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VACANZINE ROMANE: 2° e 3° GIORNO ALLA FESTA DEL CINEMA DI ROMA. TITOLI INTERESSANTI, SPESSO BUONI, IN ALCUNI CASI OTTIMI RENDONO L'OCCASIONE ROMANA TUTT'ALTRO CHE UN'ACCOZZAGLIA DI FILM NON ACCOLTI AGLI ALTRI "VERI" FESTIVAL
di alan smithee
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The Walk (2015): locandina

Un film dietro l'altro per cercare di far fruttare questi pochi giorni romani alla Festa, mi sono stati sufficienti per rendermi conto che, da una parte, mi trovo d'accordo con la scelta della direttrice Detassis di ritornare alla formula originaria dell'appuntamento romano, evitando una volta per tutte che quella della capitale venisse considerata l'ultima occasione per lanciare i film che tutti gli altri festival non avevano voluto per sé. 

Inoltre, pur calibrando meglio di anni addietro le date tra Venezia e Torino, un altro festival tra questi due, veniva considerato scomodo, inutile, ed un riempitivo utile solo ad affollare di eventi cinematografici un periodo dell'anno sin troppo sovraccarico di appuntamenti cinefili. 

La Festa invece, con la sua mancanza di giuria (vota il pubblico, al pari dello scorso anno), che evita costi esorbitanti ed inutili, focalizza l'attenzione sul cinema, sui contenuti da proporre alla gente. I titoli tra l'altro appaiono, già in questi primi tre giorni, quasi tutti almeno interessanti, se non meritevoli o davvero molto belli (Sion Sono e la sua fantascienza retrò è sempre in cima alle mie preferenze), anche quando si tratta di blockbuster (vedi The walk, in cui ritroviamo uno Zemeckis in forma quasi (e sottolineo "quasi") quanto nei meravigliosi ed incoscienti anni '80 in cui ci raccontava degli anni '60 (Ritorno al futuro), o quando si dedicava alla commedia avventurosa (All'inseguimento della pietra verde). E l'Italia deve ancora sfilare, sperando di far bella figura rispetto alla media molto dignitosa delle pellicole viste sino ad ora. Sarà compito degli altri "colleghi" presenti alla Festa, documentarvi di essi e di tutti (o quasi) gli altri film che verranno.

A proposito di colleghi ed amici, un selfie qui sotto racchiude il gruppetto scatenato di FilmTv che in questi giorni sta visionando con assiduità le varie proposte quotidiane della rassegna, cercando di spaziare e presenziare a tutte le proposte, per rendere completo il più possibile il passaggio e la relativa testimonianza di questo nostro sito sulla manifestazione romana.

da sinistra Alan Smithee, Port cros, Gaiart, Pazuzu (ma c'è pure in questi giorni l'amico Luabusivo, che al momento della foto non era ancora dei nostri)

 

Ecco i film visti nelle due ultime giornate:


FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2015 - SELEZIONE UFFICIALE

Casi beffardi del destino, coincidenze devastanti che scuotono esistenze apparentemente compiute.

Quando una giovane ed avvenente bionda trentenne finisce davanti ad un magistrato donna per essere giudicata, dopo che la moglie di un maturo suicida la accusa di avere indotto l'uomo, con ricatto subdolo e pressioni malevole, a togliersi la vita, quest'ultima scopre da un indizio sulla vita della ragazza che il figlio che lei e suo marito, pure lui avvocato presso il medesimo tribunale, hanno adottato da neonato, non può che essere suo figlio. Sconvolta, anziché abbandonare il caso, la donna fa di tutto perché la donna venga accusata. Scosso dalla vicenda il marito avvocato decide di incontrare la giovane appena scontata la pena, e di aiutarla economicamente. la ragazza non riesce a capire le intenzioni dell'uomo, e lo seduce traducendo il suo interesse come l'ennesimo tentativo degli uomini di usarla come oggetto sessuale.

la verità verà a galla durante una settimana di crociera, in cui tutti i protagonisti di questa scacchiera maledetta, troveranno a confrontarsi con conseguenze inizialmente inimmaginabili. Solido e ben congeniato thriller dei sentimenti, ottimamente interpretato da validi e noti attori come Sylvie Testud, scarna e nevrotica più che mai, e il massiccio e mansueto, ma solo perchè trattenuto a stento, Grégory Gadebois - attore (splendido ne Les Revenants) perfetto a rendere il buon padre di famiglia che perde le staffe e deborda nella follia - il film di Yves Angelo affronta i suoi rischi accumulando tutta una serie di avvenimenti, situazioni spinose, complessi edipici e attrazioni carnali impossibiliacharie Chasseriaud, labbr carnose compatibili con quelle della madre naturale che non avrà mai modo di conoscere in quel contesto.

