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A che punto è la notte. Il cinema horror del terzo millennio.
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Che cos’è l’horror? La Treccani ci viene in aiuto e parla di «termine spesso usato anche in Italia per indicare un genere cinematografico fondato su scene, azioni e immagini macabre e raccapriccianti (1)». Lo Zingarelli 2006 completa la stessa definizione aggiungendo che scene, situazioni e immagini servono a provocare «violente sensazioni di paura, raccapriccio, ripugnanza (2)». La definizione generata dal motore di ricerca Google, oltre a descrivere l’horror come il «genere letterario o spettacolo cinematografico che mira a provocare sensazioni di paura o di orrore», puntualizza che è un «filone cinematografico del genere drammatico al quale appartengono quei film che abbiano come protagonisti personaggi orribili, spaventosi, oppure violenti e privi di ogni senso di umanità (3)».

La parola chiave che sta alla base di questo genere, che è dopotutto una poetica e una estetica con un immaginario di rifermento e forme rappresentative fisse e riconoscibili, è ovviamente orrore. Questa ha come ulteriori componenti della sfera semantica: macabro, raccapriccio, ripugnanza, disgusto, spavento, terrore, paura, timore, atrocità, crudeltà, efferatezza, mostruosità, violenza, aborto, bruttura, obbrobrio, oscenità, porcheria, schifezza, schifo, sconcio, aborrimento, avversione, repulsione, ribrezzo. Per estensione questi lemmi significano «Impressione violenta di ribrezzo, di repulsione, di spavento, provocata nell’animo da cose, avvenimenti, oggetti, persone che siano in sé brutti, crudeli, ripugnanti […]; Sentimento di ripugnanza, di avversione, di antipatia, per cui si rifugge naturalmente da qualche cosa […]; Senso di sbigottimento ispirato dalle tenebre, dall’oscurità […]; sentimento misto di superstizioso terrore, di rispetto e di venerazione ispirato da luoghi in cui si sente la presenza della divinità» (4).

Come dice bene Teo Mora nell’introduzione al primo volume della sua storia del cinema dell’orrore, i mostri sono sempre esistiti e hanno sempre fatto parte dell’immaginario collettivo. Se ne trovano già nella Bibbia, nel Gilgamesh e nell’Odissea (5). È pertanto facile, anche alla luce di altri importanti studi citati in Bibliografia, affermare che senza mostruosità non esisterebbe il genere horror, che equivarrebbe a dire che senza conflitto non esiste narrazione.

L’horror è quindi quel genere composto da eventi ed esistenti legati ad un immaginario mostruoso e violento capace di provocare sensazioni di paura, angoscia e avversione attraverso l’uso di modalità espressive peculiari se non esclusive del genere stesso (concetti di scary, disgusting e disturbing).

Ovviamente, definizione e sfera semantica non bastano per esaurire il discorso sul genere horror. Bisogna fare un’ulteriore precisazione che va a monte di tutta la questione critica e che riguarda i due macrogeneri narrativi per antonomasia: il realismo e il fantastico. L’horror appartiene a entrambi. Abbiamo sia un horror soprannaturale, popolato da mostruosità inesistenti partorite dalla follia e dall’oscurità e giocato sulla confusione tra realtà e incubo, sia un horror realista in cui spariscono gli elementi stregoneschi e mostruosi e il terrore è generato dalla violenza umana o dalla natura. Se l’immaginario horror si fonda essenzialmente su mostruosità e violenza, la prima sarà tipica dell’horror soprannaturale, e la seconda di quello realista. Così, l’intrusione di Freddy Kruger nei sogni e nella vita delle sue vittime in Nightmare (1982) e le torture dei ricchi aguzzini in Hostel (2005) possono essere entrambe modulazioni narrative orrorifiche anche se appartenenti a due soprageneri fondamentalmente opposti.

