Ossessione (1943)
di Luchino Visconti con Massimo Girotti, Clara Calamai, Juan de Landa, Dhia Cristiani
Un bambino!!
Avremo un bambino.
Inebriante. E’ sparita persino la paura sottile che mi attanagliava la gola da quando ho visto quell’uomo in attesa e ho capito che “sanno”.
Ho fecondato il tuo ventre!! Solo questo è importante.
Sono in uno stato di grazia. Rinato alla speranza. Ce la faremo. Per lui. Ma dobbiamo far presto.
Per sue tortuose vie, gli impervi percorsi della vita si mescolano alle combinazioni creando nuove alchimie, è così che succede e anche a noi è accaduto.
Io non credo al destino o alla predestinazione: niente è scritto. E’ un alibi inventato dagli uomini per attenuare le loro colpevoli responsabilità che non si cancellano, per farla franca con la propria coscienza. Le nostre scelte, gli atti compiuti che spostano le prospettive ne sono la prova evidente. E se lo sono nel male, lo sono anche nel bene, perché siamo noi che modifichiamo il percorso, sempre e comunque, ed è una straordinaria emozione immaginare che è questo estremo atto d’amore compiuto che ci purifica e ci monda. Abbiamo piantato un seme che sta germinando dentro il tuo corpo: è questa la nostra speranza di redenzione. E’ per lui che dobbiamo fuggire. Ci rifaremo una vita lontani. Ne sono sicuro. E’ il tuo seno opulento e fremente che mi rende palese la cosa, la maternale dolcezza che improvvisa attraversa i tuoi occhi quando incontro il tuo sguardo.
Via... prima che arrivino. Non ci prenderanno, non ce la faranno pagare! Ci stanno inseguendo, ma noi saremo più furbi e veloci. Per lui. Per quella piccola cosa che sta lentamente crescendo dentro di te che è tutto il nostro domani.
Inebriante. Sono in uno stato di grazia per questo. Godo di uno stato di grazia! Ne sono sparso, è versato dentro il mio essere in gran copia, lo sento effondersi per ogni dove se solo sfioro il tuo ventre che si sta già preparando all’evento.
La macchina procede sbuffando lungo lo stretto, impolverato sentiero che costeggia la riva del fiume, sembra quasi non riesca a farcela tanto è affannata e ansimante.
Più in fretta, più in fretta, prima che sia troppo tardi.
C’è un camion ad intralciare la fuga che la costringe a restare accodata.
Il clacson suona nervoso, inutilmente reclama la strada. Il pulviscolo sollevato dalle ruote che la precedono è brumoso, acre e pesante. Rende l’aria soffocante, si confonde e si mischia con il tanfo opprimente della nafta che toglie il respiro.
Sorpassa! Sorpassa! Altrimenti non ce la faremo e sarà troppo tardi.
Uno scarto improvviso nel tentativo di superare l’ostacolo, il nuovo imperioso suono del clacson che supera lo sferragliante stridore dei freni che fanno slittare le ruote e lo schianto fracassante e terribile che fa deragliare oltre l’argine quell’auto che si ribalta più volte, catapulta rovinosamente lungo il breve, scosceso pendio e si inabissa dentro le limacciose acque fangose del fiume che la accolgono nel loro putrido letto di morte.
Giovanna! Ti aiuto ad uscire. Aggrappati al braccio. Rispondi! Giovanna!!
Ecco: è fuori dall’abitacolo, ma il corpo che ha tra le braccia non dà più segnali di vita. Gino lo avverte con tutto lo straziato dolore della sua anima lacerata mentre lo stringe al suo petto risalendo la china, baciandogli il collo coperto di sangue, quasi in ultimo inutile tentativo di rianimarlo, e il richiamo urlato con tanto imperioso furore, diventa pian piano un disarticolato gorgoglìo di parole che si tramuta in uno sconfortato singhiozzo che gli sconquassa la schiena. Nel fantoccio spezzato e fangoso che tiene avvinghiato al suo cuore, anche il prezioso seme nascente che custodiva il suo ventre si è disseccato portando con sé la speranza e il futuro.
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