Per quanto condotto ai limiti del paradossale, il film procede in modo concitato fino al suo drammatico epilogo rimanendo coerente col proprio stile e realismo, forzando la mano ad una storia che sfocia nella follia come causa del non detto e della mancanza di comunicazione che a volte costituirebbe il miglior presupposto per un pacifico chiarimento.

VOTO ****

FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2015 - SELEZIONE UFFICIALE

Si può riuscire a realizzare i propri obiettivi, anche quelli più ambiziosi, senza far del male a chi ci sta vicino o semplicemente senza farsi voler male dalle persone che ci convivono vicino e con le quali si cerca di stabilire un equilibrio, un'intesa, frutto anche, in questo caso, di una nuovo e seppur indiretto legame familiare?

Il padre vedovo della trentenne Brooke (Gerwig) sta per sposare la madre della studentessa ventenne Tracy: perché non incontrarsi per divenire due vere sorelle e prepararsi al matrimonio dei genitori?

Bella idea, almeno sulla carta, non fosse che da quella che pare un'intesa naturale e perfetta, scaturisce il presupposto perfetto per far venire a galla insoddisfazioni cocenti e nevrosi che ognuna delle ragazze prova e sente da tempo circa l'incapacità di affrontare come si vorrebbe gli ostacoli delle relative esistenze, raggiungendo gli obiettivi spesso ambiziosi che ognuna delle due vorrebbe veder spianarsi davanti a sé.

Da una sceneggiatura brillante e furbetta scritta a quattro mani da Noah baumbach, il re dei cineasti indipendenti U.S.A. e da greta gerwig, già sua musa del fortunato Frances Ha, ecco una nuova miscela esplosiva tutta dialoghi ironici e sfrenati, tutta schizzi emozionali e nevrosi che vengono a galla trasformando un'intesa perfetta in una baraoda litigiosa che diverte e fa anche un pò pensare.

Il sogno di aprire un ristorante da parte della sorellastra più grande si sbriciola facilmente quando gli amici, conti alla mano, la rendono edotta di come i suoi progetti siano belli e perfetti nella toeria ma molto meno nella pratica; sua sorella sogna di divenire una scrittrice affermata, di venir scelta a far parte di un club esclusivo di studenti scrittori, e per questo non si fa alcun problema nel trovare nella sorellastra l'eroina "sfigata" e quindi perfetta per renderla celebre ed apprezzata.

Sarà la solitudine a risolvere conflitti in apparenza sanabili, e una festa obbligata come quella del Ringraziamento rinsalderà un'intesa che pareva rotta per sempre.

La coppia Baumbach/Gerwig indubbiamente funziosa, Gerwig attrice incanta con la sua disarmante e dinoccolata presenza, così come apprezzabile è la presenza dell'attrice sconosciuta Lola Kirke che interpreta la giovane sorellastra mancata; ed il piccolo film diverte per leggerezza e senso dell'ironia, anche se tutta questa ossessione per la scoperta della propria realizzazione, argomento sempre un pò al centro delle commedie moderne sulla gioventù in cerca di cosa fare da grandi, tende a divenire un pò troppo ogorroico e fine a se stesso, come se i due sceneggiatori si stessero rendendo conto di prendersi in fondo troppo sul serio, e non riuscendo completamente a stemperare questa impressione con una benevola dose di ironia ed umorismo, in ogni caso salvifiche.

VOTO ***

FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2015 – SEZIONE UFFICIALE

ROOM di Lenny Abrahamson, regista irlandese del bellissimo Garage e degli interessanti e bizzarri What Richard did e Frank, dirige una coproduzione Canada/Irlanda che prende spunto da più di un fatto di cronaca nera, per sviluppare tematiche profonde come l'adattabilità, la pericolosità di agenti esterni sulla vita dell'uomo, la difficoltà ad integrarsi nel gruppo dopo una vita di isolamento.