Anche in un film di guerra possiamo assistere a torture e decapitazioni, ma non per questo è un film dell’orrore. Addirittura in un film religioso come The Passion of the Christ (2004) l’intera narrazione è pervasa da un’estetica violenta, crudele e sanguinaria che all’epoca della sua uscita in sala gli valse il riconoscimento di primo biblical splatter movie, senza essere automaticamente un film horror. Questo perché sia l’immaginario, sia i temi, i motivi e l’iconografia peculiare del genere horror, sono innanzitutto i componenti di una poetica. È l’occorrenza di tale materiale narrativo e di tali modalità espressive a determinarne l’appartenenza di una narrazione a un genere piuttosto che a un altro. Main Streets (1973) di Martin Scorsese non è un film horror, eppure il finale è una delle primissime incursioni splatter in un film d’autore; mentre i molti dissanguamenti e sbudellamenti di Frontier(s) (2007) si giustificano proprio per l’appartenenza del film al genere horror essendo strettamente correlati alla storia e alla sua atmosfera. Anche in American Sniper (2014), assistiamo a carneficine di grande impatto visivo, eppure non siamo in un film del terrore, ma in un film di guerra, perché a ricordarcelo ci sono altri dispostivi narrativi e altri operatori di genere a plasmare l’iconografia di base; mentre nel norvegese Dead Snow (2009) un gruppo di giovani studenti viene attaccato da dei soldati nazisti zombie: la presenza di una tale mostruosità fa del film un film horror.

Per tanto è horror una narrazione che combina iconografia e modalità espressive peculiari della categoria orrorifica mantenendo una certa occorrenza delle stesse lungo l’intero arco narrativo. È decisamente una questione di dominanti tematiche, motivali e figurative unitamente a modelli narrativi e a traiettorie narrative intrinsecamente influenzate da temi, motivi e figure dell’orrore.

Il terzo millennio. Grazie allo studio di Franco Marineo (6), trovo conferma delle tendenze del cinema horror nei primi quindici anni del nuovo secolo che mi si erano palesate durante la visione di un abbondante corpus di pellicole elencate più sotto nella Filmografia Essenziale. Si tratta di tre tendenze evidenti e riconoscibili: il torture porn, il POV/Found Footage, remake e reboot.

Tre tendenze di cui due prettamente espressive, il torture porn e il POV, e una semplicemente commerciale, il remake e il reboot. Le prime due operano sul linguaggio cinematografico e nei casi più eclatanti e autoriali finiscono per influire l’estetica cinematografica anche di prodotti non orrorifici, approfondendo anche riflessioni etiche e sociologiche. Al contrario, la scelta di produrre il remake di un film di successo piuttosto che rilanciare una saga del passato attraverso l’attualizzazione e la parziale riscrittura dell’originale attraverso la logica del reboot, sono operazioni prettamente commerciali che nascondono in secondo piano quello che per Marineo è il valore terapeutico del già noto e del già conosciuto. Anche in campo cinematografico, e anche in quello orrorifico, «il ricorso a storie già raccontate, a mostri e psicopatici già incontrati, è l’occasione per effettuare un check-up dei nostri meccanismi della paura (7)». Un approccio quindi consolatorio o sedante che attraverso il depotenziamento del vigore disturbante dell’opera originale castra e devirilizza la potenzialità critica e politica dell’opera rifatta e aggiornata. A questo processo di stordimento critico partecipa subdolamente anche l’estetica, che diventa così il primo referente di una cultura omologata e patinata, senza nerbo né coscienza critica, influendo viralmente e pericolosamente sui nativi digitali.

Il torture porn sembra invece essere la tendenza più interessante e più impregnante delle estetiche neomillenarie. Il termine viene introdotto nel mondo della critica cinematografica dal giornalista americano David Edelstein, firma del New York Magazine, che nel gennaio del 2006, in un ormai celebre articolo, Now Playing at Your Local Multiplex: Torture Porn (8), proponeva e indagava il concetto di pornografia della tortura. La sua tesi, come spiega chiaramente anche Alessio Di Lella (9), accosta le procedure del film porno industriale a quelle di due pellicole horror in cui si può individuare il germe nella nuova estetica: Saw – L’enigmista (James Wan, 2004) e Hostel (Eli Toth, 2005).

Il risultato è l’individuazione di caratteristiche tecnico-espressive che incidono fortemente sull’esercizio scopico dello spettatore. Mutuando la riflessione di Edelstein con il contributo di Daniel Holland Earle citato da Di Lella (10), possiamo notare come le caratteristiche basiche del linguaggio e dell’immaginario torture porn siano le stesse di quello pornografico.

