Era il 13 giugno scorso quando il Numero 43 della rubrica Il Semaforo concedeva un verde agli Space Lemon, una giovane band di Los Angeles che con determinazione e buona volontà, iniziava a farsi strada nella scena rock alternativa americana. Composta da un gruppo di musicisti provenienti da diverse parti del mondo, gli Space Lemon sono il cantante italiano Tommaso Gimignani (nonché autore dei testi), il chitarrista uruguaiano Ignacio Zas, il bassista brasiliano Felipe Archer e la batterista messicana Ale Robles. Nonostante i differenti background dei compenenti, gli Space Lemon sono fortemente influenzati dal rock alternativo degli anni Novanta e nella loro musica non è difficile cogliere echi, tra gli altri, dei Pearl Jam, dei Soundgarden o degli Alice in Chains: una scelta musicale coraggiosa in un mondo musicale sempre più dominato dai talent e dai singoli fotocopia acchiapparagazzine.
Dal 13 giugno a oggi sono trascorsi quattro mesi durante i quali la band ha cominciato a imporsi sulla scena musicale americana, sperando di riuscire a fare il grande salto verso la notorietà a livello globale grazie all'orecchiabilità delle loro canzoni e alla profondità dei loro testi. Ringraziandoci per essere stati tra i primi in Italia a occuparci di loro, gli Space Lemon hanno voluto regalarci l'anteprima italiana del loro primo videoclip Alone Again, singolo contenuto nel loro primo EP disponibile per l'acquisto in tutte le piattaforme musicali, e in esclusiva la loro prima intervista italiana ufficiale.
Diretto da Barbara Cupisti, il video è stato ideato e finanziato dagli stessi componenti della band. La realizzazione del video porta con sé alcuni aneddoti, come rivela la regista: «Io sono mera esecutrice: tutta farina del sacco degli Space Lemon. I ragazzi si sono autofinanziati tutto: dal costo dello studios alle locations, dal noleggio parco luci al montaggio. Una curiosità voglio però svelarla: ho chiesto consiglio a Sergio Stivaletti per fare la maschera Mummy e lui gentilmente ci ha guidato a distanza! È stato girato a Los Angeles con 2 Canon 5D e una Canon 7D e montato in italia». Ma non è tutto: alla macchina, oltre a Josè D. Rodrigues, vi era anche l'attore Alberto Gimignani, per una volta dall'altro lato della camera: «Ho curato la parte delle luci e quella delle riprese con una delle tre macchine che giravano. Barbara ha curato la regia e Alessandro Marinelli si è occupato del montaggio sotto la supervisione di Tommaso [Gimignani] che aveva di fatto il final cut. Uno sforzo collettivo che ha coinvolto in egual misura tutti.Il gruppo degli Space Lemon si è molto dato, pur non avendo precedenti esperienze di set», sottolinea l'attore.
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Intervista a Tommaso Gimignani
Cosa ti ha spinto a lasciare l'Italia per arrivare negli Stati Uniti?
La curiosità, la necessità di fare della mia passione la mia professione. Non sto di certo qui per il cibo.
Sei stato anche abbastanza fortunato nell'incontrare subito qualcuno che condividesse la tua stessa passione. Gli Space Lemon sono un bell'esempio di meltin' pot che come collante la musica.
Assolutamente sì, molto fortunato. Ognuno di noi a suo modo ha portato qualcosa di suo: è bello vedere come, pur essendo diversi culturalmente, alla fine ci ritroviamo uniti dallo stesso motivo.
E tu cosa hai portato di tuo?
Forse è ancora troppo presto per saperlo. Abbiamo fatto ancora troppo poco. Lo vedrò con gli anni cosa ho portato, cosa ognuno di noi ha portato. Cinque pezzi per cominciare però non sono pochi.
Com'è la scena rock alternativa americana in questo momento?
Negli Stati Uniti ci stanno diverse scene e all'interno di ognuna di esse diverse situazioni: band originali, cover band, band originali che però suonano completamente nello stile di altre band... e poi ci siamo noi, gli Space Lemon.
