Scena prima, interno giorno. La mattina della vigilia di Natale, fine anni novanta. Forse per una precoce vocazione alla nostalgia, agevolato dalla consuetudine del risveglio ad un’ora decente, mi ritrovo sul lettone dei miei genitori di fronte al film il cui passaggio televisivo avevo cerchiato sul giornale che mio padre comprava ogni settimana. I primi film, i nomi di attori, registi, personaggi, le durate e tutto il resto inizio a conoscerli grazie a Sorrisi e Canzoni, e forse è la faccia di Nino Manfredi, che già conoscevo per qualche film con Totò e Alberto Sordi, ad indurmi alla visione di C’eravamo tanto amati. Ho nove anni, è quasi Natale e probabilmente non so che sto vedendo il film che cambierà indiscutibilmente il corso della mia vita. Come Ladri di biciclette per Nicola Palumbo, diciamo. Non è ancora un mio problema capire davvero perché questo film mi piace così tanto.
Scena seconda, interno giorno. Un pomeriggio d’autunno, qualche anno dopo – è già morto Alberto Sordi. Sono a casa di un mio amico per un lavoro di gruppo, penso qualcosa di storia dell’arte, non importa. I lavori di gruppo servono a socializzare, ma siccome sono abbastanza legato con i miei compagni, finisco in una stanza di quella casa, in cui il padre del mio amico custodisce una grande collezione di videocassette, catalogate con una pignoleria che invidio assai. L’occhio mi cade su quel titolo, C’eravamo tanto amati di Ettore Scola, e sebbene già sia avido di film nuovi da scoprire, chiedo al gentile signore di prestarmi quella cassetta. La tengo per tre giorni, quasi usuro il nastro e così il padre del mio amico me ne fa una copia, un duplicato che è già fuori moda nel duemilatre – tuttavia queste righe lasciano intendere che non sia proprio un ragazzo al passo coi tempi.
Scena terza, interno notte. Una sera di fine primavera ma anche inizio estate, l’anno seguente. Muore Nino Manfredi, me lo dice mio fratello appena torno da scuola. Quando se ne andò Vittorio Gassman, la mamma di un mio amico chiamò a casa per chiedere come l’avessi presa e mia madre credo abbia alzato gli occhi al cielo. C’è un programma che seguo ogni sempre, lo danno su La7 e si chiama La valigia dei sogni, con Alberto Crespi che visita i luoghi in cui vennero girati alcuni film italiani. Per ricordare l’illustre scomparso, ecco C’eravamo tanto amati, le interviste a Giovanna Ralli, Stefania Sandrelli e a Ettore Scola, Furio Scarpelli, Armando Trovajoli. Prendo al volo una cassetta per registrare l’inattesa puntata e forse cancello qualcosa, ma non ricordo cosa. Per molti anni ho sacrificato sull’altare delle programmazioni improvvise una serie di videocassette scelte per registrare il film imprevisto e naturalmente lungamente agognato. Non era ancora giunto, per me, il tempo dei torrent e degli streaming illegali.
Scena quarta, esterno giorno. All’uscita da scuola, un anno dopo. Mio nonno fa parte di quel branco di nostalgici che acquista ancora il quotidiano e dalle mie parti quello più attendibile è Il Messaggero – c’abbiamo un po’ il mito di Roma, ma Il tempo è roba da fascisti e qua restiamo tutti veramente democristiani. Con mio nonno faccio tante cose, qualche volta ci vedo pure qualche film, lo sai che col Messaggero inizia una collana di videocassette (sono dvd, ma per mio nonno credo che la videocassetta sia la massima proposta tecnologica della nostra epoca) coi film italiani, mo’ che torni a casa ti vedi il piano dell’opera (sa che capisco queste espressioni, di ogni santissima nuova collana di film in edicola mi studio il piano dell’opera come se dovessi fare un esame universitario). Le prime due o tre uscite non sono granché. La quarta è Una giornata particolare di Ettore Scola.
Scena quinta, interno sera. Un tardo pomeriggio invernale a casa di un mio amico, più o meno il novantotto massimo il novantanove. Il padre di questo mio amico, come decine di migliaia di persone, ha completato le serie dell’Unità veltroniana dedicate al cinema italiano. Quelle videocassette con la copertina in bianco e nero e il titolo in caratteri gialli su sfondo nero fanno tuttora la gioia dei rigattieri. Leggo tra i vari titoli alcuni che già conosco, perché quando a casa non so che fare magicamente c’è un film su Retequattro o Raitre che mi fa compagnia, prima che Iva Zanicchi inciti il pubblico a urlare “cento, cento, cento”. Il sorpasso me lo ricordo bene, ma anche Riusciranno i nostri eroi, che però ho pure io perché mio padre mi ha permesso di arrivare al numero trenta della collana Il grande cinema di Alberto Sordi (poi si è stufato di sborsare trentanovemilanovecentolire per film che davano sempre in televisione – e ha ragione). Una giornata particolare ha in copertina un bacio sfuggente tra Sophia Loren e Marcello Mastroianni. Per me, la Loren è solo la pescivendola di Pane, amore e… e Mastroianni uno dei soliti ignoti. Non sono ancora pronto.
