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CON DIEGO ABATANTUONO.
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Fondazione Mirafiore. Novembre 2015.

 

Con Diego Abatantuono . Intervista pubblica.

 

Incontrare Diego Abatantuono è un po’ come ripercorrere, in breve tempo, gli ultimi quarant’anni di storia del Cinema Italiano.

Diego rappresenta per me, scribacchino di Cinema, l’attore che ha incarnato , più di ogni altro, “l’essere italiano” nel periodo storico che va dalla Milano da bere all’Italia del Twitter. Credo di non esagerare nell’affermare che Diego Abatantuono può essere paragonato a Nino Manfredi o a Ugo Tognazzi, due dei grandi moschettieri che hanno nobilitato il cinema nostrano tra gli anni 60’ e ’70 (prova ne sono anche gli oltre 100 film a cui ha partecipato).

Confronto ardito e impegnativo che sento di sostenere con forza, anche alla luce dell’incontro memorabile a cui partecipo questa sera in Fondazione Mirafiore, su invito e organizzazione di Oscar Farinetti. A questo proposito apro una doverosa parentesi per ringraziare Oscar Farinetti e tutto il suo Staff (su tutti Francesca Tablino e Federica Fiocco) che tanto si adoperano, con risorse economiche e sforzo organizzativo, per permettere a tutti gli interessati di godere delle esperienze dirette di grandi personaggi della cultura e dell’attualità. Il Patron di Eataly nel presentare al pubblico l’attore milanese afferma:

<< Ascoltiamo i Migliori, perché solo con i Migliori potremo uscire dalla crisi>>, esprimendo un pensiero che condivido in pieno e che associo al desiderio propositivo di un grande Mecenate.

 

 

Nato a Milano il 20 maggio del 1955, Diego Abatantuono appare immediatamente a suo agio al centro della platea: inforca il microfono e comincia un monologo sulla sua carriera, partendo dal Giambellino fino alle ultime su Figli di Papà. << Io ho avuto la fortuna di crescere al Giambellino , quartiere popolare di Milano negli anni ’60, perché lì ho imparato, senza saperlo, gran parte di quello che so’ fare nel mio mestiere. Sì, perché era un quartiere multietnico, come si direbbe adesso. Le case erano state costruite in stile finlandese e avevano il piano terra. Questo permetteva di assaporare gli odori dei cibi e delle parlate più diverse: profumo di peperonata e accento calabrese oppure il cou cous con il marocchino. Giocavo per strada con i miei amici e nel contempo assimilavo, inconsapevolmente, esperienze che mi sarebbero tornate molto utili nel mio lavoro. Una curiosità: le case “finlandesi” facevano parte di un progetto di scambio interculturale tra la città di Milano e una città della Finlandia. Mi sono sempre chiesto……ma le case che noi milanesi facevamo in questa città di cui non ricordo il nome, com’erano? Impanate? Allo Zafferano? Scherzi a parte, il Giambellino era il luogo ideale per l’infanzia, ci divertivamo per strada con il mio amico Ugo Conti. Un luogo tranquillo in cui poter giocare all’aperto >>. Racconta con nostalgia del “suo” quartiere e dei compagni di giochi dei mitici anni ’60: ma sempre con l’autoironia graffiante che è la cifra stilistica autentica dell’attore Abatantuono, il timbro di fabbrica che imprime a molti dei suoi personaggi del grande (e piccolo)schermo. <<Non mi piaceva andare a scuola. Avevo imparato a giocare bene a stecca. Non desideravo fare altro. Men che meno fare Cinema. Non sono mai andato a scuola di recitazione. A metà degli anni ’70 curavo la parte tecnica al Derby (luci, mixer e tutto quello che capitava), il locale era di mio zio e mia mamma faceva la guardarobiera . Da dietro le quinte guardavo gli attori che si assecondavano sul palco del Derby, che ai tempi era il posto più divertente di Milano. Jannacci, Villaggio, Dario Fo, Funari, Cochi e Renato, Porcaro, Di Francesco, Beppe Viola, I Gufi e Boldi: tutti sono passati da lì. Compresi i Gatti di Vicolo Miracoli, con cui ho avuto il battesimo del palco. Piccole scenette molto divertenti con Jerry Calà e Smaila, supportati da Oppini e Salerno. Nel frattempo è passato il “mio treno”: quello che per alcuni non passa mai e per altri ne passano tre. “Un treno” di nome Renzo Arbore e sono stato bravo e fortunato a prenderlo al volo. Avevo già fatto qualche parte al Cinema (ndr. Guerrieri, Pozzetto,Vanzina, Carnimeo), ma il Pap’occhio diede il via alla mia carriera o meglio alla mia prima parte di carriera cinematografica. Nei successivi quattro anni ho fatto ben 13 film!!! Troppi. Capirete che non ero molto ben consigliato dal mio agente dell’epoca. Se pensate che Checco Zalone o Aldo Giovanni e Giacomo, fanno un film in media ogni due anni. A quel modo il mio personaggio era destinato ad esaurirsi .E così fu. Ma nel 1985 mi chiamò Pupi Avati e le cose cambiarono ancora>>.

 

Sullo schermo della Fondazione scorrono le immagini del “terrunciello” ante litteram, che annunciava, molto prima dell’avvento della Lega, l’esplosione di una tematica sociale di estremo impegno e sedimentazione culturale. Ridiamo con gusto alle gags presenti in Fantozzi contro tutti, I Carabbinieri,I Fichissimi e il leggendario Eccezziunale …veramente del 1982, film nel quale il nostro raggiunge il top della popolarità, inventando la maschera del tifoso meridionale per antonomasia. Si arrabbia ripensando al suo agente di allora, alla cattiva gestione del suo personaggio e si commuove ricordando i momenti bui che l’hanno segnato tra l’uscita in sala de Il Ras del Quartiere (1983) e la chiamata del Maestro (1986). Tre anni difficilissimi di crisi artistica e poi la svolta.

