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Grande. Distribuzione. Organizzata
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Nella mia città l’ho visto succedere tante volte. E accaduto e accade ancor oggi in vecchie zone industriali o aree da recuperare. Magari nemmeno troppo periferiche. L’ho visto succedere e mi sono stupito: prima le ruspe e il vuoto e poi - subito dopo, ancora nel vuoto - un grande grandissimo supermercato. Due volte lo stupore: prima perché vedere sorgere un supermercato nel nulla fa strano e poi perché poco lontano di supermercati ce ne erano spesso già molti.
Poco dopo ecco sorgere le case: grandi palazzi, rigorosamente uffici o abitazioni, rigorosamente senza negozi e altri spazi commerciali. Abito un po’ in periferia, so cosa vuol dire abitare in vie senza negozi, so cosa provoca nel tessuto urbano e civile. Pensavo fosse una cosa degli anni ’60, quando si costruivano le case per gli immigrati e che venivano a trovare lavoro al nord, nella città che cresceva, e lo si faceva senza piano regolatore, senza una visione del futuro.

Ora la visione c’è: chiara. L’accordo diabolico tra i grandi costruttori, il potere politico, la grande distribuzione organizzata (la GDO appunto). Io ti dò spazi e permessi, tu ci metti il supermercato, tu fai le case. Insieme facciamo soldi. E del destino della città chissenefrega.


Ma non andrò avanti a raccontare tutto ciò, nel sue grandi ricadute sulla città, sulla produzione (che uccide i piccoli produttori, incapaci di fornire grandi numeri per la grande distribuzione), sulla circolazione (che al supermercato non ci vai mica a piedi o in bicicletta, in genere). Lo lascio da parte e vi dico direttamente perché vi racconto ciò.
Perché l’altro giorno su un sito di tecnologia ho letto un rumor: non una notizia, sia chiaro, una voce. Il 9 novembre, in uno dei suoi eventi Apple presenterà tra le altre cose il suo rinnovato device Apple Tv: lo scatolotto di casa Apple da collegare alla tv per vedere, in tv appunto, film in streaming. Dicono che sarà meglio dei precedenti, ovvio, e che avrà un telecomando tutto suo. Non solo, Dicono anche che a Cupertino stiano contattando registi, attori e sceneggiatori. E che il prossimo passo potrebbe essere la produzione - direttamente da parte di Apple - di film e serie.

Poi leggo le prime recensioni, entusiastiche, del film di Fukunaga, molto atteso a Venezia. Cary Fukunaga, per chi non lo sapesse, è il regista apprezzatissimo e premiatissimo del primo True Detective, e che ora ha presentato in concorso Beasts of No Nation. Attenzione: già in molti gridano al “quasi capolavoro” (un minimo di cautela serve sempre).
Bene quel film è stato prodotto da Netflix (proprio quella che sbarcherà tra poco anche in Italia) e verrà presentato al pubblico americano nelle sale e in contemporanea su Netflix. Da noi ancora non si sa: può anche darsi che venga usato come cavallo di Troia per pubblicizzare la nuova offerta di Netflix e nelle sale non ci vada nemmeno. Chissà.

Si aprono molti ragionamenti, si intravede, ma lo spazio di questa newsletter mi chiede la sintesi. Perché osservare questi primi passi - in parte voci, in parte fatti solidi - fa pensare. La distribuzione sta avendo la meglio. Il luogo d’incontro tra produzione e consumo, in un mondo globalizzato, ha un peso determinante. E ciò che nella città è il supermercato, nella città globale può diventare un canale in streaming o anche addirittura (vedi nel caso di Apple) un device con una buona interfaccia. Cambiano i modi e i luoghi del consumo, cambiano i soggetti della produzione. Farà bene o farà male al cinema (inteso come arte)? Se è il distributore a commissionare i prodotti, gli autori avranno la stessa dose di libertà e creatività o dovranno lavorare su nuove regole del gioco, dove magari contano più le analisi di mercato delle scelte creative? C’è differenza se invece di uno degli studios i soldi ce li mette un produttore di tecnologia? E, soprattutto, a quando i primi film prodotti da Esselunga? (brividi corrono lungo la schiena…)

 

 

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