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LOCARNO 2015: PARDO NEWS. Premi festivalieri: gioie o delusioni. Un verdetto che proprio non convince, tenendo conto di un concorso forse orfano di capolavori, ma certo piuttosto interessante. Ultime visioni appassionate ci gratificano
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 Concorso internazionale

Pardo d’oro
JIGEUMEUN MATGO GEUTTAENEUN TEULLIDA (Right Now, Wrong Then) di HONG Sangsoo, Corea del Sud

Premio speciale della giuria
TIKKUN di Avishai Sivan, Israele

Pardo per la miglior regia
ANDRZEJ ZULAWSKI per COSMOS, Francia/Portogallo

Pardo per la miglior interpretazione femminile a:
TANAKA SACHIE, KIKUCHI HAZUKI, MIHARA MAIKO, KAWAMURA RIRA
per HAPPY HOUR di HAMAGUCHI Ryusuke, Giappone

Pardo per la miglior interpretazione maschile
JUNG JAE-YOUNG per JIGEUMEUN MATGO GEUTTAENEUN TEULLIDA (Right Now, Wrong Then) di HONG Sangsoo, Corea del Sud

Menzioni speciali
Per la sceneggiatura di HAPPY HOUR di HAMAGUCHI Ryusuke, Giappone
Per la fotografia di Shai Goldman per TIKKUN di Avishai Sivan, Israele

 

I verdetti delle giurie sembrano fatti apposta per far nascere polemiche, creare dibattiti infervorati, suscitare cocenti delusioni pressoché tra tutti coloro che il Festival lo hanno seguito completamente o quasi, nelle sue rassegne e sezioni varie.

Il Pardo d'oro al gradevole certo, lo ammettemmo sin dal primo giudizio al riguardo, ma pur lezioso film del coreano Hong Sang-Soo, autore più che consolidato e abitule frequentatore di festival,(oltre che già vincitore a Locarno col Pardo alla regia non molti anni addietro) non aiuta di certo a rivelare nuovi talenti o a far emergere nuove strade narrative inesplorate o poco note anche per un tipo di cinematografia d'autore o da festival; piuttosto, ammesso che ce ne fosse bisogno, sdogana o rende più visibile il talento apparentemente leggero - confinato nel genere della commedia parlata e sofisticata - ma molto minuzioso, brillante e ben più complesso di quanto possa apparire, di un regista coreano totalmente distante dallo stereotipo di un cinema d'azione o noir a cui ormai quasi automaticamente associamo la cinematografia di quel paese.

Sang-Soo è definito forse con troppa leggerezza o superficialità il Rohmer dell'est, il cantore degli amori spontanei, il cultore minimal delle piccole grandi difficoltà e drammi nel portare avanti sentimenti genuini che tuttavia le circostanze impediscono di manifestare con la naturalezza che meriterebbero.

 

 

In RIGHT NOW , WRONG THEN, la storia di un noto regista in giro per promuovere la sua opera, che si innamora della ragazza sfrontata, disinformata, ma tutt'altro che ingenua incontrata per caso nei pressi di un monumento cittadino, si è già visto con pochi sviluppi differenti in altre opere precedenti del regista: qui il cineasta rielabora la materia, la sviluppa sotto due binari, come a formare due film che si diramano separatamente dopo essere stati uniti assieme da una situazione iniziale destinata poco dopo a biforcarsi a seconda di come un particolare cruciale, inerente la vita del protagonista, influenza nell'intimo il nascere e lo svilupparsi di una storia.

Narrazione semplice, ma esemplare, dialoghi arguti e sottili che traggono origine dalla banalità di gesti quotidiani e dall'imbarazzo che si crea ad esplicitare i propri pensieri, liberando l'autenticità di ciò che si prova realmente: circostanze intime che sembrano provenire integre dal cuore, valorizzate da interpreti baciati dall'ispirazione e da una simpatia che contagia a tal punto da risultare (almeno tr la maggioranza della giuria) irresistibile.

Ma il film dicevamo, altro non è se una ottima, arguta rielaborazione di un canovaccio già visto, sceneggiato con una cura sopraffina per il particolare e un dialogo brillante, a tratti pure divertente, che non sorprende, ma riesce a non annoiare anche quando si ripete; tutto già visto, comunque, anche in commedie sofisticate americane riuscite (Sliding Doors) o riuscitissime (La scomparsa di Eleanor Rigby: lui e lei).

