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OLTRECONFINE: SPECIALE “ZE FESTIVAL”: L’OTTAVA EDIZIONE DEL SECONDO FESTIVAL CHE LA CITTA’ DI NIZZA DEDICA ALLE TEMATICHE LGBT
di alan smithee
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Ze Festival - Festival du film lesbien, gay, bi, trans

 

 

 

 

 

 

 

 

ZeFest2015-small

 

 

 

Tra un festival cinematografico e l’altro (la città francese di Nizza è molto fertile di queste iniziative, siano esse anche solo semplicemente rassegne con tematiche in comune, o relative a cinematografie di vari paesi – c’è stata la rassegna del festival russo con Sokurov in persona, come vi ho recentemente documentato, c’è stato il Festival del cinema Ceco, con la presenza di Jiri Menzel, è in corso in questi giorni la rassegna sul cinema romeno, che spero di potervi documentare prossimamente), il cuore pulsante della Costa Azzurra ospita per l’ottavo anno consecutivo lo “Ze Festival”, nome ironico che svia completamente dalle tematiche che sorreggono la rassegna, concentrandosi sulla pronuncia – che solo in Italia definiremmo “maccheronica” - che i francesi si mettono in bocca ogni qualvolta siano costretti a pronunciare l’articolo indeterminativo inglese “The”: per i francesi diventa un sibilante “se”, trascritto con “ze”.

Un nome simpatico e spensierato, ironico e leggero che tuttavia non si dimentica di tematiche serie come la lotta alla discriminazione, la salvaguardia dei diritti spesso calpestati o dimenticati delle minoranze, la promozione di manifestazioni e di ogni forma d’arte inerente il mondo LGBT appunto. Un Festival fatto in casa, grazie all’opera preziosa e disinteressata di volontari dell’associazione multiculturale POLYCHROMES, attivi nel ricercare personalmente le pellicole da proiettare, organizzare incontri con i vari cineasti e con gli attori delle opere prescelte. Un festival che si snoda tra alcune delle principali città della Francia del Sud, ovvero Nice, Marseille, Toulon e Seillans, accolto in varie sale cinematografiche e con la partecipazione di locali, ristoranti, e attività commerciali che si inseriscono come finanziatori e sponsor.

Un festival autunnale che si affianca a quello primaverile, se vogliamo concorrente, anche se lo spirito tra i due contendenti ritengo non sia di sfida ma di produttiva collaborazione: stiamo parlando dell’In & Out Festival, di cui vi abbiamo già rendicontato negli anni passati, e che si tiene tra aprile e maggio di ogni anno.

Durante le proiezioni nizzarde, ho avuto modo di prender parte alla visione di sei pellicole, delle quali vi parlo qui di seguito.

 Waiting in the Wings: The Musical (2014) Poster

WAITING IN THE WINGS, THE MUSICAL, di Jenn Page, costituisce per la rassegna un inizio spumeggiante e disinvolto: una commedia degli equivoci scatenata, folle e carinamente sguaiata che prende inizio da un bizzarro scambio di persone, due ragazzi omonimi, ma di fattezze e corporatura diametralmente opposti, per raccontarcene le vicissitudini (di entrambi i malcapitati) ed i relativi progressi dopo un debutto in entrambi i casi devastante.

Infatti accade che, nell’atto di trasferirsi dalla periferia alla grande città, ovvero Broadway, un intonato e mingherlino ragazzo del coro della chiesa, venga scambiato per un omonimo dalla corporatura massiccia ed indirizzato presso un gruppo di spogliarellisti muscolosi e possenti, in luogo invece il vero destinatario, inviato in un teatro di varietà a fare il ballerino e a cantare.

L’incipit è anche un presupposto per dar vita e rappresentare tutta una serie di numeri, nei quali entrambi i nostri protagonisti appariranno a loro agio come pesci fuor d’acqua, salvo rimboccarsi le maniche e riuscire, grazie anche all’intervento di un angelo femminile, depositario di grazia nel movimento e una vocalità da artista consumata, ad integrarsi ognuno in un gruppo apparentemente al di fuori di ogni più plausibile possibilità .

