Mercoledì 18 novembre in territorio francese esce, tra gli altri film di nuova programmazione, Suffragette, di Sarah Gavron. Un film molto importante dal punto di vista civico e politico, che racconta la drammatica lotta delle donne di inizio '900 impegnate a far valere e rendere esplicita la parità di diritti di voto, negata in modo assoluto e apparentemente irremovibile da una società maschilista e gretta, ed anticipando una serie di conquiste di cui il sesso femminile si è fatto protagonista in molto altri stati non solo limitrofi, ma anche di altri continenti.
Il film, come è noto, aprirà ufficialmente il bel programma di quello che considero uno dei festival più accattivanti, cinefili e concreti tra tutti quelli che conosco e frequento: il 33° TORINO FILM FESTIVAL, che aprirà o battenti venerdi 20 novembre proprio con questo film.
Il presente post intende anticipare qualche considerazione su alcuni tra i film che mi è già capitato di vedere in altri festival, e che verranno ospitati nelle varie sezioni di questa ottima manifestazione torinese.
Ho mantenuto scientemente l'indicazione del festival in cui mi è capitato di vedere e recensire originariamente il film, non certo per svilire il festival torinese, ma anzi per sottolineare come le scelte dei film che in qualche modo il TFF anticipa per l'Italia, provengano dalle più note ed affermate manifestazioni cinematografiche mondiali, trattandosi quasi sempre di opere davvero notevoli e, purtroppo, in qualche caso, probabilmente destinate a risultare completamente invisibili nel nostro paese.
TFF 33 - FILM D'APERTURA - SUFFRAGETTE
Se Il suffragio universale è il principio secondo il quale tutti i cittadini di età superiore ad una certa soglia, in genere maggiorenni senza restrizioni di alcun tipo a partire da quelle di carattere economico e culturale e altre quali ceto, censo, etnia, grado di istruzione, orientamento sessuale e genere, possono esercitare il diritto di voto e partecipare alle elezioni politiche, amministrative e ad altre consultazioni pubbliche, come i referendum, la via per attuare questa apparentemente normale forma di democrazia è stata lunga, varia da paese a paese, e frutto di lotte e rivendicazioni dai risvolti spesso drammatici.
La conquista del diritto di voto da parte delle donne, e quindio da parte di una categoria che è tutt'altro che una minoranza, è una conquista che risale, nei casi migliori, a fine ottocento (Nuova Zelanda appare in testa alla classifica), mentre in Arabia Saudita tale diritto è stato conquistato dal ceto femminile solo da quest'anno.
Suffragette, opera della regista Sarah Gavron, ci racconta, in uno stile molto accurato, tutto ricostruzioni particolareggiate della società inglese di fine anni '20 e una cura per il dettaglio che assume lo stile di una pagina scritta in perfetta calligrafia, dove il contenuto, di per sé molto valido, rischia di essere annebbiato dal seducente aspetto visivo d'insieme, la lotta del movimento delle cosiddette "suffragette" inglesi, che a suon di sacrifici, botte ed umiliazioni, si annoverano tra i primi movimenti ad essere riusciti a far valere i propri diritti portando finalmente le donne a votare.
Seguiamo pertanto la vicenda della giovane Maud, operaia dall'età di sette anni presso una lavanderia, immischiarsi quasi per caso nel movimento delle donne rivoluzionarie, e divenirne una delle più agguerrite ed efficaci sostenitrici.
Perseguite come delle ladre o degli impostori, queste donne sacrificarono tutto per la causa, anche la vita, trovando finalmente la rivendicazione e il successo di una battaglia condotta con la massima convinzione e risolutezza fino alla fine.
Aprire un festival cinefilo e concreto come quello di Torino con il film della Gavron appare un'idea pertinente ed azzeccata, ma non toglie che il film si perda un pò troppo e fastidiosamente nei dettagli stilizzati di un'epoca che fu, divenendo presto schiavo del suo stesso spessore estetico e sacrifocando o svilendo in parte il sottotesto drammatico che avrebbe meritato più realismo e meno ricostruzione d'ambiente. Molto brava Carey Mulligan, impegnata più del solito ed incisiva come non mai; in parte ed adeguata Helena Bonham Carter, mentre la Streep appare in un cameo di lusso a scopo più decorativo che essenziale.