Troviamo infatti Ma ed il suo piccolo bambino di cinque anni costretti a vivere in un locale angusto di circa 9 metri quadrati, illuminato solo da un lucernaio in alto sul soffitto. All'inizio non sappiamo se tutto ciò dipenda da una scelta (folle) della donna, magari ossessivamente preoccupata dalle influenze della società esterna sul carattere e la mente del suo bambino, o se invece le ragioni siano differenti. Poi la verità emerge nella sua più terrificante verità: entrambi sono progionieri di un folle che l'ha messa incinta e la utilizza come valvola di sfogo per i suoi appetiti sessuali. Tuttavia la donna pare rassegnata alla situazione, e soprattutto protesa a far si che al figlio tutto ciò possa sembrare l'universo attorno al quale vivere, in contatto con l'esterno solo grazie ad un televisore e alle poche derrate alimentari e rifornimenti che il carceriere recapita sporadicamente per la sopravvivenza dei due prigionieri.

Un piano a lungo studiato cambierà radicalmente la situazione, ma a quel punto sorgeranno gravi problematiche di adattabilità non tanto o solo per il bambino, quanto per la donna, più fragile e vulnerabile di quanto non si potesse presumere.

Brie Larson, già meravigliosa in Short Terms 12, visto a Locarno in presenza dell'attrice stessa, è qui la leva fondamentale di un film che sa tenere col fiato sospeso ed approfondire tutte le complesse tematiche e sfaccettature legate alla drammatica vicenda raccontata: la famiglia che tende a disgregarsi dopo il sollievo del riavvicinamento, la necessità di educare il bambino con gradualità al vortice di informazioni, all'eccesso visivo e mentale che la realtà di ogni giorno gli pone innanzi; l'invadenza della stampa, con le sue domande scomode, fuori tempo e fuori luogo, morbose e tendenziose alle quali non ci si può sottrarre anche per far fruttare una notorietà in grado di fornire le sostanze per affrontare tutte le spese che il ritorno alla vita chiama verso di sé.

Un film centrato e calibrato su un rapporto esclusivo tra madre e figlio, destinato un poco ad allentarsi con la conquista della salvezza, e forse proprio per questo in definitiva più destabilizzante per la madre che per il figlio. Di rilievo, come sempe, la prova di Joan Allen, nonna ritrovata dalla grande sensibilità.

Per Lenny Abrahamson la riconferma di un talento, la capacità di dedicarsi a racconti scomodi o per nulla scontati, che lo rendono un cineasta prezioso da tenere d'occhio.

VOTO ****


locandina

These Daughters of Mine (2015): locandina

FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2015 – SEZIONE UFFICIALE

THESE DAUGHTERS OF MINE è un film polacco dai forti connotati autobiografici o comunque personali, della regista Kinga Debska. La drammaatica storia dei gravi problemi di salute che coinvolgono, nel giro di poco tempo, le vite e l'esstenza di due sorelle quarantenni, una attrice televisiva di successo in difficoltà a relazionarsi con gli uomini, l'altra, la più giovane, maestra elementare afflitta da senso di inadeguatezza e da manie di persecuzione a causa del successo della sorella (la brava atrrice che la interpreta, presente in sala assiem alla regista) è una sosia, ugualmente scampita, di Lory Del Santo).

l'attrice Gabriela Muskala, un pò sosia di Lory Del Santo, in sala durante la proiezione del film

 

Una anziana madre malata di cancro che, alla vigilia delle ultime cure della malattia, apparentemente debellata, viene colta da un aneurisma proprio in ospedale, e poco dopo il tumore al cervello diagnosticato al bizzarro e stizzoso padre, ex architetto dal carattere fiero e mai domo, sono le gocce che fanno traboccare il vaso che assicurava u equilibrio apparente nella vta delle due donne. 