Il film, una sciocchezzuola divertente e spiritosa, inciampa più volte a causa di una sceneggiatura stolta che dimentica qua e là i suoi capisaldi, tagliando e cucendo un po' grezzamente storie di contorno, senza più riuscire a raccapezzarsi, ripristinando in extremis un minimo di coerenza al filo conduttore, ma finendo anche per privilegiare uno dei due protagonisti a scapito dell’altro. Tuttavia nel suo complesso il filmetto appare carino e piacevole, sin divertente. Nel cast di interpreti ironici, divertenti e divertiti, va senz’altro citato quel Christopher Atkins che deliziò le adolescenti nei primi anni ’80 nel pruriginoso Laguna Blu con Brooke Shields: trentacinque anni dopo lo ritroviamo, sempre biondissimo con una improbabile capigliatura bombatissima e riga in mezzo, nei panni di un dinamico e piacente prete col pallino per il coro (e probabilmente per i giovani efebici cantanti che ne fanno parte)

VOTO ***

 

Annunciato già al Festival TGLFF di Torino 2014 come il primo "colossal" americano a tematica gay, in realta' BURNING BLUE di D.M.W. Greer non e' proprio una mega produzione, ma certo deve essere costato parecchio, non fosse altro per le riprese della e sulla piattaforma che trasporta un'armata di piloti addestrati alla guida di caccia da combattimento. Siamo ai tempi della presidenza Bush, e dunque in pieno oscurantismo per quel che attiene il riconoscimento dei diritti gay per i soldati: figuriamoci se si tratta di personale scelto ed altamente specializzato. L'amore impossibile sbocciato prepotentemente tra un pilota, figlio di un generale dela stessa compagnia ed avvenente un  collega fresco di matrimonio, mette a dura prova gli animi degli interessati e crea sospetti anche tra gli altri commilitoni, soprattutto quando, presso la commissione incaricata di scingiurare scandali di tipo sessuale che infanghino la reputazione della marina, iniziano a circolare foto compromettenti di alcuni piloti nudi mentre scherzano mimando le pose di alcune figure viste in visita alla Cappella Sistina, poco dopo il loro attracco nel porto di Napoli (una Napoli fintissima e puerilmente cartolinesca ripresa sotto una....nevicata...mah...!?!...). Insomma una caccia alle streghe che alimenta stress e tortura anima e corpo dei parte dei piloti, alcuni dei quali anche vittime di incidenti fatali. Un Top Gun gay? Appunto, ed e' quello il vero problema di questo fumettone pallido e bolso e pesante come una telenovela, recitato approssimativamente da attori davvero deboli. Scritto in modo frammentato e poco incisivo, il film procede stanco e ripetitivo sui binari del deja-vu e del melodramma sdolcinato e melenso che comunica solo noia e voglia di uscire presto dalla sala. Al confronto Free Fall, pure lui incentrato su una storia omosessuale tra militari, visto all'In & Out di due anni orsono, si eleva di livello facendo scordare una certa freddezza di fondo che imputavamo al film tedesco e che non ci aveva convinti appieno in quella occasione.

VOTO **

 

A GIRL AT MY DOOR

Raramente assistiamo ad esordi così illuminanti, perfetti, dirompenti ed appassionanti. Il fatto che succeda con un film coreano mi risulta un caso piuttosto coerente, per non dire scontato, per una cinematografia che non perde colpi da anni e non smette di sorprendere. La circostanza che si tratti dell'opera prima di una donna, July Jung, mi rallegra ancora di più. Doona Bae (o Duna Bae o Do-ona Bae, è sempre lei, massima diva coreana dagli occhioni liquidi e tristi che ha esordito con Park Chang wook in Mr Vendetta, e che abbiamo ammirato pure in The Host di Bong Joon hoo, ed ha lavorato pure ad Hollywood coi Wachowski in Cloud Atlas e nel prossimo Jupiter, ma che più di tutto ha stupito nello straodinario, poetico e stravagamte Air Doll di Hirokazu Koreeda), è una poliziotta che, per un motivo che subito non ci viene riferito, ma capiamo trattarsi come motivato da responsabilità lavorative o comportamentali, viene trasferita a dirigere un commissariato in una remota località marina ove sorge un piccolo villaggio di pescatori e commercianti: gente semplice ed un po' rissosa, ma in genere non molto pericolosa.