VOTO ***
Come pre-apertura la sera del mercoledi 18 al Cinema Classico è prevista l'anteprima dell'ultimo, bellissimo film di Pietro Marcello, vincitore del premio come miglior film qualche anno orsono con l'altrettanto bello ed emozionante La bocca del lupo.
BELLA E PERDUTA
Il cinema di Pietro Marcello, sempre in bilico tra narrativa e documentario, si concentra sulle figure degli umili, anzi degli ultimi, quelli che a volte rivendicano con orgoglio e coraggio la propria condizione ponendosi coraggiosamente a baluardo del proprio operato e della propria intransigente, eroica presa di posizione.
Dopo la Liguria dei carruggi genovesi, teatro d'azione di una coppia impossibile e per questo perfetta de La bocca del lupo, il regista casertano resta nella sua terra campana per raccontarci di un eroe piccolo e silenzioso: un pastore di bufali che sacrifica la sua vita per mantenere in piedi un bellissimo casale-reggia che giace abbandonato a se stesso, all'incuria e alle razzie dei saccheggiatori, tra le lande desolate e fertili di una periferia casertana devastata dai rifiuti e popolata da mandrie di bufale da latte. BELLA E PERDUTA è appunto la Reggia di Carditello, gioiello dell'epoca borbonica risalente al 1700, da troppo tempo in stato di abbandono nonostante l'eroica iniziativa di un privato cittadino e pastore, divenuto custode a tempo perso e in modo assolutamente volontario e gratuito, spinto da un amore viscerale per quella meravigliosa struttura architettonica in pericolo di degrado irreversibile.
La volontà di Tommaso, questo il nome dell'umile operoso ed illuminato dai bellissimi occhi cerulei e buoni (quasi quanto quelli corvini ed umidi del piccolo bufalo destinato come tanti al sacrificio, al servizio di una umanità vorace e distruttiva), è quella di tenere in piedi una location preziosa di cui lo stato e la burocrazia si sono dimenticati o hanno sepolto tra le pratiche impossibili destinate all'indifferenza. L'unica cosa che l'uomo chiede in cambio è che un piccolo bufalo maschio, chiamato Sarchiapone, in quanto tale destinato alla macellazione ancora infante, venga tenuto in vita. Per questo un allegro e un po' disorganizzato Pulcinella si materializza per salvare l'animale e portarlo al sicuro, tra pastori ignoranti ma citazionisti di una poesia dannunziana bucolica assolutamente pertinente e doverosa.
Le sorti dell'animale sono segnate già dalle prime scene iniziali, e la sconfitta e il disgusto per il trionfo dell'ingiustizia divengono il tratto comune di una storia di piccoli eroi soffocati dalla corruzione e dall'indifferenza generale.
Tommaso morirà (per davvero!!! a volte le storie vere superano la fantasia o l'irrazionalità emozionale della narrativa) in circostanze misteriose o non chiarite la notte di un Natale passato da poco, ufficialmente per infarto. Ma la sua figura, scomoda, per la malavita locale, ma pure per le amministrazioni del posto che col loro non fare, non reagire, alimentano ed incoraggiano la clandestinità ed il malaffare, diviene sempre più evocativa di un cittadino solo, apparentemente impotente e fragile come un fuscello che si oppone al colosso della corruzione e del malaffare, da sempre simbolo della forza prevaricatrice della camorra, che si alimenta come un vampiro della linfa vitale dei piccoli innocenti, come i mammiferi impotenti destinati al macello.
Tra le vittime designate inesorabilmente dalla condizione che li delinea, il bufalo cucciolo, con i suoi occhi umidi ed umani, lo sguardo buono e pacifico che lo rende parte integrante di una natura benevola e bucolica solo a sprazzi, tra cuccioli di cane e altre specie innocue e pacifiche, personifica l'onestà che finisce sempre per soccombere, nonostante la mobilitazione tardiva di una macchina dell'informazione sempre troppo superficiale o generalista.