Da sempre è risaputo che horror e porno sono due generi idealmente connessi: entrambi non solo mostrano l’immostrabile, ma oggetto della loro esibizione è il simulacro di ogni tabù più recondito, il corpo. Da qui si individuano correlazioni estetiche e linguistiche che condizionano la visione e la ricezione del torture porn: l’assenza di stacchi che interrompano la visione, la costruzione a sessioni – di sesso, nel porno; di morte, nel torture porn – e il countdown graduale verso il climax finale, ovvero l’orgasmo nel film porno e la morte in quello horror, o ancora meglio: l’eiaculazione e l’esplosione di sangue.

Non solo, la registrazione della tortura fisica, il corpo come oggetto da massacrare e la visione della morte e della sofferenza trovano il loro corrispettivo pornografico nella registrazione dell’atto sessuale, nel corpo come oggetto sessuale e nella visione dell’eiaculazione e dell’orgasmo. Si produce così uno slittamento che dal porno passa non tanto al film dell’orrore, quanto alla rappresentazione estrema della violenza, mostrando senza più inibizioni i sottotesti morbosi, sessuali e violenti del cinema dei decenni precedenti. Su tutti, andrebbe notato come nel torture porn lo spettatore sia quasi esclusivamente interessato alle scene di tortura, in attesa del climax mortale, tanto quanto era interessato alle sole scene di sesso dei film porno, in attesa dell’orgasmo finale. Il piacere della visione è così irrimediabilmente collegato all’attesa della conclusione.

Di suo, il torture porn apporta una riflessione sociologica ben più profonda. L’immobilizzazione degli automatismi etici di chi guarda, come sottolinea Marineo, complica i meccanismi di giudizio o di gusto e coinvolge spazi di riflessione che esulano dalla specificità del discorso cinematografico per farsi elementi di analisi sociologica della contemporaneità e del costume (11). Dopotutto, se i codici visivi contemporanei si sono ridefiniti spostando il limite e la tolleranza del visibile sempre più verso estreme forme di rappresentazione del reale e del sociale, è dovuto in gran parte a contingenze storiche ormai ampiamente metabolizzate come l’11 settembre e la paura terroristica, internet e il libero accesso a ogni materiali immaginabile, la velocità liquida dell’esperienza sensibile e la conseguente insaziabilità consumistica, la cronaca efferata e la sua spettacolarizzazione, gli orrori delle guerre e dei terrorismi filmati e riprodotti in tutto il mondo.

Dal mondo pornografico arriva un’altra tecnica che oggi il cinema horror usa quasi sempre impropriamente, fino ad abusarne: il POV. Grazie all’espediente narrativo del found footage, battezzato già nel 1999 da The Blair Witch Project, il cinema horror sceglie la strada della narrazione in soggettiva cercando così nuovi stimoli narrativi attraverso una nuova estetica. Un’estetica accattivante perché vuole sedurre il pubblico più giovane e più tecnologicamente dotato, stuzzicandolo con l’utilizzo di videocamere, cellulari e webcam nell’intenzione di superare lo strillone dell’ormai inefficace “tratto da una storia vera” o “fatti realmente accaduti” e prelevare letteralmente la realtà trasportandola naturalisticamente sullo schermo.

Come già a metà Novecento era impossibile teorizzare il neorealismo puro come lo concepivano i suoi ideatori proprio perché nel momento in cui il regista o l’operatore scelgono un individuo e non un altro e decidono di seguirlo e pedinarlo in quel giorno e non in un altro, e nel farlo lo inquadrano in un modo e non in un altro, e nel montare il girato selezionano del materiale e buttano il restante, operano delle scelte estetiche e narrative: ovvero palesano una loro poetica, quindi una rappresentazione. Il cinema è immagine. L’immagine è sintesi. Il cinema è sintesi.