Diego:<< Quando si dice il caso e la Fortuna. Mi trovavo a casa di una mia ex. Non frequentavo quella casa da almeno tre anni. Un mio amico, un imbecille, aveva dato a Pupi Avati il numero di telefono di quella casa lì. Al tempo non esistevano i telefonini. Mentre sono lì assolutamente per caso, squilla il telefono e rispondo Io.” Pronto sono Pupi Avati! Sei Diego Abatantuono?Faresti un film con me?” Vedete come è piena di coincidenze la vita! Io sono stato fortunato. Ero al posto giusto e nel momento giusto. In seguito, ho saputo direttamente dal Maestro, che, quella sera, si era messo al telefono con sottomano un elenco lunghissimo di nomi da contattare per il film Regalo di Natale: se non avessi risposta  a quella telefonata, le cose sarebbero andate molto diversamente.

Tra gli altri era stato contattato Paolo Villaggio, che aveva rifiutato il ruolo. Tieh!!>>.

 

Scherza di gusto Abatantuono mentre sorseggia il Nebbiolo, che ricorda un po’ le nebbie della sua Milan: elegante in giacca grigia e camicia bianca sormontata da un civettuolo sciarpone, continua nel suo racconto, alternando momenti di vita vissuta e di set cinematografici.

<< Quando Regalo di Natale uscii nelle sale, vivevo nell’ansia di come avrebbero reagito gli spettatori. Se avessero riso alla mia entrata in scena, sarebbe stata la fine. E invece avvenne il miracolo. Il film ebbe successo e io piacqui. Ero credibile anche in un ruolo drammatico. Il pubblico credeva in me e cominciai a crederci anche io. Pupi Avati aveva scommesso su Diego Abatantuono e aveva vinto: per me cominciava un percorso nuovo >>. A seguire vennero le proposte “importanti” a cominciare da Comencini con Un Ragazzo di Calabria insieme a Gian Maria Volontè, quindi Giuseppe Bertolucci, poi ancora con Pupi e di seguito Marrakech Express con Salvatores e l’Oscar nel 1991. << Con Gabriele Salvatores la cosa è un po’ più complicata. Mi ha cercato e siamo diventati talmente amici che si è fidanzato con mia moglie! Sta ancora adesso con lei. Figli non ne ha fatti e usa i miei! Con lui, Maurizio Totti e Paolo Rossi ho fondato la Colorado Film, poi Gabriele e Paolo ne sono usciti ed è subentrato Alessandro Usai, un autentico fuoriclasse della finanza!>>.

 

 

Lo schermo nel frattempo ci regala un mixer di immagini dell’Abatantuono “serio”: battute tratte da Mediterraneo, scelte da Nel Continente Nero di Marco Risi o da Il Toro di Mazzacurati. Ridiamo con lo” zio belo” de Il Barbiere di Rio (1996, Veronesi) o ne La Cena per Farli Conoscere di Avati. Riflettiamo a fondo con Ettore Scola in Concorrenza Sleale del 2001. Un re missaggio che svela tutte le sfaccettature artistiche dell’ex terrunciello di periferia e che termina con le immagini dei suoi due ultimi film: Soap Opera (2014) di Alessandro Genovesi e Belli di Papà, appena uscito nelle sale, con la regia di Guido Chiesa. Precisa Abatantuono:<< Belli di Papà è un film più semplice rispetto a Soap Opera. Soap Opera non te lo so raccontare neanche io che l’ho fatto! E’ una commedia sofisticata, una bellissima fiaba. Belli di Papà sta avendo maggior successo perché è più facile . La tematica genitori-figli è sempre molto attuale. Ma questo non vuol dire che uno sia più bello dell’altro. Nel film di Alessandro Genovesi c’è la scena dell’interrogatorio che è da antologia. Buona parte delle battute del Maresciallo Cavallo sono nate sul set, improvvisando e questo può accadere solo quando c’è una grande sintonia in scena. Così come la trovata dei dentoni finti. Sì, perché se nessuno di voi se ne fosse accorto, quei denti lì erano finti. Non è che sono andato dal mio dentista a farmi fare quelle zanne lì e poi nella vita mi sono rimesso i miei!>>.

 

Raccoglie applausi a scena aperta da grande istrione e si congeda dai presenti con alcune riflessioni molto importanti.

<<Il talento è naturale, non te lo insegna nessuno. Io non ho studiato, ne da bambino sognavo di fare l’attore. Ho avuto culo. Ero nel posto giusto al momento giusto. Certo sono stato attento, ho ascoltato i più bravi con attenzione e ho sfruttato al meglio le mie doti. L’importante è capire quello che sai fare, avere una passione e non abbandonarla. Tra Il Ras del Quartiere e Regalo di Natale, come vi ho detto prima, ho avuto un periodo molto duro a livello psicologico. Non stavo proprio al meglio. Ma è anche vero che se quei dodici/tredici film precedenti  li avessi spalmati nel tempo, non solo non avrei avuto il percorso artistico importante che ho avuto, ma soprattutto adesso, a 60 anni suonati, sarei con la spada in mano a girare Attila , il Flagello di Dio!!!>>.

 

Caro Diego Abatantuono è andata meglio così, sia per la tua carriera, che per noi pubblici estimatori di un grande professionista del Cinema Italiano degli ultimi quarant’anni.

 

Lu Abusivo.

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