Scena sesta, interno giorno. A casa di mio nonno, proseguimento scena quarta. Una giornata particolare mi è piaciuto moltissimo e mi piacerà ogni anno di più. L’ho detto a scuola alla professoressa, che mi considera un ragazzino un po’ strano e quindi non mi dà troppo credito – tutti mi considerano un ragazzino un po’ strano, com’è Lorenzo? un po’ strano, dicono. Nel piano dell’opera del Messaggero c’è La famiglia e mio nonno, senza che io glielo appunti sui post it sulla scrivania, me lo fa trovare lì, come a farmi intendere che ha capito l’antifona. È di Scola, no?, mi chiede, e io sì, certo, e sono così contento di scoprirlo piano piano. Poi quel film ti spinge all’identificazione, al confronto, alla riflessione e qui avviene presumibilmente una delle varie epifany della mia vita: mi piacciono i cori, le rapsodie, le cavalcate negli anni, mi piacciono le famiglie, voglio sapere tutto di loro, voglio parlare e scrivere di loro. Non so quanti bozzetti, appunti, spunti ho redatto pensando alle tre zie zitelle, al fratello fallito, agli amori impossibili.
Scena settima, interno giorno. Casa, i miei diciassette anni e poco più. Il futuro mi coglie di sorpresa e scopro che posso scaricare film illegittimamente e nonostante sia un adolescente moralista e giustizialista mi abbandono felice all’illegalità. La cena lo danno spesso in tv, ma col timer non ci azzecco mai perché i maledetti di Retequattro mi sballano gli orari e quindi la risolvo trovandolo in rete. Passione d’amore mi devasta in un pomeriggio d’inverno che penso alla solita ragazza che giustamente non mi fila. La terrazza non è mai uscito in dvd, eppure ecco una discreta copia pronta al godimento. La più bella serata della mia vita, idem.
Scena ottava, interno notte. Un sabato notte a Bologna, ho ventuno anni. Torno a casa da un sabato sera senza emozioni e dopo Marzullo c’è La terrazza pronta ad accogliermi alle due di notte. Tre ore dopo non accuso sonno e mi rendo conto che questo film lo capirò ogni anno sempre di più: è lecito essere felici anche se questo crea infelicità? Non lo so ancora e quando lo saprò, semmai lo saprò, non m’interesserà più.
Scena nona, esterno notte. Piazza Maggiore gremita, l’estate della mia laurea. Non mi sono mai pentito di aver scelto Bologna come città dei miei studi. Qui sono cresciuto, ho fatto cose e visto gente, e ho trovato persone che, spero, cavalcheranno con me fino al tramonto. Le biblioteche di Bologna mi aiutano molto nella mia formazione: prendo in prestito almeno una ventina di film al mese. Di Scola vedo quello che mi manca, poco in realtà, però almeno ho imparato a non parlare ballando ballando. Il Cinema ritrovato è uno dei motivi per cui amo questa città, che mi fa tollerare i quarantagradi della Pianura Padania grazie alle bellissime riscoperte, ai maestosi restauri, agli incontri unici. La più bella serata della mia vita, lustrata a nuovo, avrà finalmente l’edizione che si merita. Leggo la notizia più desiderata: Ettore Scola sarà presente alla proiezione in piazza.
(quella figurina sulla sinistra è Ettore Scola)
Non colgo niente di ciò che dice, sono troppo emozionato perché lui è lì di fronte a me, che parla solo a me anche se c’è la folla delle grandi occasioni, che dice le cose che voglio che dica anche se non le sento. Avverto chi sta con me: appena finisce il film, io mi catapulto dal Maestro, mi inginocchio, gli stringo la mano che poi non mi laverò più e voi dovete essere pronte ad immortalare il momento. Naturalmente Scola l’indolente sottobraccio alla moglie si fa accompagnare alla macchina e dà retta a coloro che lo vogliono toccare con la bonaria pigrizia di chi c’ha un sonno della madonna. Io, stalker, lo seguo, lo rincorro, semino la folla e quando capisco che non ce la faccio ho la improvvida prontezza di chiamare la signora Gigliola, sua moglie. La signora Gigliola si gira un attimo, il signor Ettore intanto si accomoda in auto e mi degna di un mezzo sguardo e io voglio credere che i nostri occhi si sono incrociati. Mi sorride, o almeno io voglio crederlo. E sono contento.
(questo è ciò che resta del pedinamento)
Scena decima, interno notte. Una sera d’inverno, fa freddo dentro casa. Siamo soli io e il mio coinquilino, non c’è niente da fare fuori casa, allora vediamo C’eravamo tanto amati, c’è la locandina appesa per il corridoio (nelle tre case che ho cambiato, l’unica costante è la locandina di C’eravamo tanto amati appesa lungo il corridoio), voglio capire perché il tuo film preferito. Lo vediamo. Adesso l’ho capito, mi dice. Tu sei questo film.
Scena undicesima, interno giorno. Un pomeriggio caldo di inizio autunno, qualche mese prima. Non mi interessa se il film mi piacerà o meno, io devo vederlo il giorno stesso dell’uscita, eccomi al cinema Rialto di Bologna, spettacolo pomeridiano, io e la solita mezza dozzina di anziani. Che strano chiamarsi Federico oppure che bello vedere un film di Scola al cinema, che straordinario regalo a chi non ha goduto del privilegio di vivere in diretta l’uscita in sala dei capolavori. Per questo gli dico grazie, per questo e per tutto il resto.
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