Il primo dicembre 1935 nasceva nel Bronx, a New York, Allan Stewart Königsberg, che in futuro per tutti sarà Woody Allen. Cresce a Brooklyn in una modesta famiglia ebrea di origine russo-austriaco-tedesca (per qualcuno ungherese) e si approccia alle sue future passioni fin da subito: a tre anni va al cinema a vedere il capolavoro Disney “Biancaneve”, dal quale rimane folgorato. Qualche anno dopo comincia in età molto precoce a suonare il clarinetto. Nonostante non vi abitasse, il giovane Woody creò il suo habitat naturale a Manhattan. Forse perché – ha raccontato in questi giorni – la sua gioia più grande (ed il ricordo più vivo ad oggi) era quando attraversava il ponte di Brooklyn per recarsi a Manhattan e rimbalzare di sala in sala a vedere film, lasciandosi trascinare dalle emozioni, evadendo in questo modo dalle inevitabili preoccupazioni di un ragazzino ebreo nato nel periodo più pericoloso per esserlo.
È proprio in quelle salette che nasce la passione per il cinema, di cui la Grande Mela farà spesso da sfondo. Si forma attraverso il cabaret, nei locali del Greenwich village, poi numerose scritture per la TV (The Ed Sullivan Show e The Tonight Show) e un po’ di teatro (dal 1959, su suggerimento dei suoi agenti, comincia a portare sulle tavole del palcoscenico dei pezzi scritti da lui). Contemporaneamente sviluppa le sue proverbiali nevrosi, che proprio le tavole del palcoscenico sapranno lenire. Al cinema debutta nel 1966 con “Che fai, rubi?”, mentre con “Prendi i soldi e scappa” di 3 anni più tardi, capisce chiaramente che la sua genialità ed il suo humor personalissimo non gli consentono di girare serenamente un film se non può averne il totale controllo.
Altra componente fondamentale nella sua futura poetica sarà la religione. Le origini giudaiche lo predispongono allo humor tipico, spesso autoironico (“Lo sai che non posso ascoltare troppo Wagner... sento già l'impulso ad occupare la Polonia!” – Misterioso omicidio a Manhattan) o che lo esortano a sottolineare le stridenti differenze con gli altri credi (“Io sono all'antica. Non credo nei rapporti extra-coniugali. Credo che le persone dovrebbero accoppiarsi a vita, come i piccioni e i cattolici” – Manhattan).
La sua vita privata si è divisa fra le tre mogli, le due muse ispiratrici (Diane Keaton e Mia Farrow), numerosi figli, uno solo (forse) naturale, gli altri tutti adottati, nonché una particolare attenzione per il sesso, altra fonte ancor più prolifica di battute “Ehi, non denigrare la masturbazione: è sesso con qualcuno che amo” (Io & Annie). Una vita personale fatta anche di silenziose proteste. In particolare verso il cinema americano, per cui non sappiamo se sia una causa o un effetto il fatto che sia amato maggiormente in Europa che in patria. Sono famose da questo punto di vista le serate a ritmo di jazz, altra sua grande passione, organizzate esattamente in contemporanea alle premiazioni degli Oscar. Perfino nel 1978, quando era lui il destinatario delle statuette per la migliore sceneggiatura e il miglior film: mentre veniva premiato “Io & Annie”, il Nostro suonava seraficamente il clarinetto al Michael’s pub con la sua New Orleans jazz band. E non si è trattato di un caso: anche in occasione dell’Oscar come migliore sceneggiatura del 1987 per “Hannah e le sue sorelle” e del 2012 per “Midnight in Paris”, Allen era a New York e non sul red carpet losangelino.
Ma quali sono le ragioni del successo di Woody Allen? E’ innanzitutto frutto di una commistione unica: il fisico mingherlino (“Non sono un atleta. Ho cattivi riflessi. Una volta sono stato investito da un’auto spinta da due tizi”), il genio salace di Groucho Marx (“Mio nonno era un tipo così permaloso che sulla sua tomba sotto la fotografia ha fatto scrivere: Cazzo guardi?!?!”), le fisime da inguaribile ipocondriaco (“Quando si tratta di malattie non direi mai di essere un ipocondriaco. Semmai sono un allarmista. Non è che mi senta malato di continuo, ma quando mi ammalo penso subito che sia la volta buona”). Ma è soprattutto una scheggia di irriverenza che non ha risparmiato nulla, dal sacro al profano, usando il set come personale terapia in cui sfoga tutte le sue frustrazioni.
La sua formula è sempre stata vincente. Riflettendoci, in fondo, è difficile trovare un altro regista così memorabile per aver girato principalmente film commedia. Quando pensiamo ai grandi registi notiamo come quasi tutti abbiano un rapporto con le sceneggiature “leggere” molto limitato. Se si esclude Billy Wilder, non mi viene in mente nessun altro regista che abbia cambiato la storia del genere commedia come Woody Allen. Il suo contributo è stato straordinario perché peculiare. I film di Allen, le sue sceneggiature, le situazioni comiche create, sono assolutamente riconoscibili. Il riferimento è ovviamente al Woody Allen dei tempi d’oro, degli anni ’70 e ’80, quando sfornava praticamente un capolavoro all’anno. Gli ultimi anni, professionalmente, sono stati alti e bassi. Qualche pellicola azzeccata, ma per lo più flop. Lo smalto non è più quello di una volta, forse perché rispetto al passato, quando prima Diane Keaton e poi Mia Farrow erano le sue muse ispiratrici, il suo genio si è parzialmente offuscato, rimanendo sempre prolifico ma con la critica sempre meno benevola nei suoi riguardi (per capire di cosa parlo è il caso di guardarsi “To Rome with love”).
A proposito di prolificità. Il 17 dicembre esce “Irrational man”, con Emma Stone e Joaquin Phoenix, ma soprattutto il prossimo anno è di scena la sua prima serie televisiva in carriera. La nuova esperienza sembra avergli risvegliato quelle manie e le piccole ossessioni che lo hanno accompagnato nei quasi cinquant’anni di carriera. A proposito del serial, commissionato dalla Amazon (e che come al solito non ha ancora un titolo), Allen ha affermato di svegliarsi la notte a seguito di incubi per il potenziale flop della serie, preoccupato soprattutto del fatto che gli episodi non siano autoconclusivi: "Pensavo che sarebbe stata una cosa facile, se riesco a fare un film di due ore, che sarà fare sei episodi di mezzora? E invece sono in un imbarazzo cosmico, non sono in grado e non so da che parte cominciare”. La paura di Allen, pare, sia principalmente quella di non essere in grado di creare la giusta suspense che porti lo spettatore ad attendere la puntata successiva.
È l’ennesima fobia di un uomo ed un artista che ha imparato a fare del set la sua vera terapia. Se questa teoria è valida, diciamo pure che Allen egoisticamente fa i film per rendere felice se stesso. Forse non immagina quanto faccia felice tutti quelli, e sono tanti, che amano il suo cinema.
Chiudo con la mia personale TOP TEN dei film di Woody Allen.
1 - Io e Annie
2 - Crimini e misfatti
3 - La rosa purpurea del Cairo
4 - Zelig
5 - Manhattan
6 - Harry a pezzi
7 - Hanna e le sue sorelle
8 - Il dittatore dello stato libero di Bananas
9 - Pallottole su Broadway
10 - Midnight in Paris
Carmine Cicinelli
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