La Debska racconta il calvario della malattia con il tono drammatico pertinente, ma anche con picchi ironici e sarcastici che caratterizzano un rapporto di amore-odio-rivalità-complicità tra due solrelle così diverse, eppure così bizzarramente unite: Un film cupo sulla morte, che tuttavia appare vitale e schietto come nelle situazioni in cui, messo al muro dinanzi a scelte cruciali, ti trovi ad affrontare situazioni apparentemente insormontabili con la forza spontanea dell'ironia che sopraggiunge a salvare il salvabile. 

Per questo “Queste mie figlie” ha dentro di sé la vitalità positiva e quel pizzico di follia che lo rende tutt'altro che un monocorde inno al lutto, ma al contrario un incitamento bizzarro ma schietto alla vita, alla voglia di combattere e di andare avanti, da donne fiere, incuranti dell'arroganza del genere maschile.

VOTO ***

scena

Office (2015): scena

FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2015 – SEZIONE UFFICIALE

OFFICE 3D costituisce per l'adrenalinico regista d'azione Johnnie To l'occasione per cambiare registro, senza peraltro abbandonare il virtuosismo del suo stle di regia, che rimane concitato e rutilante anche nel raccontarci, attraverso uno scatenato musical ,le vicende economiche, le sclate al potere, i contrasti tra i colleghi, tra la dirigenza e le nuove leve che aspirano ad affermarsi, le vicisstudini all'interno di un grattacielo ove risiede il personale di una potente multinazonale nel momento in cu la stessa sta per passare in mani pubbliche. 

Le manovre astute della dirigenza, riverita come una schiera di dei dai nuovi arrivati che si destreggiano per primeggiare e venir notati dai capi che li osservano dai piani alti, si intersecano con le storie più piccole inerenti le mansioni affidate a chi arriva al suo primo giorno di lavoro: sia esso un giovane ex studente alle prime armi, dotato di sola buona volontà e voglia di imparare, sia essa la figlia dell'amministratore delegato, assunta sotto le sembianze celate di una qualsiasi impiegata, ma con possibilità di scalata che vanno ben al d là dei singoli meriti o capacità. 

Il musical alterna numeri cantati e danzanti più o meno scatenati ed avvicenti a sotto storie di rivalse tra colleghi e oche trame per assicurarsi il posto giusto nella scalata alla niova acquisizione.

Lungo e bizzarro, parlatissimo e cantatissimo da mettere in crisi anche l'occhio più allenato a sostenere il sottotitolo più concitato e repentico,peraltro significativamente affaticato dall'occhiale 3D che crea bei momenti ma non raggiunge il rango dell'indispensabilità.

Un Johnnie To bizzarro e un po' fine a se stesso, lungo sin troppo, ma di certo un'altra evidente occasione per dmostrare l'estrema capacità di girare con destrezza da parte di un regista che sa muovers alla perfezione sui territori dell'action ,anche quando sconfina in generi del tutto differenti.

VOTO ***

FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2015 – SEZIONE UFFICIALE

In FREEHELD Julianne Moore, fresca di premio Oscar per Still Alice, presentato guarda caso in anteprima mondiale proprio al Festival di Roma 2014, torna nuovamente ad ammalarsi, se possibile in modo ancor più grave e letale che nel film pluripremiato precedente. 

Da tenace donna poliziotto di Ocean County, segretamente omosessuale e per caso fortuito divenuta amante della più giovane meccanica Stacie (Ellen Page), a malata terminale di cancro, il passo per laurel Hester è stato davvero breve e senza appello.

Non così breve perché, durante l'atroce agonia, la donna si battesse, coadiuvata da un suo fedele collega da sempre nemmeno troppo segratamente innamorato di lei (Michael Shannon) per la salvaguardia di un diritto alla parità di trattamento nei confronti della sua compagna, a suo (e non solo suo) avviso legittimamente titolare della pensione di reversibilità che altriment sarebbe spettata in modo automatico a ogni altra coppia eterosessuale anche solo convivente. 

Nasce una battaglia accesa che coinvolge anche associazioni varie per la tutela delle minoranze e della comunità omosessuale, che vede scherato, tra le voci più pittoresche, anche uno scatenato ed eccentrico prelato ebreo gay (Steve Carrell, strepitoso).