Allo stesso modo, i film in POV, ovvero Point of View, nell’inevitabilità del linguaggio cinematografico fatto di inquadrature, quindi di campo e fuori campo, di selezione del profilmico e di montaggio, di testo, recitazione e messa in scena, viene meno alla sua natura iperrealistica e risulta non più credibile. Inoltre, la tecnica del POV, se poteva essere utile ed efficace nel porno perché identificava l’attore con lo spettatore (12), nei film horror girati camera a mano, l’effetto è completamente diverso: non c’è tensione drammatica, gli scary moments sono pochi e mal distribuiti, la sceneggiatura è prosaica e didascalica e non succede mai nulla fino alla fine, quando finalmente arriva l’orrore. Un orrore posticcio che sa di televisivo. Un orrore la cui mitopoiesi è inavvertibile, fredda, distaccata, sterilizzata dalla distanza scopica del “filmino ritrovato” che invece di avvicinare allontana l’empatia dello spettatore.

È giusto chiarire che non tutti gli horror in POV sono mediocri. Innanzitutto va detto che ci sono più tipologie di POV: a) il POV puro; b) il POV risultante da più punti di vista o da più strumenti diversi tra loro inspiegabilmente fusi insieme; c) il POV ibridato con la tecnica tradizionale, ovvero nella narrazione canonica vengono insertati segmenti narrativi o singole scene riprese da videocamere a circuito chiuso, cellulari, webcam e così via. Tra quasi una quarantina di titoli, che a fine articolo elenco nella Filmografia dedicata, e tra le tre modalità di utilizzo del POV, qualche titolo è riuscito a distinguersi per inventiva ed efficacia registica: Diary of Dead (2007), [Rec] (2007), Cloverfield (2008), Troll Hunters (2010), Chronicle (2012), Maniac (2012) e lo spagnolo La cueva (2014) sono i più riusciti; mentre Long Pigs (2007) e Lake Mungo (2008) sono perfetti e spiazzanti mockumentary; il ciclo di VHS (2012, 2013, 2014) e La metamorfosi del male (2013) sono piccoli cult imperfetti che in più momenti sanno comunque utilizzare con inventiva i meccanismi della paura contemporanea; filmato e filtrato tutto dalle finestre di un computer, Open Windows (2014), va applaudito come un’operazione rischiosa e in buona parte riuscita.

Sottogeneri. Le tre tendenze rilevate anche da Marineo, torture porn, POV e remake/reboot non sono le uniche di questi primi quindici anni del nuovo secolo. Bisogna inizialmente distinguere le tendenze che incidono sul piano espressivo da quelle che interessano il materiale narrativo, ovvero i temi e le figure. POV e mockumentary sono elementi visuali, forme della rappresentazione e modalità grammaticali; mentre il torture porn interessa il profilmico e attraversa trasversale generi e sottogeneri, funzionando più come modello narrativo che forma espressiva, ma così vincolante nella sua rappresentazione del dolore e del martirio della carne da influire profondamente anche sul linguaggio cinematografico.

Le dominanti tematiche e figurative rintracciabili all’interno di un’opera narrativa ne determinano il genere di riferimento, il sottogenere di appartenenza ed infine il modello narrativo specifico. Ecco che oltre il torture porn, possiamo notare come dal 2000 al 2015, i sottogeneri più cavalcati dall’industria orrorifica internazionale siano stati: la possessione demoniaca ovvero gli exorcism movies, gli home invasion, le ghost stories, i classic slasher, il paranormal romance e gli animal attack movie. Nella Filmografia Essenziale che lascio a chiusura dell’articolo vi si troveranno solo quei titoli che hanno dato una buona se non addirittura ottima prova di rielaborazione dell’immaginario orrorifico, sia attualizzando forme e contenuti, sia seguendo le tradizioni e i cliché storci del genere, aspettative del pubblico comprese.

Il dato più importante da rilevare è che i sottogeneri citati, a parte essere tra loro componibili – uno slasher classico può anche essere un home invasion e uno psycho movie allo stesso tempo (GirlHouse, 2014) – sono tutti modelli narrativi conciliabili con l’estetica torture porn e le forme del POV o del mockumentary. Da qui, si rileva una tendenza generale dell’horror di inizio secolo, una macrotendenza che assorbe tutte le altre e ne detta regole, forme, estetiche e tematiche: lo slittamento della soglia del visibile.