Marcello fa un film forte, potente, emozionante ed intenso che si innesta ed interseca nel carattere e nei tratti dei personaggi e delle maschere popolari italiane proprie della più antica tradizione popolare, che altro non sono, già dalla loro genesi, se non la personificazione dei tratti, vuoi dominanti vuoi oppressi, vuoi servitori arrivisti, vuoi vittime designate, del prototipo di personalità variegata che da sempre riempie la sfaccettata massa sociale, sempre divisa tra oppressori (pochi e potenti) ed oppressi, ovvero una massa diffusa e soccombente.
Un meritato Pardo D'oro, sarebbe stato plausibile e sin facile prevedere per uno dei film più belli, potenti ed emozionanti del Concorso: così non è stato, forse per la difficoltà di far comprendere certi argomenti e certi personaggi così tipicamente inseriti nella nostra tradizione popolare, da divenire probabilmente incomprensibili per una giuria così internazionale come quella del festival ticinese.
VOTO ****
Nella sezione CONCORSO troveremo:
LA PATOTA (PAULINA)
FESTIVAL DI CANNES 2015 - SEMAINE DE LA CRITIQUE - GRAND PRIX NESPRESSO
Un buon film, questo argentino PAULINA (La Patota), remake di un film omonimo del 1950 del connazionale Daniel Tinayre, presentato qui al Festival alla Settimana della Critica, e di cui il regista Santiago Mitra ha cercato di riadattarne, attualizzando il contesto umano e civile odierno, la drammatica vicenda.
Paulina è la figlia venticinquenne di un celebre avvocato che la vorrebbe in studio assieme a lui per continuarne la carriera, ma che invece sceglie di fare l'insegnante di materie civiche e legali presso le scuole dei quartieri più degradati della zona.
Una notte mentre rincasa sul motorino di una collega, viene aggredita da un branco di giovani, capitanati da un giovane frustrato per essere stato lasciato ed umiliato dalla fidanzata.
Lasciata svenuta nel bosco, la giovane trova la forza di raggiugere la città e denunciare il fatto.
Tuttavia scoprendosi incinta dopo quel brutale episodio, Paulina cambia idea sulla comprensibile decisione di abortire, sentendo dentro di lei un sussulto vitale che le impedisce di procedere come tutti le consigliano, specie in famiglia.
Paulina è stato definito un “thriller sociale” e spicca per la determinazione fiera ed indomita di un personaggio che ha in sé i tratti dell'eroina epica e d'altri tempi, della santa laica che non si ferma davanti a belle frasi ma dà il buon esempio sulla propria pelle-
Alla riuscita della pellicola collabora con un contributo fondamentale la bella e tenace protagonista, Dolores Fonzi, sguardo mite e forte nel contempo, dai lineamenti piacevolmente spigolosi sui quali una regia amorevole incede nel finale toccante in cui la macchina non riesce a staccarsi dal suo volto tenace, solo leggermente impaurito ma sostanzialmente fiero della ardua decisione assunta.
VOTO ***1/2
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E' un bel film questo Coup de chaud. Teso e sottile, ambientato durante una infuocata estate nella aperta e vasta campagna francese, nei pressi di un piccolo centro rurale il cui sindaco, un veterinario pacifico ed assennato, cerca di persuadere i contadini della zona a tener duro nonostante le condizioni metereologiche avverse al buon esito dei loro raccolti.
L’apparente routine pacifica che disegna giornate sui campi arsi dalla siccità, è rotta dai tentativi maldestri di un ragazzo violento ed incontrollabile, figlio di zingari e ferraioli visti con sospetto dalla comunità, che, oggetto di scerno da parte dei coetanei ed innamorato della bella ragazza del paese, già in rapporti stretti ed intimi con bullo tosto e piacente del quartiere, perde quel poco di senno che lo conduce e si muove a ruota libera, commettendo infrazioni e reati gravi a cui poi si addossano altre responsabilità per fatti o reati di cui egli è completamente allo scuro.