Quando la donna si imbatte, proprio nei pressi della sua abitazione, nelle urla disperate di una ragazzina che viene selvaggiamente picchiata da un adulto, la poliziotta scopre che la piccola è la vittima indifesa dell'arrogante patrigno della ragazza, che, spesso ubriaco, la umilia e picchia senza particolare motivo e comunque con deprecabile consuetudine. Come se non bastasse la vecchia e acida madre del patrigno, sempre alla guida di uno scassato triciclo a motore con rimorchio utilizzato per vendere il pesce, non perde occasione per umiliare la ragazzina, presa di mira anche a scuola dalla cattiveria crudele dei compagni di scuola. Offrendole una volta rifugio nella propria abitazione, la poliziotta scopre sul corpo della bambina i segni devastanti di violenze ripetute e minaccia più volte di arrestare padre e nonna, che invece continuano imperterriti ad umiliarla e soggiogarla.Ma poco dopo veniamo anche a scoprire, lungo il concitato racconto, che la ragazzina nasconde un segreto piuttosto pesante e che non è poi così innocente e ingenua come appare.

Senza contare che aspetti e particolari sempre più ingombranti e tenuti nascosti di fronte ad una società retrograda ed incapace di non giudicare sommariamente e senza riflettere, emergono in capo alla protagonista, in capo alla quale cominciamo a capire le ragioni di quello scomodo ed ingrato trasferimento. Inoltre una notte la nonna viene trovata cadavere in fondo ad una scogliera in cui è precipitata col suo vecchio ciclomotore, e la vicenda comincia a tingersi di un giallo cupo e fosco. La stessa vita e onorabilità della poliziotta sembreranno completamente compromesse, non fosse che questa volta la ragazzina, resasi conto delle circostanze, di ciò che la legge ha intuito ed erroneamente dedotto da certi comportamenti della poliziotta nei suoi confronti, e di quanto bene la tutrice della legge fece per lei, saprà scagionare dall'infamia la sua vera, unica amica e tutrice. Una storia che si dipana come un mistery, che attanaglia il cuore e la mente per la stupidità umana sempre pronta a giudicare armata di preconcetti e pregiudizi vergognosi, il film della Jung ha svolte gialle che aiutano a sostenere una vicenda che ti incolla allo schermo ed è impossibile non seguire con concitata attenzione fino ad una finale teso che tuttavia è in grado di fornire la giusta ricompensa allo stato d'animo turbato del fortunato spettatore che ha avuto modo di goderselo, tribolando e soffrendo per la incorreggibile, universale cattiveria ed ignoranza della specie umana, dall'inizio alla fine. Inoltre il film ha la capacità e l'acutezza di non separare mai nettamente il bene dal male: ogni comportamento racchiude atti di bontà e atti istintivi che nascono dalle personali attitudini e caratterialità: la legge a volte non può giudicare o pretendere di discernere il bene dal male: il film lo dimostra pienamente e questa sua riuscita è la vera ragione che fa divenire eccezionale questo illuminante esordio registico. Insomma ci troviamo dalle parti del capolavoro.

VOTO *****

 

PAROLE DE KING!, documentario della regista Chriss Lang, presente in sala al cinema Mercury, ci intrattiene su un fenomeno di costume che da qualche anno a questa parte ha coinvolto una parte sempre più cospicua di donne, non necessariamente facenti parte della categoria lesbo.

Il fenomeno preso in esame è quello delle cosiddette “Drags Kings”, ovvero di quelle donne che, per mettere alla prova, studiare ed approfondire il lato virile presente e spesso celato all’interno della propria più inaccessibile intimità, si “mascolinizzano” attraverso atteggiamenti e travestimento atti a trasformarle in veri e propri rappresentanti della virilità.

Un fenomeno speculare a quello ben più noto e “celebrato” delle Drags Queen che tutti noi in qualche modo conosciamo. Attraverso una raffica di ventidue interviste a perfomers e altre donne anche non artiste che praticano questo tipo di “viaggio emotivo” ed esibizionista, la regista cerca di mettere in luce il fenomeno, orgogliosamente portato alla luce e accettato come una ulteriore sfaccettatura di un movimento che cerca di portare alla luce l’orgoglio di non essere sempre necessariamente tutti uguali e catalogati secondo preconcetti e confini prestabiliti troppo aprioristicamente ed approssimativamente da una natura troppo frettolosa.