Sulla falsariga di molti altri drammi e lotte per la salvagardia della parità di trattamento dei diritti fondamentali della persona, tratto anche in tal caso da una storia vera, il film di Peter Sollett, alla sua seconda regia, assume tratti convenzionalmente noti per lasciarsi caratterizzare, più avanti, nel corso della tenace lotta, da un impeto e da una forza tale che l'impatto emotivo risulta forte e fin emozionante, ben di più di altri prodotti standard di tipo hollywoodiano come il già citato e ben più statico Still Alice. 

Le prove attoriali di un poker d'attori come quelli sopra citati, rende giustizia e conferma la potenza di un film che lascia nello spettatore emozioni a pelle che è difficile tenere a freno.

Produce, tra gli altri, la stessa piccola, minuta ma grintosa Ellen Page, qui probabilmente impegnata nella sua prova migliore.

VOTO ***1/2

FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2015 - SEZIONE UFFICIALE

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The Walk (2015): locandina

Un filo sul mondo. Imprese scellerate del genere certificano ed ufficializzano che l'uomo può riuscire a fare tutto ciò che veramente vuole, e che il talento, unito ad un pizzico di follia ed incoscienza, sono gli ingredienti necessari per tagliare il traguardo.

Dopo molto, troppo tempo dedicato al "motion capture" con un trittico per nulla convincente, ed un ritorno dignitoso al cinema spettacolare più tradizionale con il valido ma un pò ordinario Flight, ritroviamo lo Zemeckis gran cineasta, quello che più ci piace, in questo incredibile , vistuosistico e letteralmente vertiginoso racconto di una missione che ha dell'impossibile: quella di un piccolo giovane funambolo fracese che, nel lontano 1974, lasciò interdetta tutta New York ed il mondo intero con un'impresa che mette i brividi solo a concepirla: percorrere su una fune d'acciaio la distanza che separa le torri gemelle del World Tride Center, inaugurate pochi mesi prima, e tristemente note per il terribile attentato dell'11 settembre di ventisette anni dopo. 

La capacità di racconto e di rappresentazione ritrovano lo Zemeckis spielberghiano dei bei tempi, e se la vicenda impiega quasi un'ora e mezza per arrivare all'impresa cruciale, l'emozione anche solo della preparazione del "colpo" (perché di colpo si tratta davvero!), è molto appassionante. L'impresa del funambolo poi, è una vera chicca, in grado di tenere lo spettatore in bilico lui stesso su quel filo, su quel cornicione, a penzoloni per oltre mezz'ora in una vertigine quasi insostenibile che Everest al confronto appare una barzelletta.

Grande Joseph Gordon-Levitt, un attore bravissimo già da oltre un decennio, ma che tendiamo, immeritatamente, a lasciarci per strada quando meriterebbe a pieno titolo la considerazione divistica di altri suoi colleghi, spesso scenicamente molto meno dotati.

VOTO ***1/2

FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2015 - SEZIONE UFFICIALE

Sergi Lopez è insieme ad Anthony Hopkins ed a pochi altri ottimi attori, il pazzo per eccellenza. Ritrovarlo nel western moderno e dai tratti pulp opera prima di Laurent Laffargue, ci sembra una scelta coerente, quasi scontata, resa quasi epica se a fargli da contraltare troviamo quel colosso non molto più rassicurante, specie se colpito nel vivo dei sentimenti, che è il colosso di Eric Cantona.

Plausibile che il paesino dell'entroterra francese sulla Garonna si chiami Chateaujealoux (Castellogeloso), e che la rivalità per la conquista definitiva di una bella trentenne di nome Chantal (l'ottima Céline Sallette) , ex attrice promettente ed ora insegnante di recitazione a tempo perso, diventi il motivo essenziale di una contesa che finirà per inzupparsi nel ssangue e nella violenza più effereta, come la "cronaca di una morte annunciata". A questa vicenda si interseca un'altra contesa amorosa, questa volta fra due giovani studenti ed una bionda diciassettenne: una vicenda che fa da contraltare un pò sfocato al ritorno in paese dell'uomo che ha sacrificato tre anni di prigione per la sua donna, che nel frattempo si è accasata col il macellaio del villaggio.

Un insieme riuscito di atmosfere ferine che trovano negli atteggimenti ferini e da belva ferita ma mai doma di un Lopez "brutto, sporco e cattivo", il fulcro e l'aspetto più riuscito del film.

VOTO ***

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