Insomma lo strambo del villaggio finisce per diventare l’origine e la causa di ogni malessere del paese, e lo stress, la calura che annebbia le menti, anche quelle apparentemente più assennate, finisce per addossare sul balordo tutte le colpe e le disgrazie accorse alla comunità.
Il ritrovamento del cadavere del ragazzo in prossimità del bordo di una piscina di una villetta familiare ove solevano riunirsi i ragazzi della comunità, getta scompiglio e fa nascere un’indagine di polizia che mette in luce tutta una serie di sotterfugi e piccoli grandi segreti che la comunità ha sempre tenuto nascosti per quieto vivere e per vigliaccheria.
Ma la verità, frutto di una maligna ironia del destino, viene presto a galla, lacerando le coscienze di tutti coloro che credevano di sapere tutto e si innalzavano a giudici retti, garanti del bene pubblico e della pacifica convivenza del gruppo.
Si respira l’aria frizzante (seppur afosa) ed autentica della provincia nel film riuscito di Jacoulot, interpretato da un gruppo di ottimi caratteristi (due dei quali, il massiccio Gregory Gadebois e la nervosa Carole Franck, già visti ed apprezzati nel televisivo di successo Les revenants), più il solito ottimo Jean Pierre Darroussin, nei panni del sindaco mite e saggio.
Ma è il giovane Karim Leklou, nei panni del giovane balordo Josef, cacciato e canzonato da tutti, che merita una menzione: nel suo colto, nei suoi occhi, la follia incontenibile, l’ira dell’animale ferito che cerca di ritrovare dignità e forze per riprendere la sua fuga. Un volto irregolare che ci ricorda i personaggi straordinari e spasso disadattati dei film di Dumont.
Sempre in Festa mobile, troviamo il film di un grande autore rumeno, Corneliu Porumboiu: THE TREASURE
FESTIVAL DI CANNES 2015 - UN CERTAIN REGARD - PREMIO UN CERTAIN TALENT
Corneliu Porumboiu è uno dei più affermati registi romeni attualmente in attività. Il suo THE TREASURE, presentato a Un Certain Regard, è un film ottimo ed incalzante: una favola moderna che vede un padre affettuoso e partecipe nella vita del figlio bambino, un genitore che si prodiga a raccontare e leggere storie e favole al suo figlioletto, coinvolto da un vicino di casa con grossi problemi finanziari, in una improbabile caccia al tesoro presso un vecchio casolare periferico.
Quando il vicino chiede aiuto finanziario al protagonista, dapprima senza entrare nei particolari, e questi declina l'aiuto adducendo che le sue attuali condizioni patrimoniali non gli consentono opere di carità che possano esaudire le richieste del vicino, quest'ultimo gli rivela che un suo antenato nascose, interrandolo in giardino, un ingente tesoro per salvaguardarlo dalla dominazione oppressiva del regime comunista. Chiede pertanto aiuto al vicino per riuscire a pagarsi un metal detector in grado di sondare la superficie del giardino ed iniziare le operazioni di scavo, promettendo al vicino la metà del bottino trovato.
Il film procede, ironico e a tratti pure scanzonato, disincantato, quasi imprudente, ma in fondo lucido e ragionato, in quella che diventa una folle ossessione, non molto dissimile alla visione infantile del figlio del protagonista, che immagina già il padre alle prese con forzieri e dobloni d'oro, cascte di diamanti e di collane di madreperla.
E il tesoro? Non voglio anticipare troppo, ma ci sarà un tesoro, e pure un finale geniale con cui il protagonista dimostrerà, nella sua apparente ingenuità, che il suo ruolo di padre ed educatore viene prima di ogni altro mestiere o responsabilità. The Treasure è davvero una bella sorpresa qui al Festival, che non fa che confermare le già positive considerazioni nei riguardi di un regista davvero dotato e da seguire. Il premio ricevuto dalla Giuria, “Un Certain Talent”, è appropriato e fin troppo esiguo per il suo bel film, profondo e dal finale sferzante ed a sorpresa.
VOTO ****
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