Venezia, con me, è stata davvero magica.
C'è ancora tra i cinefili chi discute sull'utilità o meno dei festival cinematografici. Quello di Venezia è il più importante tra gli italiani, e chi ha la fortuna di portarci un film - in concorso o no - ha la possibilità per qualche giorno di avere una vetrina internazionale a disposizione. Vista la scarsa distribuzione nel nostro Paese di film italiani di piccole produzioni, Venezia rimane per molti un'ottima occasione di visibilità anche a livello internazionale. E' stato proprio grazie a un film presentato nel 2012 alle “Giornate degli autori” al Festival veneziano, che ho visto “Il gemello”, di Vincenzo Marra. Un documentario che non era semplicemente la narrazione della vita carceraria di un detenuto di Secondigliano a Napoli. Ci avevo visto qualcosa di più, una miscela tra cruda verità ed emozione condivisa, che mi aveva affascinato e molto incuriosito sul lavoro di questo regista.
Per questa ragione quando ho visto che Vincenzo Marra sarebbe stato nuovamente presente alle Giornate degli Autori di questa edizione del Festival di Venezia, ho messo il suo film tra i primi della lista da vedere. Questa volta il regista napoletano ha girato un film di finzione e non un documentario. Ovviamente la storia è di quelle che lasciano il segno, molto attuale come tematica, e che farà discutere. “La prima luce” parla infatti di una coppia non sposata, con un figlio, che entra in crisi. Lei, di origini cilene, scappa con il bambino nel suo paese, (rapisce di fatto il figlio) senza lasciare indirizzo o notizie al compagno.
Quello che mi ha colpito di questo film, così come fu per “Il gemello”, è il modo con cui Marra si approccia alla storia. Una storia che in mano ad altri sarebbe potuta diventare “buonista”, “patetica” o scontata, con Marra diventa invece occasione di riflessione e commozione allo stesso tempo. Un raro equilibrio tra racconto razionale e flusso emotivo che, personalmente, mi ha confermato l'ottima opinione che mi ero fatta inizialmente sul modo di lavorare del regista.
Venezia è stata magica con me...sul serio! Tanto che anche una volta tornata a casa ha continuato a girarmi per la testa. Sono curiosa: ho cercato notizie sul film e sul cast. I social network avvicinano molto persone che non avrebbero modo di incontrarsi mai nella vita - così detta - reale, ed è così che sono riuscita a raggiungere Vincenzo Marra. La mia faccia tosta ha fatto il resto e la sua disponibilità ha reso possibile un incontro telefonico lampo in cui sono riuscita a fargli giusto 4 domande (“veloci veloci”...che poi sono diventate 5) per levarmi qualche curiosità in merito al film che tanto mi ha colpito. Condivido con gli utenti del sito che vorranno leggere questo post, la piccola chiacchierata che ho fatto con Vincenzo Marra rispetto alla lavorazione de “La prima luce”, che uscirà nelle sale il prossimo 24 settembre. Mi auguro davvero che la distribuzione sia decente, e che si possa aprire una discussione seria riguardo al film e alla delicata tematica che affronta.
Venezia è stata magica! L'incontro con Vincenzo Marra è stato talmente rapido e fortuito, che alla fine della chiacchierata stentavo a crederci...e tante erano le cose che gli avrei voluto chiedere. Ma con Venezia terminato da pochi giorni, e l'uscita del film alle porte, posso ritenermi davvero fortunata di questo bell'incontro.
Ci sono molti documentari nella tua carriera. Mi sono sempre chiesta quale sia l'approccio, per un buon documentarista come sei tu, nell'affrontare un film di finzione. Che tipo di ricerche hai dovuto fare? Sei partito da una storia personale?
Mi sono appassionato a questo film. Sono entrato in un mondo a scatole cinesi dove incontravi una storia, ne trovavi un'altra che era ancora più drammatica di quella precedente e di quella successiva ancora. Sono andato avanti. La mia vita rimane la mia vita personale. Questo film ha a che fare con un inferno di situazioni che sono sempre più numerose e che sono sparse nel mondo. Non ha niente a che vedere con i confini italiani, ma con un problema mondiale, universale.
I personaggi di Marco e Martina, i genitori del piccolo Mateo, si contendono l'affidamento del figlio. Più che sull'aspetto legale ti sei concentrato sull'aspetto emotivo. Quanto si è disposti a sacrificarsi per il bene di un figlio? Pensi che oggi un padre abbia meno diritti rispetto ad una madre?
L'aspetto legale è un controsenso. E' chiaro che oggi un giudice - in qualsiasi parte del mondo - che vede due persone che hanno fatto un figlio, accusarsi pesantemente; dove uno dei due vuole “eliminare” l'altro, dicendo anche cose strumentali... beh, capisci bene che per forza di cose (stiamo parlando di un bambino), il potere di un giudice - del singolo giudice - è limitato. Il potere legale è molto molto basso, indipendentemente da quello che c'è scritto nella legge. In alcuni Paesi la legge tutela di più, in altri di meno. L'aspetto emotivo è il cuore del film, per far ragionare le persone che stanno affrontando un conflitto, per farle pensare. Alla fine tutta questa battaglia non è per la vendita di un appartamento, ma è per un bambino. Per forza di cose l'aspetto legale era un aspetto importante da metterci, incentrare tutto solo sull'altro aspetto sarebbe stato tempo perso.
Hai scelto come protagonista maschile Riccardo Scamarcio, che non è padre nella vita reale. Per questo motivo è stato più complicato costruire il suo personaggio? Che tipo di ricerche avete dovuto fare a riguardo?