Se è posotivo sdoganare e riabilitare per una volta anche un genere sottovalutato nei festiva come la commedia, è pur vero anche che il Pardo d'Oro, massimo riconoscimento in un Festival autoriale come quello di Locarno, dovrebbe a mio avviso guardare soprattutto verso nuovi orizzonti, nuove sperimentazioni, nuovi linguaggi, nuovi autori o personaggi fino ad oggi non valorizzati quanto meritano. Un festival dunque più proteso verso pellicole che più di questa riuscissero a comunicaci questa sensazione. La scelta di Lav <diaz lo scorso anno fu memorabile e inevitabile, oltre che meritata. Quest'anno film rispondenti a questi criteri ce n'erano almeno altri quattro/cinque, e non è certo il caso che mi metta qui ad elencarli.

Inspiegabile pure il secondo premio al film di Hong Sang-Soo: quello attribuito anche al pur bravo attore protagonista di Right Now Wrong Then, di certo il tassello più pregevole del film di Sang-Soo. Ma come dimenticarsi della prestazione ferina, devastata e logorroica del comico Gregg Turkington nel film Entertainment? Quella di quest'ultimo è una prova decisamente più potente e meritevole di menzione, quella che riesce a rendere un flm qualunque come un'opera notevole.

 

 

Che dire poi del premio alle quattro attrici giapponesi nell'infinito, indefinito e piuttosto piatto Happy Hour (doppio premio pure a lui, avendo osato plaudirne ufficialmente pure la sceneggiatura, di fatto infinita e a mio giudizio piuttosto poco memorabile)? Nessuna di loro possiede l'intensità di una singola Valérie Dréville, attrice potente che rende Suite Armoricaine una delle sorprese più appassionanti della rassegna: il suo volto aggraziato, stropicciato, ma gradevole e naturale, illumina una pellicola non facile ed articolata che va alla ricerca delle origini e del passato dimenticato, trascurato da troppo tempo.

 

 

Le giapponesi sono solo un tassello funzionale di una pellicola indefinibile per lunghezza e stile, che non sembra cinema ma neppure televisione, forte di un ritmo concitato speso a raccontare vicissitudini, micro drammi e piccole grandi tragedie di coppie allo sbando, sottoponendo lo spettatore ad un tour de force davvero sfiancante: meglio le sei ore e mezza di un Lav Diaz che scandisce i tempi con un ritmo calmo, contemplativo, che ti culla quasi anestetizzandoti il trascorrere delle ore senza sottoporti ad una estenuante altalena di drammi e ragnatele narrative da soap.

Ma nei festival, spesso vincono le tematiche universali, quelle che possono essere ben comprese da ogni membro di una giuria internazionale che, come ogni essere umano ha il diritto ed il piacere di autoidentificarsi nei personaggi che sceglie di amare e preferire; una giuria non per colpa sua necessariamente ed inevitabilmente sempre troppo eterogenea per poter apprezzare certi particolari legati all'esperienza territoriale locale. Il bellissimo, commovente film di Pietro Marcello Bella e Perduta, pecca (o meglio si pregia) proprio di questa caratteristica: essere necessariamente legato ad aspetti della tradizione locale (Pulcinella e le maschere della nostra storia popolare) di cui in troppo pochi sono al corrente a tal punto da poterne apprezzare la presenza.

Detto ciò, il festival è comunque proseguito nella sua ultima giornata, permettendomi di completare, o quasi, la visione di altre interessanti opere delle sezioni collaterali.

 

 

ASINO VOLA, produzione targata Rai di stampo prettamente televisivo, è una delicata favoletta italica ambientata in pieni anni '70, presentata in Piazza Grande, addirittura come Evento Speciale, qualifica esagerata e fuori luogo, più adatta ad un colossal o ad una mega produzione, e che stride nettamente con le caratteristiche di opera piccola e minimal a cui, nel bene e nel male, viene ad incasellarsi il film. Opera prima di Marcello Fonte, il film rivive in un lungo flash-back l'infanzia semplice e povera di Marcello, ora noto musicista, che alla vigilia di un importante concerto, rivive l'inizio del suo viaggio fantastico nel mondo della musica, da bambino povero figlio di una madre apprensiva e popolana che lo tiene d'occhio sino all'assillo e interpreta come un capriccio momentaneo l'intenzione del ragazzo di partecipare alle lezioni di musica del maestro capo banda del paese. Vissuto nel mondo della discarica nei pressi di una fiumara di un torrente, il ragazzo cresce tra i consigli saggi di un asino parlante (la voce è di Lino Banfi) ed i dispetti di una gallina saggia, pure lei parlante. L'adulto musicista arrivato è interpretato da Luigi Lo Cascio. Il film cerca il suo pubblico facendosi forte di situazioni e vicende emotivamente piuttosto coinvolgenti, soprattutto nei confronti di una fascia televisiva da prima serata.

