A Venezia arriva il giorno 4 e si apre l’unico weekend di programmazioni con il primo dei titoli italiani in concorso: L’attesa dell’esordiente Piero Messina. Girato in Sicilia e interpretato da Juliette Binoche, Giorgio Colangeli e Lou de Laage, L’attesa racconta dell’incontro tra Anna e Jeanne, rispettivamente madre e fidanzata di Giuseppe, misteriosamente assente. Come racconta Messina, L’attesa nasce da un ricordo d’infanzia: «È notte, le strade del mio paese sono invase di gente. Si sentono grida, pianti, la tensione sale e coinvolge tutti e così ad un certo punto accade che il simulacro portato in processione smetta d'essere una statua intagliata nel legno e diventi per tutti i presenti qualcosa di reale. È come se la profonda condivisione di un'esperienza, di un pensiero, di un sentimento abbia la forza di generare una diversa, irrazionale, apparentemente impossibile verità.
In fondo è quello che accade alle protagoniste del mio film. Protette ma anche isolate dal mondo, Anna e Jeanne iniziano ad attendere il ritorno di Giuseppe. E nel farlo immaginano una realtà che esiste proprio perchè da esse condivisa. È così che nasce tra due donne un muto sodalizio. Quasi inconsapevolmente si stringono, si fanno vicine nel tentativo di proteggere e nel contempo rendere più forte la loro fragilissima verità. La realtà è lì, troppo vicina forse per essere visibile. Troppo terribile per essere guardata. Così un poco si perdono, creano una parentesi, uno spazio nel tempo in cui c'è ancora una possibilità. E la loro è appunto una fede nella possibilità, quasi che condividere strenuamente un pensiero, possa restituire ad esso verità».
Ma attesa è stata anche quella che nella giornata di ieri, venerdì 4 settembre, centinaia di fans hanno fatto a partire dalle 7 del mattino. Rimanendo sotto il sole cocente, aspettavano di vedere i loro beniamini Johnny Depp e Dakota Johnson, senza curarsi di nient’altro. Attese che spesso sono destinate a tramutarsi in cocenti delusioni, anche a causa di atteggiamenti divistici fuori dal tempo ma non è il caso ad esempio di Catherine Frot, protagonista di Marguerite e da tempo considerata una delle migliori attrici di Francia, che con il pubblico che l’attornia interagisce e scherza su una foto del pressbook di non suo gradimento del film che interpreta. Atteggiamento diverso da quello delle attrici semisconosciute di Arianna, la cui disponibilità a interagire faccia a faccia con le persone di fronte ha lasciato alquanto perplessi.
Johnny Depp
Tornando al programma, oggi è la volta di altri due titoli in concorso: l’attesissimo The Danish Girl di Tom Hooper con Eddie Redmayne in panni femminili e di L’hermine di Christian Vincent.
The Danish Girl racconta la vera storia di degli artisti Lili Elbe e Gerda Wegener, i cui matrimonio e vita artistica sono travolti dalla decisione di Lili di intraprendere la pionieristica scelta di cambiare sesso. Film nato tanto tempo fa come spiega Hooper: «Da quando ero un ragazzino e facevo film muti con la mia Bolex 16mm, ho sognato di portare un mio film alla Mostra del Cinema di Venezia. Ora ho l’onore di partecipare per la prima volta con The Danish Girl.
Mi sono innamorato di questa storia mentre ero alle prese con Il discorso del re. Ho pianto leggendo la bellissima sceneggiatura di Lucinda Coxon e ho cercato di conservare quel sentimento mentre giravo il film. Lili Elbe è una fonte d’ispirazione per il coraggio mostrato nel superare gli ostacoli che la separavano dal suo vero sé. La moglie Gerda è commovente per la compassione e l’amore senza condizioni. Il loro matrimonio ha reso possibile la rivelazione di Lili».
Prodotto da Gaumont, L’hermine di Christian Vincent propone la storia di Xavier Racine, giudice molto temuto e presidente di corte d’assise, che tutti chiamano “il giudice a due cifre”, perché le pene che infligge sono sempre di almeno dieci anni. Nella vita del severo Xavier tutto cambia drammaticamente il giorno in cui incontra Birgit Lorensen-Coteret, chiamata come giudice popolare nel caso di un uomo accusato di omicidio. È la stessa donna di cui si era innamorato sei anni prima quasi in segreto, l’unica che abbia forse amato veramente. «Ho scritto e diretto L’hermine perché due anni fa il mio produttore mi ha chiesto di assistere a un processo in corte d’assise. Non sapevo nulla del mondo giudiziario e nel giro di cinque giorni mi sono reso conto che avevo sotto gli occhi uno stupefacente specchio della società. L’aula di un tribunale è un teatro, con un pubblico, degli attori, una drammaturgia e un dietro le quinte. È un ordine prestabilito che aspetta solo di essere capovolto. Ma prima di tutto è il luogo dell’oratoria, dove l’ascolto è fondamentale. Un posto dove alcuni padroneggiano la lingua e altri, a volte, non capiscono nemmeno le domande che vengono loro rivolte. In un processo penale c’è tutto. C’è l’angoscia umana, le riflessioni poetiche, i momenti di noia, l’incursione nella vita intima delle persone. A volte alla fine dell’udienza vince la verità. Ma non sempre. E comunque non lo sappiamo quasi mai con certezza. A quel punto mi mancava solo la storia: un giudice presidente di corte d’assise, che avrei potuto essere io se non fossi diventato regista... il fantasma di un amore passato che ricompare nei panni di un’anestesista. È come se alla fine il desiderio di vivere trionfasse sempre», precisa Vincent.
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