E chi siete voi?
Siamo una band genuina, naturalmente influenzata da altre band ma con un proprio linguaggio e tutti pezzi originali. Creiamo contrasti: chorus pesante e verse più digeribile, voce quasi sempre melodica, poco scream... siamo un mix di tante cose. Io ho davvero strane influenze che col tempo verranno fuori. Forse anche con la tranquillità di avere alle spalle un bel po' di fan e una casa discografica.
A proposito di contrasti, Alone Again, il vostro primo singolo, mi sembra molto intimista, al di là dei colpi di basso e batteria.
È un po' difficile parlare di Alone Again, concede molte interpretazioni. Da una parte è molto intimista, come dici tu, e lo è anche per chi l'ascolta. La canzone parla di noi, secondo i miei compagni. Per me parla di tutti. Chi ha il coraggio di cambiare e di cambiarsi possiede un cuore solitario. Chi questo coraggio non ce l'ha punta il dito contro - come gli altri cento, mille suoi fratelli fanno - ma soffre nel capire di non avere quella forza, quindi di essere ancora più solo. Lonely all together... C'è una distinzione tra pecore e pecore nere ma comunque sempre di pecore si parla.
Nel riferirsi a voi musicalmente spesso vi additano come "figli" dei Pearl Jam.
Io adoro i Pearl Jam e mi sento onorato di essere paragonato a loro. Ma sento più vicini al nostro sound i Soundgarden e gli Alice in Chains.
Tu sei anche autore dei testi degli Space Lemon e non solo frontman. Dove trovi l'ispirazione per scrivere?
Mi metto nei panni degli altri. Le mie canzoni non sono tanto una critica personale quanto un reportage non impersonale. Ovvio che c'è una mia opinione,il mio punto di vista, ma mi sembra di parlare di situazioni comuni a tutti e non di quanto sto male per la mia ragazza che mi ha lasciato e di come l'unica soluzione sia una massiccia dose di eroina tagliata male. Non parlo tanto di me o per me... In Down with Me, ad esempio, parlo d'amore ma amore per chi? Per cosa? Non lo rivelerò mai...
Ma è giusto che l'autore conservi un alone di mistero. Una volta rilasciata, una canzone appartiene al pubblico che la fa propria.
Esatto. L'unico motivo per cui vorrei avere migliaia di fan è per sentire le migliaia di interpretazioni diverse delle mie canzoni. Sono loro che fanno i brani, non io. Le canzoni sono solo come acqua calda e le persone come bustine di the, ognuna diversa e con un proprio sapore.
Com'è muovere i primi passi in California?
Come in Italia, Los Angeles è piena di tante parole e tante chiacchiere. Iniziare da sconosciuti non è facile: ai live la gente sembra che ti faccia un favore facendoti suonare o ascoltandoti. La mentalità è un po' perversa, ai gestori importa solo quante persone porti. Però, ci si metteva di buona volontà e si suonava: quello che contava era fare la nostra musica, sebbene ci trattassero da ragazzini. Importava solo quanti biglietti vendevi. Ma i miei compagni avevano e hanno il fuoco dentro ed io come loro... Se stiamo suonando in tutti questi show, se abbiamo un EP pubblicato, un video pronto e tanto buon feedback, è perché dentro bruciamo come vulcani. Avere successo è questione di fortuna ma noi le andiamo incontro. Non c'è tempo per il cazzeggio o per l'utopia della vita americana passata a non fare nulla e a pensare ai soldi. Stare qui, lontano da casa, comporta per tutti determinazione e sacrificio. Io ho una relazione sentimentale da quattro anni, ad esempio, di cui due a distanza. Vedo la mia ragazza un mese all'anno in tutto, a cicli di due settimane. Costa molto viaggiare e poi non ho la libertà di tornare a casa quando voglio, non posso lasciare la mia band in asso. Io sono la loro voce e loro i miei polmoni.