Impeccabile per appagare tale fascia di utenti, l'opera volonterosa e facile si porta avanti con un linguaggio elementare che personalmente trovo difficile da digerire ed accettare.

VOTO *1/2

La tetralogia brasiliana della TELA BRILHADORA, iniziata i giorni scorsi sotto l'egida autoriale di Julio Bressane con Garoto, prosegue oggi con gli altri tre film, opere di altri tre registi brasiliani, più giovani e due dei quali alla loro opera prima. Tra questi Moa Batsow con ORIGEM DO MUNDO, ci trasporta con straordinarie riprese quasi documentaristiche, presso alcune zone archeologiche ove sono ancora pienamente visibili iscrizioni o forme d'arte catalogabili come le prime testimonianze dei bagliori della società umana nel Brasile. Rocce scavate e scolpite, dalle forme sinuose e avvolgenti, forate e colme di cavità profonde come vulve che ricordano organi riproduttivi femminili e dunque la maternità, la fertilità, la capacità di moltiplicarsi, progredendo e civilizzandosi.

 

 

Le immagini, spesso straordinarie e dettagliatissime, si alternano ad interviste di alcuni anziani abitanti di quelle zone rupestri, portatori di una tradizione che procede tramandandosi per via orale dagli albori della civiltà umana in quel vasto continente.

Un documentario che affascina, nonostante la complessità di una narrazione che procede più per immagini ed associazione di idee.

VOTO ***1/2

O ESPELHO, pure esso opera prima, ma del regista Rodrigo Lima, è il terzo film della tetralogia dal titolo “ TELA BRILHADORA”, è un nuovo affascinante ed enigmatico viaggio quasi solo per immagini, frammentate da rumori e versi animali urlati ed improvvisi, che inizia con un richiamo misterioso, esca che induce un uomo ad introdursi all'interno di un cancello, presso un giardino quasi paradisiaco fitto di piante opulente e verdeggianti, cinto da un laghetto, specchio naturale dalle acque del quale emerge una figura femminile che, come una sirena tentatrice, attrae l'uomo come stregandolo e conducendolo in un viaggio che è un delirio della mente e della immaginazione, e dove le suggestioni del paesaggio divengono i presupposti per un viaggio avventuroso all'interno delle proprie ansie e delle paure, i timori che ci rendono esseri meno liberi di quanto potremmo in effetti essere.

 

 

Un film affascinante come gli altri visti fino ad ora, in cui la natura diviene parte integrante, sentiero di vita e padrona di esistenze fragili e condizionate come quella umana sulla terra.

VOTO ***1/2

O PREFEITO, di Bruno Safadi, conclude l'affascinante viaggio filosofico e visionario della tetralogia “ TELA BRILHADORA”, ma, a differenza degli altri tre, abbandona completamente le amenità rigogliose di madre natura, per portarci tra le pietrose scorie di una civiltà urbana in via di distruzione e ricostruzione, come è oggi la civiltà delle costruzioni che, finito di distruggere inutilmente spazi vergini, si concentrano su quanto costruito in precedenza per distruggerlo e progettare nuove strutture, sempre più imponenti, sempre più elevate verso il cielo, sempre più avveniristiche e mozzafiato. Il sindaco di Rio De Janeiro, persona orgogliosa e cocciuta, vanesia e piena di sé, vuole passare alla storia e dunque, non più contento di lanciarsi in avventure edilizie e speculative tendenti anche a rinverdire le casse del suo patrimonio personale tramite mazzette a altri episodi di ordinaria corruzione, desidera far diventare Rio uno stato indipendente, proclamandosi sovrano della città. Dal suo regno polveroso e grigio, egli visualizza ed esplicita i suoi progetti tramite plastici ove la città è riprodotta nei suoi tratti salienti attraverso pietre e detriti che, apposti con un ordine come in un minuzioso presepe, finiscono per costituire una riproduzione fedele della città più nota del Brasile, epicentro tattico per sviluppare il folle sogno di gloria ed indipendenza che vede l'uomo politico al centro di una vero e proprio ammutinamento dai vertici dello stato centrale.