A innervare quasi ogni produzione orrorifica, cinematografica come televisiva, è la crudezza del mostrabile, la brutalità della rappresentazione, le forme estreme di massacro del corpo. Oggi il termine “violenza” non è più utile a descrivere questi nuovi codici visivi e il loro conseguente linguaggio. Tutto appartiene ormai alla sfera semantica della crudeltà: il feroce accanimento verso il corpo umano, la bestialità e conseguente animalizzazione dell’umano, la mostruosità del domestico, la spietatezza dell’istinto omicida, la perversione del desiderio di sofferenza, la brutalità degli scontri. Tutto ha carattere primitivo e animalesco.

Risentono di questo progressivo spostamento del visibile anche la televisione con l’infotainment crudo dei reportage di guerra o della spettacolarizzazione della cronaca nera e del dolore altrui; la realtà virtuale dei videogiochi violenti, “gli sparatutto”, con le loro pericolose soggettive spersonalizzanti; il mondo globale della rete che ha di fatto eliminato un filtro etico a ogni materiale facilmente recuperabile con un click; il fumetto, il cinema stesso, le arti grafiche e quelle plastiche. Anche la vita di tutti i giorni con le sue famiglie disgregate, i bambini lasciati a loro stessi, le violenze domestiche, gli abusi pedofili, femminicidi, la crisi economica, la paura per lo straniero, diventa una forma di rappresentazione della perdita di coordinate etiche, una valvola di sfogo per isterismi di massa.

Temi. Il cinema dell’orrore è necessario perché è la forma più viscerale di racconto psicoterapeutico, capace di sondare le paure dell’uomo fin dalla notte dei tempi e restituirle con forme di rappresentazione efficaci in cui i meccanismi della paura e le figurazioni del male e delle paure ataviche trovano materia e concrezione. L’utilità sta nel saper leggere fuori di noi la mostruosità che ci portiamo dentro, sperando, a conclusione di un esercizio tra il mitopoietico e lo scopico, di individuare gli anticorpi capaci di “uccidere il mostro alla fine del libro”.

Il cinema horror d’inizio secolo, sta cercando così di fotografare la mappa concettuale dell’uomo contemporaneo, non più moderno, non più postmoderno, folle, disturbato, schizofrenico, isterico e spersonalizzato, che fa della crudeltà e della sottomissione, attraverso il primo medium sensibile, ovvero il corpo pornograficamente esposto sia ad una sessualità sclerotica e antilibidica, sia allo squartamento fisico e reale della cronaca civile come militare, gli unici approcci possibili alla vita sociale, politica e culturale della propria comunità. Una comunità non più perimetrabile, a cui si è sostituita un’idea di comunità in perpetuo corto circuito tra i concetti di famiglia, località, paese, nazione, mondo.

Ai sottogeneri e alle pratiche espressive con cui l’horror sta provando a raccontare l’uomo del terzo millennio, si accompagnano temi e figure non a caso strettamente correlati con l’aspetto caratterizzante del filone di appartenenza. Una delle rassegne più numerose è quella di madri che vivono una maternità drammatica, a volte irrisolta e a volte desiderata. Il tema quindi della maternità drammatica è tra i principali dispositivi narrativi dell’horror contemporaneo, così come il dissesto famigliare e i conflitti parentali innervano molte delle pellicole in cui una estrema caratterizzazione della violenza assume la funzione di ribellione a un sistema castrante, spesso abbinato al mondo politico di destra e alla religione cattolica. Il disagio adolescenziale è invece il perno sul quale ruotano molte produzioni horror, compresi i paranormal romance o i classici teen slasher: è motivo di scontro generazionale e di ribellione corporale, spesso unita alla simbologia della mutazione fisica.

La paura del buio, la più vecchia e primitiva tra le paure umane, ha ritrovato il suo posto in non poche produzioni recenti, sia come tema dominante, sia come tema secondario o motivo narrativo. Allo stesso modo, l’ossessione per le origini e il conseguente tema del passato che ritorna a tormentare l’uomo, sono tematiche fondamentali per il film del terrore che si radica innanzitutto sulla figura del ritornante e di tutto l’immaginario accessorio che lo accompagna.

