che il termine "emergenza" è privo di qualsiasi significato: ogni giorno c'è un'emergenza, ogni giorno accade qualcosa. Per cogliere il vero senso della tragedia bisogna viverla da vicino, toccarla. Solo in questo modo, si capiscono i sentimenti degli isolani, costretti a vedere la tragedia ripetersi per vent'anni.
Dopo l'avvio delle operazioni di soccorso come Mare Nostrum (che cerca di intercettare le imbarcazioni dei migranti in mare), i migranti non si vedono più molto a Lampedusa. Passano come fantasmi: scaricati su un molo del vecchio porto, arrivano al centro di accoglienza per l'assistenza e l'identificazione e, dopo un paio di giorni, vengono spediti sulla terraferma. Come per gli sbarchi, l'unico modo per capire cosa sia un centro di detenzione è quello di andare a vederlo da vicino. Non è facile girare delle immagini all'interno di uno di essi ma grazie al permesso delle autorità siciliane sono riuscito a filmare il centro, i suoi ritmi e le sue regole, i suoi ospiti e i loro costumi, le loro religioni e le loro tragedie. Un mondo all'interno di un mondo, separato dalla vita quotidiana dell'isola. La sfida più grande per me era rappresentata dal filmare quell'universo per trasmettere non solo verità e realtà ma anche umanità.
Ho realizzato presto che il confine, una volta rappresentato da Lampedusa, si è oramai trasferito in mare. Ho chiesto allora il permesso di salire a bordo di una nave italiana che opera al largo delle coste africane. Ho trascorso circa un mese sul pattugliatore Cigala Fulgosi, che ha preso parte nel frattempo a due missioni di salvataggio. Anche in questo caso, ho imparato i ritmi, le regole e le consuetudini della vita di bordo. Ma poi ci si è imbattuti nelle tragedie, una dietro l'altra. Non si può descrivere cosa ho provato a riprendere quelle immagini.
Nei miei film mi sono ritrovato spesso a raffigurare mondi circoscritti, letteralmente o figurativamente. Tali universi, a volte piccoli come una stanza, hanno la loro logica e i loro movimenti interni: catturarli e trasmetterli è la parte più complicata del mio lavoro. Anche a Lampedusa mi sono ritrovato a capire il funzionamento, se così si può definire, di un'altra serie di mondi concentrici, con le proprie regole e il proprio senso del tempo: l'isola, il centro di detenzione, il Cigala Fulgosi.
Non è possibile lasciare Lampedusa, così come è impossibile stabilire il momento in cui le riprese sono ultimate. Ciò è vero per tutti i miei film e, in particolare, per questo. Un incidente mi ha fatto capire che il cerchio si stava in qualche modo chiudendo. Poiché ho deciso di realizzare Fuocoammare dopo l'incontro con il dottor Bartolo, per chiudere il film era necessario ritornare a quell'incontro. Sono tornato allora a incontrare il dottore ma questa volta con una camera che riprendesse la sua testimonianza, la sua storia. E, come in precedenza, esaminando le immagini di vent'anni di salvataggi custodite dal suo computer, Bartolo con la sua immensa umanità e serenità è stato in grado di comunicare la grandezza dell'emergenza e il dovere di offrire assistenza e riparo. Esattamente ciò di cui avevo bisogno per chiudere il film».
Gianfranco Rosi
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