 

 

Ambientato per intero all'interno di un'area edile in costruzione o disfacimento, il film è una metafora pungente ed una satira acuta sul sentimento di onnipotenza e indistruttibilità che coglie tutti coloro che cominciano ad assaporare senza controllo il fascino del potere e della scalata sociale ed economica che esso crea, togliendo ogni senso del limite e del pudore, rendendoci mostri assetati di grandezza e potere, sempre più soli e diffidenti, perennemente tesi al consolidamento della propria posizione, impossibilitati a guardare oltre i limiti di un profitto personale che inghiotte ogni altra necessità o bisogno a favore della collettività.

VOTO ****

 

L'omaggio all'attrice svizzera Bulle Ogier prosegue con la proiezione del film LA SALAMANDRE, opera del noto regista, elvetico pure lui, ALAIN TANNER.

In un bianco e nero che ricorda molto, almeno formalmente, quella Nouvelle vague piuttosto vicina geograficamente e concettualmente ad inizio anni '70, il film racconta, con tono scanzonato e disinvolto, le vicissitudini di un giornalista perdigiorno di nome Pierre che, indotto a scrivere dalla televisione svizzera una sceneggiatura ben retribuita con al centro un episodio di cronaca nera finito sulle pagine dei giornali qualche anno prima, decide di farsi aiutare da un amico scrittore con gravi problemi economici, e per questo piuttosto propenso a collaborare alla stesura di quanto richiesto.

Ma se Pierre si intestardisce e la scia da parte la naturale indolenza per seguire le tracce della donna posta al centro di una torbida o poco chiarita vicenda familiare relativa ad una sparatoria ufficialmente accidentale ai danni di un pensionato, episodio per il quale fu inizialmente incolpata la giovane figlia, il secondo collaboratore, Paul, si lascia completamente andare alle proprie fantasie narrative, andando ben oltre i singoli dettagli di una vicenda in realtà già chiarita in tutti i suoi banali o comunque poco interessanti dettagli.

Trovata la ragazza, una bella biondina che attrae entrambi gli uomini, il film si concentra su una storia a tre in cui ognuno dei protagonisti tenta invano di modificare la propria banale o mediocre esistenza, cercando rifugio nella complicità che la donna, bizzarra ed eccentrica, finisce per suscitare sui due suoi bonari compagni di viaggio.

Un film che trasforma Bulle Ogier nella sirena peperina e bionda, donna libera ed inquieta, scandalosa e perciò necessariamente colpevole a priori, in grado di ravvivare due persone afflitte dalla indifferenza e dunque apparentemente sopiti dentro da una rassegnazione ed un grigiore che vanno di pari passo con la meteorologia locale di una Svizzera invernale funestata da cieli plumbei e portatori di bufere nevose in grado di cancellare ogni orizzonte. Ottimo e simpaticissimo pure Jean-Luc Bideau nei panni dello scostante, annoiato e ozioso Pierre.

VOTO ***1/2

La commedia tragica in cinque atti di Moliere “Don Giovanni, è al centro di un curioso visionario adattamento ai giorni nostri, per opera di un attore giovane piuttosto noto in Francia, qui regista al suo primo lungometraggio: VINCENT MACAIGNE. Il suo DOM JUAN, apologo eccitato e violento, esaltato e degradato del libertinismo aggiornato alla follia collettiva e distruttiva propria dei concitati giorni odierni, raggiunge momenti molto forti e coinvolgenti, mantenendo i cinque atti originari dell'opera teatrale, circostanza che scandisce la discesa agli inferi della perdizione di un libertino completamente incapace di togliersi di dosso il vizio e la foga incontrollata di piacere fine a se stesso.

 

 

Interpretato da un volitivo, strepitoso e tatuatissimo Loic Corbery (il protagonista del recente e riuscito Sarà il mio tipo, di Lucas Belvaux), Dom Juan è stato concepito con l'aiuto e la collaborazione di molti degli interpreti della nota compagnia teatrale Comedie Francaise.

Un inizio tutto orge e abuso di stupefacenti ci fa addentrare in un mondo di perdizione e di vizio da cui il protagonista, amato e ancora in grado di distinguere i tratti dell'amore unico ed esclusivo, si lascia pur tuttavia trascinare un un percorso tortuoso verso la perdizione morale, avviluppato in una spirale di congetture e folli propositi che lo traviano completamente.

Disturbante a tratti, ma vigoroso e ammirevole per il coraggio di aggiornare senza falsi pudori il percorso verso una perdizione senza ritorno, il film di Macaigne possiede il ritmo incalzante, nervoso e psichedelico di un viaggio folle e senza via di scampo che ben si addice ad aggiornare la figura di Don Giovanni agli istinti distruttivi e tentacolari della società odierna.

VOTO ***1/2

 

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