Su tutti svettano due temi imprescindibili per il racconto dell’orrore: il corpo e la malattia. L’eroe malato, di eredità romantica e decadente, fa della sua debilità o addirittura della sua menomazione un’ossessione che lo spinge al titanismo sia in accezione positiva, lottare contro il mostro, sia negativa, diventare lui stesso il mostro. La carnalità e la corporalità dei personaggi come delle vittime e delle varie mostruosità accende le spie di un erotismo teratologico proibitivo, perturbante e ambiguo con il compito di squarciare il pesante velo dell’inibizione e del trauma sessuale per una investigazione concreta e senza tabù del valore naturale del nostro corpo e del suo ruolo primario nelle relazioni sociali. Indagare sul corpo è un altro modo per uccidere il mostro.

Figure. Si possono individuare, come figure centrali ed emblematiche del terrore di inizio secolo, i bambini fantasma e le case infestate. Il più delle volte correlati e interdipendenti, i bambini fantasma e le case infestate appaiono nella maggior parte dei film horror odierni. Non solo sono figure classiche che l’immaginario aveva già conosciuto lungo l’arco della sua storia, ma simboleggiano anche concetti ben più profondi e universali che vanno dal passato che ritorna, dall’infanzia perduta, dal trama della maternità drammatica – i bambini fantasma – alla metafora della stato e della patria, dell’istituzione famigliare fino alla più sottile e cerebrale riflessione dell’architettura dell’uomo nel mondo – le case infestate, ma anche l’home invasion.

Le mostruosità classiche dell’immaginario horror, vampiri, zombie e lupi mannari, non perdono il passo dietro al nuovo avvento di diavoli e demoni vari che posseggono poveri ignari o l’imprescindibile presenza degli psycho killer, fisici o metafisici, che agiscono come castratori sociali o angeli vendicatori. I vampiri vengono ridefiniti come efebici ed emaciati antieroi decadenti in linea con i nuovi gusti neoromantici delle nuove generazioni, perdendo molto del loro storico approccio simbolico – ambiguità, bisessualità, malattia, succubus. Gli zombi hanno conosciuto la parodizzazione, ma anche la commedia sentimentale, per ritornare inquietanti simulacri decerebrati dei vivi nelle serie televisive. Gli uomini lupo conoscono una nuova primavera e vengono impiegati in diverse produzioni che vogliono giocare sia sul tema della metamorfosi, con tutti i sottotesti possibili – mutazione, il corpo adolescente, la rabbia repressa, l’istintualità animale, l’ombra – sia sul tema dell’edonismo che negli Anni Zero è tornato a contaminare ogni ambito della vita quotidiana e ad ogni livello sociale con il culto del corpo perfetto, della sessualità compulsiva e del rampantismo sociale e professionale.

In questa restituzione sensibile dell’immaginario horror più puro e politico, la serialità televisiva ha giocato un ruolo fondamentale proponendo antologie del terrore, survival drama e monster drama ben più perturbanti ed efficaci dei prodotti cinematografici – Jenifer (2005), Pelts (2006), Cigarette Burns e altri piccoli gioielli di Masters of Horror (2005-2006), The Walking Dead (2010), Teen Wolf (2011), Dracula (2013) e Penny Dreadful (2014).

Anche i cannibali, tra rednecks nascosti nel ventre molle del paese e indigeni di tribù ancora primitive, tornano di tanto in tanto a terrorizzare l’immaginario collettivo con la loro disturbante presenza, cercando di dare nuovo smalto ad un filone, il cannibal movie, che avrebbe molto materiale narrativo, tra colto e volgare, per riflettere con efficacia sulla questione del corpo, della carne e del sesso. Spesso e volentieri i film sul cannibalismo non riescono ad andare oltre ad un insano approccio estetico, lasciando fuori quadro ogni discorso politico o sociale. A conferma questo di come sia vincolante a livello produttivo il peso specifico del voyeurismo sadico e bestiale rispetto le riflessioni di tipo sociale e culturale.

Nei primi quindici anni del nuovo secolo il cinema horror ha conosciuto sia una progressiva deriva apatica, più attenta al successo commerciale che alla riflessione sociale, sia un impoverimento dell’immaginario del terrore, convogliando solo verso la depravazione dello sguardo tutti i possibili temi e scenari del genere. Va riflettuto il reale apporto del torture porn che se da un lato è paccottaglia buona solo per richiamare il pubblico al cinema al grido di immagini scandalose e riprovevoli, dall’altro innesca indirette riflessioni etiche sullo sguardo e sul ruolo non più passivo dello spettatore. Soprattutto spinge quest’ultimo a chiedersi della reale necessità di una pornografia della tortura e della spettacolarizzazione delle vicende più intime di ogni individuo, dal dolore alla sessualità, dalla morte alla privacy.