I tuoi come hanno preso la tua decisione di voler fare il cantante?
I miei mi appoggiano molto. Se sono così determinato è anche per loro. È vero che io ho avuto le mie possibilità grazie al loro sostegno e a quello dei miei amici ma il mio sogno è che più ragazzi della mia età riuscissero ad accedere alla loro forza interiore, a essere pecore nere e non pecore, per realizzare i propri sogni. È facile lanciare colpe a destra e sinistra... Non ho tempo, non sono bravo, quello mi sta antipatico, no ma poi non ci riesco... Se desideri una cosa, le possibilità te le crei da solo, senza che proprie intenzioni vengano minate da nulla. I desideri e i sogni devono essere espressi in maniera semplice in modo da non essere contaminati dalle insicurezze che gli altri possono iniettarvi. Le cose solide durano in eterno. Vedi il Colosseo o il Partenone: strutture semplici e indistruttibili. Ci penso da un po', non vorrei mai vedere i miei coetanei lasciarsi andare. Lo diceva Yoda in L'impero colpisce ancora: «No! Provare no! Fare, o non fare! Non c'è provare!». Quindi, più fare, meno scuse.
Immagino tu abbia studiato canto.
Sono venuto qui a Los Angeles per prequentare il Musician Institute. Ho una laurea breve in vocal performance and contemporary music. In Italia ho studiato tre anni da Serena Ottaviani, forse la miglior vocal coach che abbia mai incontrato. Inoltre, mio nonno materno era un cantante lirico, ho sempre spiato tutto quello che faceva: se riesco a cantare lirica è grazie a lui.
Hai mai pensato all'ipotesi di cantare in italiano?
Canto spesso in italiano ma qui canto ovviamente in inglese. Un giorno scriverò e canterò nella mia lingua, che mi piace molto. Io amo l'Italia e sono fiero di molte cose, come del non essermi lasciato influenzare poi così tanto dalla cultura statunitense. Mantengo sempre il mio status di italiano.
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La storia degli Space Lemon
«Nessuno di noi poteva prevedere un anno fa quello che ci sarebbe accaduto. Chi avrebbe mai potuto immaginare che la tensione iniziale tra la batterista Alejandra e il chitarrista Ignacio portasse a innumerevoli jam session e alla pubblicazione di un EP? I due inizialmente non andavano molto d'accordo fino a quando una sera non hanno deciso di prendere parte a un concerto dei Queens of the Stone Age. Dopo quella notte, l'amore che entrambi provavano per il rock alternativo si è rivelato in grado di superare ogni resistenza portandoli a esibirsi insieme fino all'incontro con Tommaso, che sarebbe diventato il vocalist della futura band.
Presentato da un amico in comune, Tommaso ha subito conquistato Ale e Ignacio e la loro alchimia ha posto le basi per i Space Lemon a suon di ore spese a scrivere canzoni e a ridefinire la loro musicalità. Per essere una band vera e propria mancava ancora un componente cruciale: un bassista. La fortuna ci è venuta incontro quando Tommy e Ignacio hanno conoscuto Felipe Archer in un bar sulla Sunset Strip.
La prima volta in cui tutti e quattro abbiamo suonato insieme è stata semplicemente elettrizzante: Felipe aveva tutto ciò che si richiede a un bassista. Felipe, nato in Brasile, però non viveva a Los Angeles come il resto del gruppo. Abitava in Oregon, a 12 ore di macchina di distanza. A discapito della distanza, la determinazione ha fatto il resto: abbiamo iniziato a suonare in vari luoghi di Los Angeles (House of Blues e Viper Room compresi) fino a quando il 31 luglio è uscito il nostro primo EP, registrato, mixato e masterizzato, al Rattle Room di Jaron Luksa, che ha lavorato con artisti come John Legend, Amanda Palmer, Foster the People e Collective Soul. Oggi, finalmente, abbiamo anche il nostro primo video e siamo impegnati con gli spettacoli in tutta la California meridionale».
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