“Tratto da una storia vera”: quante volte un film dell'orrore è iniziato con una simile didascalia?
“87 ore”: quante volte lo spazio temporale è stato il titolo perfetto per un thriller o un film ad alta tensione?
“Telecamere a circuito chiuso”: quante volte la tecnica del mockumentary è stata utilizzata nei film horror per creare un'atmosfera più glaciale e tetra?
“87 ore” è un documentario di Costanza Quatriglio in uscita il 23 novembre, sulla drammatica vicenda di Francesco Mastrogiovanni. La storia di Francesco Mastrogiovanni mi turbò talmente tanto che già nel 2011 decisi di dedicargli una serie di post in suo ricordo. Per chi non conoscesse questa brutta pagina di malasanità rammento in poche righe quella che è stata l'agonia di quest'uomo nell'estate del 2009.
Francesco Mastrogiovanni è un maestro elementare del Cilento dall'anima anarchica che nei primi anni 2000 inizia ad avere qualche disturbo comportamentale, tanto che nelle estati dal 2002 al 2005 viene sottoposto per 3 volte ad un TSO (trattamento sanitario obbligatorio) all'ospedale di Vallo della Lucania. Il 31 luglio del 2009 Francesco Mastrogiovanni viene prelevato dalla spiaggia del campeggio Costa del Cilento da uno schieramento di forze manco fosse il boss dei boss: carabinieri, vigili urbani e guardia costiera costringono Mastrogiovanni ad un ricovero coatto per aver guidato la sera precedente in maniera pericolosa nella zona pedonale, provocando un paio di tamponamenti. Mastrogiovanni acconsente al TSO dopo parecchie ore dal fermo. Dopo nemmeno due ore viene fortemente sedato e legato ai polsi e alle gambe (contenzione meccanica) per 87 ore consecutive senza mai essere slegato, nutrito solo con flebo. Mastrogiovanni muore il 4 agosto per edema polmonare conseguente all'immobilità forzata alla quale era stato sottoposto.
Purtroppo simili vicende non sono isolate nel nostro paese, cos'è che rende unica quindi la vicenda del maestro elementare cilentino? Il fatto che l'agonia del poveretto viene documentata ininterrottamente da alcune telecamere a circuito chiuso, che avrebbero dovuto consentire a medici e infermieri di controllare la salute del loro paziente, e che invece sono state utilizzate per il processo che c'è stato in questi anni come prova schiacciante per evidenziare le responsabilità dei 18 indagati tra medici e infermieri. Processo conclusosi con la condanna dai 3 ai 4 anni per 5 medici e l'interdizione a esercitare la professione per 5 anni, e l'assoluzione per tutti gli infermieri per aver eseguito solo gli ordini superiori (manco fossero militari). Il 10 marzo di quest'anno è iniziato il processo di appello in cui il procuratore generale ha chiesto la condanna anche per tutti gli infermieri indagati, in quanto “non sono meri esecutori di ordini dei medici né in rapporto di subordinazione, ma professionisti autonomi che avevano il dovere di rendersi conto delle condizioni del paziente”. La conclusione del processo è prevista per la fine di quest'anno.
Prove schiaccianti quindi queste fredde riprese a circuito chiuso, che furono già messe in onda su Rai 3 nel 2011 e che io ho avuto il dispiacere di vedere. Immagini terrificanti, di una tortura lunga quasi 5 giorni, senza una reale giustificazione (se una giustificazione è possibile per certe pratiche). Oggi quelle immagini sono state vivisezionate dalla brava documentarista palermitana, che con pazienza ha restituito una storia di orrore che non ha bisogno di didascalie per comprendere che “si tratta di vicenda realmente accaduta”.
L'agonia di Francesco Mastrogiovanni (che ricordo essere ricoverato con un TSO per un reato del codice stradale avvenuto la sera precedente al suo ricovero) è durata 87 ore, il documentario di Costanza Quatriglio dura 75 minuti, quanto possiamo resistere alla visione di tanto dolore? Personalmente feci molta fatica a seguire le immagini trasmesse in televisione, ma comprendevo che bisognava rendere omaggio e giustizia (soprattutto) a quel maestro legato in mutande e canottiera, che non veniva degnato da nessuno sguardo comprensivo o perlomeno competente da parte di chi era lì per aiutarlo. L'occhio freddo della telecamera sarà ciò che dopo anni gli permetterà di “alzarsi” da quel tavolaccio infame.
A collaborare a questo importante documentario c'è la nipote di Mastrogiovanni: Grazia Serra, che solamente il giorno prima del decesso dello zio si era recata all'ospedale per fargli visita. Un medico le disse che stava “finalmente” riposando e che la sua presenza l'avrebbe inutilmente scosso, che sarebbe stato meglio tornare un altro giorno: “ Quel giorno mi sono fidata delle parole di quel medico. Ho sbagliato, dovevo entrare, perché era un mio diritto innegabile (come scoprii dopo). Mio zio aveva il diritto di vedere i suoi familiari. Se fossi entrata in reparto quel giorno, oggi forse, mio zio sarebbe ancora vivo.”
Il documentario mostra non solo la camera e il corpo di Mastrogiovanni, ma anche l'indifferenza e la trascuratezza dell'ospedale e dei suoi medici e infermieri, che hanno continuato a lavorare molti mesi dopo i fatti accaduti, nonostante fossero indagati in un processo di tale gravità. Telecamere che ci mostrano lo stato di abbandono di una struttura e dell'inefficienza di un personale oramai completamente disattento e privo di qualsiasi accortezza umana. A Francesco Mastrogiovanni gli viene lasciato il piatto del vitto sul tavolo accanto al lettino sul quale è legato, come a dire: “ne hai diritto, non mi interessa se non lo puoi mangiare da solo, io il mio lavoro l'ho svolto”.
Posso quindi dire, pur non avendo visto ancora questo importante documentario, che questa è una storia dalla quale è stato tratto un documentario suo malgrado “horror”.
Francesco Mastrogiovanni, il giorno del suo ricovero, prima di entrare sull'autombulanza (di sua volontà) disse agli infermieri: “Non mi portate a Vallo perché lì mi ammazzano”. Francesco ci era già stato altre 3 volte in quell'ospedale, forse aveva visto o sentito di vicende accadute simili a quella che poi è toccata a lui, o forse aveva già “toccato” la morte in qualche altro ricovero con simile pratiche coatte. Non dimenticate la vicenda di Francesco Mastrogiovanni, spesso le persone con difficoltà comportamentali sono trattate con indifferenza proprio da chi dovrebbe stargli più vicino ed aiutarle in modo professionale. Spero che un lavoro come quello di Costanza Quatriglio possa restituire a Mastrogiovanni e alla sua famiglia giustizia e comprensione.
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