Genere oggi estremamente commerciale, l’horror è praticato da molti registi, alcuni dei quali si sono avventurati tra mostri e frattaglie per questioni alimentari e non artistiche. Tra i registi più affermati, su cui si può osare il termine di autori horror ci sono Guillermo del Toro, Neil Marshall, Alexandre Aja, Lucky McKee, Jaume Balagueró, James Wan, Rob Zombie e Scott Derrikson. Da verificare, a mio avviso, nomi come Trevor Matthews, Jon Knautz, Brett Simmons, John Hewitt e Ty West. Dal Messico all’Inghilterra, dalla Spagna all’Australia, dagli Stati Uniti al lontano oriente, l’horror è il primo genere mitopoietico per definizione; e nella sua capacità di creare miti, simboli e incarnazione del male, delle paure e del perturbante, gioca ancora oggi un ruolo imponente nella costruzione delle identità sociali e dello scavo psicologico che si fa politico.

Filmografia essenziale.

I 102 film horror più rappresentativi di inizio secolo.

2000 FINAL DESTINATION

2000 GINGER SNAPS

2001 JEEPERS CREEPERS

2001 CALVAIRE

2002 THE RING

2002 28 GIORNI DOPO

2002 DEATHWATCH

2002 BLADE II

2002 DOG SOLDIERS

2002 MY LTTLE EYE

2003 LA CASA DEI MILLE CORPI

2003 HAUTE TENSION

2003 THE TEXAS CHAIN SAW MASSACRE

2003 JEEPERS CREEPERS 2

2004 SAW

2004 WRONG TURN

2004 SATAN’S LITTLE HELPER

2004 DEAD BIRDS

2004 DONNIE DARKO

2005 THE DESCENT

2005 LA CASA DEL DIAVOLO

2005 HOSTEL

2005 THE EXORCISM OF EMILY ROSE

2005 WOLF CREEK

2005 HOUSE OF WAX

2005 DARK WATER

2005 WILD COUNTRY

2005 VENOM

2005 THE AMITYVILLE HORROR

2005 MASTERS OF HORROR (serie tv)

2006 LE COLLINE HANNO GLI OCCHI

2006 PELÍCULAS PARA NO DORMIR (serie tv)

2006 SEVERANCE

2006 BIG BAD WOLF

2006 THE TEXAS CHAIN SAW MASSACRE – THE BEGINNING

2006 TURISTAS

2006 THEM

2007 [REC]