Nella serata funestata da una pioggia furente (la stessa che ha drammaticamente procurato tutti i noti disastri e cataclismi di cui ci ha tenuto al corrente la tragica cronaca sui media), le stesse attrici e interpreti intervistate nel film, si sono poi esibite in un locale non lontano, riproducendo dal vivo gli spettacoli che nel film sono alternati alle interviste.

VOTO ***

 

BOY MEETS GIRL

Nella periferia americana del Kentucky, in un paesino sperduto nel verde di boschi e praterie dove tutti si conoscono e sanno tutto di tutti, Ricky, una bella transgender ventenne orfana di madre, con un fratellino adolescente ed un padre premuroso, vive con serenità e una certa spavalderia non sguaiata il suo ostinato voler essere donna, nelle sembianze come negli aspetti più intimi ed introspettivi.

Saldamente legata all’amicizia apparentemente disinteressata del bell’amico d’infanzia Robby, una sorta di baldanzoso cowboy dall’animo gentile, la vita placida da barista di Ricky viene scossa quando nel suo locale entra la bella Rebecca, futura sposa di un eroico marines di stanza in Afghanistan, nonché ex amico di scuola di Ricky quando ancora egli risultava un maschietto.

La bellezza e la disponibilità di Rebecca riaccendono passioni e desideri che la protagonista era convinta di aver chiarito a se stessa. Di fatto la passione nascente tra “le” due, si trasforma in un amore in qualche modo eterosessuale. Complicazioni e vicissitudini da commedia sono in agguato e il film, carino e più serio di quanto non voglia apparire, si rivela una felice sorpresa.

Organizzato con qualche lungaggine di meno (bastava un taglio di un quarto d’ora di riempitivi inutili), la commedia sarebbe risultata perfetta. Notevole l’interpreta di Ricky, Michelle Hendley, una bellezza femminile che non lascia traccia di antiche nascoste maschilità, se non nella voce, come spesso accade: una Paz Vega dalla frangetta sexy che buca lo schermo e risalta per simpatia ed umanità.

VOTO ***1/2

 

BOYS IN BRASIL di Alexandre Carvalho, ci catapulta nella Rio De Janeiro in piena festa per il Gay Pride. In queslla festosa e colorata occasione incontriamo il maturo e brillante uomo d’affari Vicente, il suo simpatico e scatEnato nipote Mauro, il suo più caro amico Rodrigo, un bellissimo ragazzo di nome Roger, aggredito da una banda di omofobi, una coppia di lesbiche militanti in un blobg a salvaguardia della causa e dei diritti omosessuali, e tutto il mondo che gira intorno a questo nutrito gruppo di persone. Una serie di circostanze spingerà ornino di loro a doversi rassegnare ad un coming out, talvolta sofferto, più spesso liberatorio, in fin dei conti quasi mai indispensabile o dagli effetti meno devastanti di quanto si sarebbe potuto temere.

Il film, girato nei toni della commedia brillante e scanzonata, vivace e civettuola, lascia spazio a riflessioni semiserie sulla condizione di emarginati che buona parte della civiltà, spesso in America latina, riserva a tutta la comunità LGBT. Personaggi ben costruiti, ironia sfavillante nella costruzione di personaggi eccentrici e magnifici come una suocera invadente (interpretata da un travestito molto mascolino), il tentativo dei genitori di Mauro di “guarire” il figlio sottoponendolo ad un esorcismo, e tanto altro. Si ride, ci si diverte, con garbo e senza smettere di pensare o riflettere.

VOTO ***

 

Lo ZE FESTIVAL, tenutosi dal 24 settembre al 18 ottobre con un programma che si intervallava tra le varie città sopra menzionate, comprendeva anche tutta una serie di altre pellicole che non ho avuto modo di visionare, sulla carta molto interessanti, oltre ad un omaggio a Stephen Frears e al suo epocale PRICK UP YOUR EARS – L’IMPORTANZA DI ESSERE JOE

Qui di seguito alcune immagini degli altri film che hanno composto questa interessante rassegna tematica molto impegnata nella salvaguardia dei diritti di una comunità sempre più orgogliosa e determinata a rivendicare i propri ideali, le proprie legittime aspirazioni, in tutte le sue molteplici sfaccettature. Spero di poterli "riacciuffare" presto e di potervene parlare.

 

 

 

 

 

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