Complicato? Sì e no. Ho capito, incontrando Riccardo, che aveva un sentimento di grande emotività paterna, e questa cosa ha giocato in favore del film. Ho messo dentro tanti sentimenti di Riccardo, li ho usati - se così si può dire - per il film. Sono contento di aver fatto il film con lui, lo ha fatto bene. Abbiamo usato quello che avevamo, tutto il materiale emotivo disponibile.
Mi è piaciuta moltissimo la colonna sonora che hai scelto. Le canzoni di Camila Moreno sottolineano l'emozione che via via cresce seguendo la storia. Conoscevi già questa cantautrice? Quanta importanza dai alla colonna sonora nei tuoi lavori?
Ascoltavo Camila quando scrivevo il copione. Anche gli altri miei film sono stati fatti così: scrivo il copione, dopo metto la musica quando monto il film.
Ma hai cercato appositamente una cantautrice cilena? O è stata una scelta casuale?
No, è capitato per caso. Quando ho finito il film, mi sono ricordato di questa canzone che mi aveva fatto sentire un amico in macchina...e ho detto “sì, è lei!”. Poi ho fatto una prova, ho messo la musica sulle immagini e secondo me funziona bene.
Dopo la proiezione del film a Venezia hai avuto modo di sentire i pareri di persone che hanno vissuto una esperienza simile a quella di “Marco”?
Guarda, ho ricevuto un messaggio di un padre che ha visto il film, e ha raccontato la sua storia. Una testimonianza così non me l'aspettavo proprio, ed è stata una grande soddisfazione per il senso di verità a cui sono stato sempre affezionato. Purtroppo la storia di questo padre è peggiore rispetto a quella che viene raccontata nel film. Una testimonianza importante davvero, perché ho sentito anche diversi pareri che dicevano che la storia non era troppo realistica, era troppo poco credibile... come se ci fosse una fuga dal dolore. Il mondo è fatto anche così: le persone fuggono da ciò che può far male, e invece questa testimonianza mi da la forza di continuare a raccontare.
Questa è la testimonianza lasciata a Vincenzo Marra.
“La mia personale vicenda e quella delle mie figlie e' molto simile a quella di Marco e di Mateo, dopo aver sostituito al Paese andino un Paese scandinavo. Un giorno del 2007 la mia attuale ex-moglie mi comunico' via e-mail che non sarebbe tornata con le nostre figlie dalla consueta vacanza estiva nel paesino dei suoi genitori, e che anzi aveva gia' iscritto le figlie alla locale scuola. Un mail inviato all'inizio di una settimana lavorativa molto importante per me, come lei sapeva benissimo, per un evento che avevo preparato da mesi: non ero in condizioni di reagire prontamente. Pochi giorni dopo tra la posta trovai una comunicazione di un tribunale civile di quel Paese: un verbale di udienza relativo ad una richiesta (accordata) di separazione e di affidamento esclusivo delle nostre figlie a lei. Nel verbale il giudice mi dichiarava irreperibile e con indirizzo sconosciuto: pero' sulla busta che conteneva il verbale l'indirizzo c'era...un tocco di ridicolo, preludio di una lunga serie di violazioni dei diritti fondamentali alla difesa, piu' o meno gravi, che sarebbero continuate negli anni.
Mi sentii esattamente come il bravissimo Riccardo Scamarcio quando entra in casa e deve accendere la luce, perche' regna il silenzio: svuotato, senza desideri, progetti. Un giorno mi resi conto di essere rimasto seduto per diverse ore davanti al computer senza aver scritto una riga di un lavoro che stavo curando: ero rimasto seduto senza aver fatto nulla per ore, come in ipnosi. La sola cosa che riuscivo a fare in quei mesi erano lavori materiali: ridipinsi tutto l'appartamento. Quell'attivita' ripetitiva mi sfiniva, ma non riuscivo comunque a dormire. Per 17 mesi dormii non piu' di 5 ore per notte. Oggi sono molto fiero di poter dire di non aver mai preso antidepressivi o altro, durante quei mesi. Una notte, quando mi ero svegliato alle 3 senza riuscire a dormire, mi feci una tazza enorme di valeriana: mi svegliarono il giorno dopo gli studenti verso mezzogiorno che mi aspettavano a lezione dalle undici. Da quel giorno mi tirai su: decisi che le mie figlie, se mai un giorno avessimo visto la luce di nuovo, alla fine di questo incubo, avrebbero ritrovato il loro papa', un uomo - non una larva. Ed iniziai a reagire.
In breve: nei due anni successivi iniziai una battaglia legale nel Paese scandinavo, che vinsi in tutti i gradi di giudizio. Il verdetto finale decretava il rimpatrio delle mie figlie in Italia, dove avevano sempre vissuto. L'esecuzione delle sentenze pero' in quel Paese venne affidata ad un organismo politico, sotto il diretto controllo del governo (i minuscoli sono intenzionali). Alla fine del secondo tentativo (fallito) organizzato da quella bella gente, senza nessuno psicologo professionale presente, fui io stesso ad interrompere il martirio di quella tragedia nella quale le mie figlie erano state sottoposte a pressioni enormi. Le salutai dicendo loro, davanti a tutta la canaglia di avvocati, pesudo-assistenti sociali, curiosi, nella lingua di quel Paese, che sapevo benissimo che non ci saremmo piu' rivisti. La piu' piccola mi disse all'orecchio, piangendo: "Papa', mi vergogno".
Era l'8 maggio del 2008. Da allora, pur avendo tutti i diritti di visita e di rimpatrio, tutte le sentenze a posto, non ho piu' rivisto le mie figlie.”
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