2007 VACANCY

2007 FRONTIER(S)

2007 PARANORMAL ACTIVITY

2007 A L’INTERIEUR

2007 TEETH

2007 30 DAYS OF NIGHT

2007 LA RAGAZZA DELLA PORTA ACCANTO

2007 GONE – PASSAGGIO PER L’INFERNO

2008 LASCIAMI ENTRARE

2008 EDEN LAKE

2008 DONKEY PUNCH

2008 MARTYRS

2008 THE STRANGERS

2008 THE MIDNIGT MEAT TRAIN

2008 LAKE MUNGO

2008 IMAGO MORTIS

2009 THE HOLE

2009 THE HOUSE OF THE DEVIL

2009 [REC]2

2009 THE LOVED ONES

2009 WOLFMAN

2010 ROAD TRAIN

2010 THE WARD

2010 TROLL HUNTERS

2010 PIRANHA 3D

2010 THE WALKING DEAD (serie tv)

2011 THE WOMAN

2011 INTRUDERS

2011 BUNNYMAN

2011 BEREAVEMENT

2011 MADISON COUNTY

2011 TEEN WOLF (serie tv)

2012 CHRONICLE

2012 QUELLA CASA NEL BOSCO

2012 INSENSIBLES

2012 SINISTER

2012 VHS

2012 PIRANHA 3DD

2013 YOU’RE NEXT

2013 HANSEL & GRETEL GET BAKED

2013 LA METAMORFOSI DEL MALE

2013 THE CONJURING

2013 LA NOTTE DEL GIUDIZIO

2013 EVIDENCE

2013 THE GREEN INFERNO

2013 HEMLOCK GROVE (serie tv)

2013 DRACULA (serie tv)

2014 LIBERACI DAL MALE

2014 IT FOLLOWS

2013 HORNS

2013 OCULUS

2013 DRACULA (serie tv)

2014 MOCKINGBIRD

2014 CUB

2014 LA CUEVA

2014 PENNY DREADFUL (serie tv)

2014 CLOWN

2014 OPEN WINDOWS

2014 INDIGENOUS

2014 ANIMAL

2014 GIRLHOUSE

2015 WOLF CREEK 2

2015 BABADOOK

2015 BEFORE I WAKE

2015 REVERSAL

2015 CRIMSON PEAK

FILM IN POV/FOUND FOOTAGE:

 

1992 MAN BITES DOG

1999 THE BLAIR WITCH PROJECT

2007 DIARY OF THE DEAD

2007 [REC]

2007 PARANORMAL ACTIVITY

2007 LONG PIGS

2008 CLOVERFIELD

2008 LAKE MUNGO

2009 [REC]2

2009 DISTRICT 9

2010 THE LAST EXORCISM

2010 TROLL HUNTERS

2010 8213: GACY HOUSE

2011 HOLLOW

2012 CHRONICLE

2012 MANIAC

2012 THE HELPERS

2012 BIGFOOT COUNTY

2012 BIGFOOT: THE LOST COAST TAPE

2012 TAPE 407

2012 VHS

2013 VHS 2

2014 VHS: VIRAL

2014 HUNTING THE LEGEND

2014 NECROPOLIS

2013 EVIDENCE

2013 LA METAMORFOSI DEL MALE

2013 WILLOW CREEK

2014 MOCKINGBIRD

2014 THE MIRROR

2014 LA CUEVA

2014 EXISTS

2014 LA STIRPE DEL MALE

2014 IL SEGNATO

2014 GRACE THE POSSESSION

2014 OPEN WINDOWS

2014 THE HOUSES OCTOBER BUILT

2015 THE GALLOWS

2015 INVOKED

Note:

(1) http://www.treccani.it/vocabolario/horror

(2) ZINGARELLI Nicola, Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, Bologna, 2006, p.859.

(3) https://www.google.it/?gws_rd=ssl#q=horror+vocabolario

(4) http://www.treccani.it/vocabolario/orrore

(5) MORA Teo, Storia del cinema dell’orrore. Vol. 1. Dalle origini al 1957, Fanucci, Roma, 2001, p.11.

(6) MARINEO Franco, Il cinema del terzo millennio. Immagini, nuove tecnologie, narrazioni, Einaudi Editore, Torino, 2014, pp.105-112.

(7) MARINEO, Op. cit., p.110.

(8) http://nymag.com/movies/features/15622/

(9) http://www.retididedalus.it/Archivi/2009/novembre/SPAZIO_LIBERO/visioni.pdf

(10) Ibidem.

(11) MARINEO, Op. cit., p.106.

(12) Stesso discorso per le soggettive dell’assassino che da Peeping Tom (1960) in avanti, Dario Argento incluso visto che ne è stato il vero teorico, adottano questa strategia per giocare, riflettere e corrompere lo sguardo spettatoriale.

Bibliografia.

MARINEO Franco, Il cinema del terzo millennio. Immagini, nuove tecnologie, narrazioni, Einaudi Editore, Torino, 2014.

MORA Teo, Storia del cinema dell’orrore. Vol. 1. Dalle origini al 1957, Fanucci, Roma, 2001

http://www.imdb.com/list/ls052694809/?start=1&view=detail&sort=user_rating:desc (Lista di POV/Found Footage film).

DI LELLA Alessio, Visioni estreme. “Torture Porn”: quando il cinema diventa aberrante, http://www.retididedalus.it/Archivi/2009/novembre/SPAZIO_LIBERO/visioni.pdf

EDELSTEIN David, Now Playing at Your Local Multiplex: Torture Porn, in «New York Magazine», 26 gennaio 2006.

EARLE Daniel Holland, Torture Porn: Conceptualizing a Current Trend in Graphic Imagery, Conference Papers, National Communication Association, San Diego (CA) 2008, p.1.

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